Secondo autorevole dottrina la concessione di aree o manufatti cimiteriali ricadrebbe fra i provvedimenti con natura traslativa e non costitutiva.
Con essa la pubblica amministrazione trasferisce al privato una parte delle facoltà e dei poteri relativi al bene, che istituzionalmente le spetta, ovvero nel nostro caso: il demanio cimiteriale.
La giurisprudenza ritiene che la concessione cimiteriale consista essenzialmente di un atto amministrativo unilaterale, con cui la pubblica amministrazione (art. 107 comma 3 lett. f) D.Lgs n. 267/2000 sull’inderogabile competenza dirigenziale) delibera di concedere l’area o il fabbricato al privato cittadino.
Si tratta quindi di una convenzione con cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dalla quale scaturiscono i diritti soggettivi e gli obblighi del concessionario.
La concessione cimiteriale assume la veste giuridica di scrittura privata autenticabile in caso d’uso o di atto pubblico.
Nel secondo caso sarà direttamente il segretario comunale a rogare l’atto, visto l’art. 97 comma 4 lett. c) D.Lgs n. 267/2000.
Va, pertanto, distinto il momento pubblicistico, con il suo atto d’imperio unilaterale d’individuazione del concessionario, da quello privatistico, incentrato sulla stipula di un negozio giuridico bilaterale.
Ne deriva che la controversia sull’inadempimento delle obbligazioni assunte da una parte, nell’ambito di tale rapporto, esula dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, coinvolgendo il diritto soggettivo alla corretta esecuzione del contratto (T.A.R. Lombardia Brescia, 27 giugno 2005, n. 673).
La dottrina rileva un nesso asimmetrico: il contratto che si accompagna alla concessione è solo la logica premessa di questa.
I diritti e gli obblighi del privato derivano direttamente dalla concessione.
Da qui la conseguenza del potere dell’amministrazione di incidere direttamente sull’atto di concessione, cui il contratto – che ne è mero presupposto – deve dunque cedere.
L’atto di concessione (per fattispecie concreta e particolare ex art. 1372 Cod. Civile) ed il regolamento comunale di polizia mortuaria (come parametro generale ai sensi degli artt. 1, 3 e 4 – Disposizioni sulla Legge in Generale di cui al R.D. n. 262/1942) hanno entrambi valore normativo.
Ovviamente il regolamento comunale è funzionalmente sovraordinato, in quanto si colloca a monte, come premessa necessaria, in tutti i procedimenti di polizia mortuaria del Comune.
Sarebbe, allora, assai opportuno definire la relazione gerarchica tra atto di concessione e regolamento comunale, in base ad un criterio cronologico.
Eventuali riforme o cambiamenti del regolamento municipale di polizia mortuaria si applicano ex nunc (cioè da adesso in poi) solo ai nuovi rapporti di concessione, al momento del loro perfezionarsi (tempus regit actum).
Oppure hanno valore ex tunc (già da allora) con riflessi, al passato, sulle concessioni già poste in essere (Jus Superveniens), quando vigeva una diversa legislazione?
“Lex posterior derogat priori”, dicevano i giuristi romani.
Tale brocardo è stato, poi, codificato nel nostro ordinamento moderno dall’art. 15 delle “Disposizioni sulla legge in generale” del Cod. Civile.
“La Legge non dispone se non per l’avvenire”, anche se l’assoluta irretroattività della norma è tassativamente affermata solo per la Legge Penale (Art. 25 comma 2 Cost.).
Ogni concessione del diritto d’uso di aree o manufatti a fine sepolcrale deve risultare da apposito e regolare atto.
Questo deve contenere l’individuazione della sepoltura, le clausole e le condizioni di impiego della medesima.
Pertanto nell’atto concessorio si devono necessariamente indicare almeno:
1) la tipologia della concessione, la sua identificazione presso il c.d. Catasto cimiteriale e il numero di posti feretro realizzati o ricavabili;
2) la durata, quindi implicitamente la temporaneità del rapporto da costituirsi;
3) la persona titolare della concessione o, nel caso di Enti e collettività, il legale rappresentante;
4) le salme/cassette ossario o urne cinerarie destinate ad esservi eventualmente accolte o i criteri, per la loro precisa individuazione;
5) gli obblighi ed oneri manutentivi cui è soggetta la concessione, ivi comprese le situazioni di inadempimento, causa di decadenza;
6) l’onerosità della stessa. Il canone concessorio è calcolato in base all’art. 4 comma 2 D.M. 1 luglio 2002, emanato ai sensi della L. 30 marzo 2001 n. 130.
Sotto il profilo semantico differente è la lex sepulchri, come atto inter privatistico con cui, in caso di co-titolarità, gli aventi diritto disciplinano il godimento in comune della res sepolcro e l’ordine di accoglimento nel medesimo, altrimenti scandito dalla cronologia degli eventi luttuosi.
Sicuramente può esser formato un regolamento “interno” ex art. 1106 cod. Civile da notificare al Comune, cui però, nel frangente di controversia la P.A. resta estranea.
Essa si limita a garantire il mantenimento dello status quo, sino a quando le parti in lite abbiano raggiunto una ricomposizione delle vertenza, extra giudiziale, o con sentenza definitiva del Giudice.
Nemmeno la lex sepulchri, tuttavia, anche quando solennemente “scolpita” nel momento genetico dello ius sepulchri (ossia quando sorge la concessione), può derogare alle norme quadro di tipo pubblicistico.
Ad esempio La tomba, fatta salva espressa previsione nell’atto concessorio e per volontà del fondatore stesso, è sempre da presumersi di carattere famigliare e non ereditario.
Così, almeno, ex multis Cass. Civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804, in Giust. civ., 2004, I, 397.
Parimenti l’uso del sepolcro è riservato ex art. 93 D.P.R. n. 285/1990, al concessionario primo ed alla di lui famiglia, la cui definizione operativa per gli uffici di polizia mortuaria è data dal regolamento locale sui servizi funerari.
Il concessionario e gli aventi diritto hanno il dovere di rispettare rigorosamente le modalità di utilizzo della concessione, secondo il dettato del vigente regolamento comunale e le norme ad hoc indicate nel provvedimento di concessione.
L’art. 91, D.P.R. 285/1990, stabilisce che tali aree, in cui possono essere costruiti sepolcri anche in forma di cappelle gentilizie, devono essere previste nei piani regolatori cimiteriali.
Da queste ed altre disposizioni del regolamento statale si evince chiaramente la volontà del legislatore di assicurare al Comune il pieno controllo e l’organizzazione del cimitero.
Così da garantire la tutela della salute pubblica e il rispetto della destinazione del luogo al culto dei defunti e all’unione familiare.
La concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dall’eventuale perpetuità del diritto di sepolcro (Cass. Civ., Sez. II, 16 gennaio 1991, n. 375).
Dalla concessione amministrativa di terreno demaniale destinato ad area cimiteriale per edificare una tomba, deriva in capo al concessionario un diritto di natura reale sul bene – il cosiddetto diritto di sepolcro.
La sua manifestazione è costituita prima dall’edificazione, la quale, poi, è strumentale, cioè teleologicamente finalizzata all’esercizio effettivo del diritto alla sepoltura.
Le tombe non possono in alcun caso formare oggetto di lucro o o speculazione, al pari è vietata la cessione inter vivos tra privati.
Inoltre non possono essere impiegate per la sepoltura di persone che non abbiano maturato in vita il diritto di sepolcro (si richiama la vigenza attualissima dell’art. 102 D.P.R. n. 285/1990).
I concessionari si obbligano a mantenere le tombe in condizioni di solido e decoroso stato e di curare costantemente la manutenzione di lapidi e degli ornamenti funebri che vi siano collocati.
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