Il diritto di sepolcro: pluralità di componenti e necessità di distinzioni – 2/4

Il sepolcro e l'(eventuale) ereditarietà

Una delle situazioni maggiormente diffuse, in cui questo concorso di elementi qualificativi si mescolano e, talora, sovrappongono è quella che vede, anche in sede di norme regolamentari comunali (ma non solo, dato che anche norme riferibili ad altri livelli di governo vi hanno fatto ricorso) il ricorso al termine di “erede”, od “eredi”, in luogo di quello di familiare (o, familiari) [10], che costituisce una spia di un approccio che privilegia la componente patrimoniale, talvolta perfino obliterando la componente personale.
Di qui, l’orientamento di quanti assolvano alla funzione di operatori di settore di preferire, in caso di decesso del concessionario, l’uso del termine subentro rispetto ad altre terminologie mutuate dagli istituti delle successioni mortis causa. Una tale diffusione apre la strada per affrontare, per quanto possibile, la questione circa il se ed il quanto possa parlarsi di ereditarietà dei sepolcri.
Appare evidente come la questione si intrecci strettamente proprio con le componenti patrimoniali (b) del sepolcro e diritti a questo conseguenti, in particolare riferendosi alla “proprietà” del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, sussistente fino a che duri la concessione del diritto d’uso della porzione di area cimiteriale (a).
Ora, se i diritti conseguenti e derivanti dalla titolarità del sepolcro fossero, in via esclusiva, di natura (solamente) patrimoniale, potrebbe anche argomentarsi per una natura del sepolcro quale bene ereditario e rientrante, al decesso del concessionario, nell’asse ereditario, determinandosi, in tale ipotesi, gli adempimenti successori, al pari di ogni altro bene rientrante nell’asse ereditario. Non solo, ma se questa fosse l’oggettiva situazione di diritto, potrebbe sostenersi altresì l’alienabilità del sepolcro (nel caso, almeno, della proprietà afferente al manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione), secondo gli strumenti in via generale previsti dal (solo) diritto civile (o, altrimenti, diritto privato).
Si tratterebbe di un’impostazione in chiaro contrasto con l’intervenuta abrogazione dell’art. 71 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880 [11], anche se sono numerose le pronunce, specie della giustizia amministrativa (e, soprattutto, in alcune aree geografiche, dove evidentemente il fenomeno è maggiormente presente), che, in relazione alla concessioni sorte prima dell’abrogazione di tale norma, continuano ad affermare una sua continuatività applicativa, sulla base del principio per cui la “regolazione” dei rapporti giuridici attorno ai sepolcri rimane regolata dalle norme vigenti al loro sorgere.
In proposito meriterebbe doversi fare riferimento anche ad un’altra caratteristica, quella della natura familiare (o, gentilizia, che, nel contesto, ne è sinonimo) o ereditaria del sepolcro, casi nei quali (Corte di Cassazione, sez. 2^ civile, 16 aprile 2018, n. 9282) il sepolcro avente natura familiare (il cui diritto d’uso è autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto), a differenza del sepolcro a natura ereditaria, è sottratto a possibilità di divisione non rientrando tra i beni costituenti l’asse ereditario.
A ciò merita di aggiungersi qualche altra considerazione. Se il “bene” (manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione) abbia in sé natura patrimoniale, fin tanto che duri la concessione dell’area cimiteriale, e sia così di proprietà del concessionario, un’eventuale alienazione del “bene” (manufatto) non comporterebbe (stante la sopra riferita abrogazione) altresì l'”alienazione” del titolo di accoglimento nel sepolcro, non solo perché questo non riguarda l’alienabilità della concessione dell’area (a), ma neppure l’appartenenza alla famiglia (c), appartenenza che ha natura personale (alcuni, osano parlare di diritti personalissimi), tanto più che i diritti personali, per loro stessa natura non sono, né possono essere oggetto di alienazione. Non solo, ma se l’eventuale alienazione del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione comportasse (come si aveva, vigente l’art. 71, comma 2 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880) il mutamento del diritto d’uso del sepolcro (e, per inciso, l’uso non si esaurisce nel titolo all’accoglimento nel sepolcro, ma costituisce uso anche il c.d. ius sepulchri secondario, così come il mantenimento del manufatto in condizione di decorosa ed adeguata conservazione), si avrebbe anche un’alterazione dei fini originari, mutando le persone per cui il sepolcro è stato, in origine, eretto.
Inoltre, se il sepolcro abbia natura, esclusivamente, patrimoniale e, di conseguenza, parte dell’asse ereditario, dovrebbero considerarsi, accanto alle ipotesi delle successive legittime, anche le successioni testamentarie. Per quanto oggi siano meno frequenti i casi di successioni testamentarie di un certo contenuto, non sono mancati, nel tempo più o meno risalente, casi di testamenti che istituissero erede universale un qualche ente (a titolo di esempio, si pensi alle Opere Pie, regolate dalla L. 17 luglio 1890, n. 6972, in larga parte oggi abrogata, per quanto non integralmente): anche ammettendo che “traslasse” l'(intero) diritto di sepolcro, risultava spesso improponibile l’individuazione delle persone accoglibili nel sepolcro, in particolare quando l’ordinamento dell’ente istituito quale erede non prevedesse la fattispecie, né avesse finalità ordinamentali in qualche modo “spendibili”, magari anche con estensivi ricorsi all’analogia, per giustificare la fattispecie, con la conseguenza che l’eredità del “bene” (manufatto) ha determinato, di fatto, solo il trasferimento degli oneri manutentivi sul manufatto, costituendo così una componente passiva dell’asse ereditario acquisito (ed accettato) dall’ente. Del resto, non sono rari i casi in cui la proprietà del manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione sia scissa dal titolo ad essere accolto nel sepolcro (il più frequente potrebbe essere il caso del sepolcro che abbia esaurito la propria capienza, ma potrebbero esservi altre vicende che abbiano determinato questa separazione), per cui appaiono deboli eventuali considerazioni attorno al fatto se oneri connessi ai luoghi di sepoltura, ben diverse dagli oneri (o, meglio, spese) per le onoranze funeri o, brevemente, spese funebri) costituiscano componenti passive dell’asse ereditario e se il loro assolvimento implichi accettazione tacita dell’eredità (non senza escludere come un tale assolvimento possa, a certe condizioni, essere riconducibile alla figura dell’adempimento di atti di pietas…).


[10] Ad esempio, si potrebbe considerare come i suoceri (affini in linea diretta ascendente, di 1° grado) di un concessionario non assumano la qualità di erede (nelle successioni legittime; nelle successioni testamentarie potrebbero esserlo, e, in tal caso, in modo indipendente dal rapporto di affinità, al pari di qualsiasi altra persona o soggetto terzo) del concessionario; al contrario, se l’ambito degli appartenenti alla famiglia del concessionario – ai fini della “riserva” di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – stabilita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria (od anche, a certe condizioni, dall’atto di concessione) comprenda anche gli affini, almeno fino ad un certo grado.
Altrettanto potrebbe osservarsi per i cognati (non dimenticando eventuali loro coniugi (talora parimenti chiamati, quanto meno in termini di linguaggio comune), che non hanno neppure la qualificazione di affini (ma che, ai fini della sepoltura, fattori di ordine, diciamo cos&igrave, affettivi, specie allorquando operino concezioni familiari allargate (e non vi sia conflittualità), potrebbero lasciar indurre ad una non esclusione dal titolo di accoglimento in dato sepolcro.
[11] Che si riporta integralmente:
Art. 71.- Il diritto di uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario e a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario.
Il diritto di uso di cui al comma precedente, sia totalmente che parzialmente, può essere ceduto ovvero trasmesso, tanto per atto tra i vivi quanto per atto di ultima volontà, a terzi, salvo che la cedibilità o la trasmissibilità, in tutto o in parte, non sia incompatibile con il carattere del sepolcro secondo il diritto civile, e sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti.

La cessione o trasmissione lascia inalterati gli obblighi imposti dal comune all’originario titolare della concessione.
In ogni caso, ove sussistano ragioni di pubblico interesse, il comune può non riconoscere come nuovo concessionario l’avente causa del titolare della concessione, A tal fine gli interessati devono preventivamente notificare ogni atto di cessione o trasmissione al comune, il quale, entro il termine perentorio di un mese, potrà dichiarare il proprio voto alla cessione o alla trasmissione.
Si osserva:
(a) come tale disposizione (fino a che vigente) al comma 1 richiamasse, in parte, l’attuale art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., nonché
(b)
come il comma 2 non si riferiva al “bene” (manufatto sepolcrale a sistema di tumulazione, quanto al suo diritto d’uso (cioè distinguendo tra “bene” e “uso del bene”);
(c) come, comma 3, una tale evenienza lasciasse inalterati gli obblighi imposti dal comune all’originario titolare (cfr., oggi: art. 92, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.);
(d) come tale “transazione” fosse sempre subordinata ad un “riconoscimento” da parte del soggetto titolare della demanialità cimiteriale, “riconoscimento” che non costituisce, per il comune, atto dovuto, ma oggetto di valutazione.

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Sereno Scolaro

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