Un salto nel … vuoto

In plurime occasioni è stato sostenuto che il tasso di crescita dell’accesso alla pratica funeraria della cremazione abbia alterato le tipologie delle “domande” in ambito cimiteriale, alterando impostazioni fortemente risalenti. Si tratta di fenomeni complessi che non possono essere fatti oggetto di computo (previsione, ecc.) unicamente assumendo il parametro della mortalità, parametro che risulta perfino fuorviante, occorrendo tenere conto di ben altro. Non solo mutano i rapporti tra inumazione e tumulazione (che hanno elemento comune la mortalità ed elemento di differenziazione il fatto che la prima richiede superfici e la seconda volumi), ma anche per il fatto che, intervenuta la cremazione, le destinazioni delle ceneri vedono una domanda di spazi cimiteriali stimabile, e stimata, sui 2/3 delle cremazioni eseguite, mentre per la parte residua si possono avere o la dispersione delle ceneri oppure l’affidamento ai familiari delle urne cinerarie (che, prima o poi, in tempi non definibili, né prevedibili, dovrebbero riproporre una qualche domanda cimiteriale, fosse pure l’uso del cinerario comune). Ma anche questi 2/3 importano una valutazione di volume, pur tuttavia del tutto differente rispetto alla tumulazione di feretri.
Finora si è parlato di superfici e di volumi, ma (in particolare per questi ultimi) sarebbe preferibile la formulazione: “ingombro libero interno”, presente al Punto 13.2) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, con riferimento, di preferenza, alle nuove costruzioni. In altre parole si considerano manufatti, vani aventi un “vuoto” e dove il dimensionamento trova motivazione in quanto debba esservi accolto (feretri, cassette ossario, urne cinerarie). In altre parole, quando si parla di volumi non ci si riferisce a volumi pieni, quanto vuoti.
E’ noto come alcune regioni, con proprie norme regolamentari, abbiano individuato valori differenti, anche se non particolarmente lontani (così come può essere noto che alcune, non molte, sono intervenute (a volte con atti amministrativi, carenti di natura normativa) ad individuare caratteristiche differenti per le inumazioni, magari sulle distanza c.d. interfossa o sulle profondità delle fosse). Pur tuttavia, prendiamo in considerazione i valori dimensionali presente nella sopracitata circolare n. 24 del 24 giugno 1993, in quanto ritenuti noti anche fuori dei singoli ambiti territoriali, ben potendosi riparametrare, se del caso, il tutto avendo presenti specifiche situazioni locali.
Se ne ricavano queste tipologie di “ingombro libero interno” o, se lo si vuole, di “vuoti”.

= “vani” per la tumulazione di feretri (loculi, colombari, avelli, forni e altre denominazioni localmente in uso): 2,25 x 0,75 x 0,70 = volume di 1,18125 m3,
= “vani” per la tumulazione di cassette ossario: 0,70 x 0,30 x 0,30 = volume di 0,063 m3,
= “vani” per la tumulazione di urne cinerarie: 0,30 x 0,30 x 0,50 = volume di 0,045 m3.

In un mondo del tutto palesemente (ed intenzionalmente) astratto, in cui non vi siano altri fattori d’ingombro (maniglie, piedini, anse, simboli, ecc.), si potrebbe affermare che nel “vuoto” occupando da un feretro potrebbero collocarsi 26,25 urne cinerarie (che si tratti di astrazione del tutto accademica è evidente non essendo immaginabile un’urna con dimensioni in termini frazionali). Così non è, ma questo valore appare comunque utile per porre in evidenza come si vengano a modificare le “domande” negli spazi cimiteriali, tanto che si potrebbe sostenere che il “vano”, utile per un singolo feretro, possa prestarsi ad assolvere alla funzione di sepolcro familiare, e per plurime generazioni, prima di raggiungere la saturazione della sua capienza.
Anche se i valori così come riportati sono, e vanno considerati per quello che sono (astratti), essi consentono di evidenziare il cambiamento che deriva sotto il profilo delle “domande” cimiteriali e la loro composizione interna. Al punto che un qualche sepolcro a sistema di tumulazione realizzato in epoche risalenti e che rientri nella disponibilità del cimitero potrebbe non costituire una risorsa, quanto un onere, salvo non si siano le condizioni per una qualche trasformazione delle funzioni, che viene favorita dal fatto che per le cassette ossario come per le urne cinerarie non trovano applicazione gran parte delle disposizioni tecnico-costruttive di cui all’art. 76 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. quando si tratti di tumulazione di feretri. Ma qui ci si potrebbe scontrare con altro, lo spazio (a questo punto non più a 3 dimensioni, quanto a 2) per le iscrizioni di riferimento. Basterebbe considerare gli edifici cellari (art. 80, comma 3 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.) o, comunque i siti in cui sono realizzate nicchie cinerarie, per notare come frequentemente gli spazi lapidi per le iscrizioni siano ampiamente ricoperti dalle iscrizioni stesse, cosa che consegue proprio dalle ridotte dimensioni dei “vani”, degli spazi vuoti …. Ma i familiari “sentono” l’esigenza di apporre le iscrizioni in genere presenti sui sepolcri, rendendoli visibili, leggibili al pari di altre “sepolture”, pur se le dimensioni di questi “vani”, di questi spazi vuoti siano condizionate dalle dimensioni oggettive di quanto debba esservi contenuto.

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