I sepolcri e la questione femminile – 2/2

Avendosi in precedenza richiamato formulazioni risalenti presenti nei singoli Regolamenti comunali di polizia mortuaria, una delle questioni che potevano aversi era se le persone discendenti dal concessionario – specie quando di genere femminile – conservassero l’appartenenza alla famiglia di questi col matrimonio o meno, magari distinguendo se il matrimonio avvenisse prima o dopo il decesso del concessionario, momento temporale che poteva influire, anche in modo rilevante, sulle previsioni di regolazione del subentro che si determinavano, appunto, con la morte del concessionario, cosa che poteva determinare effetti non equilibrati (per non dire: discriminanti, se non discriminatorie!) tra persone discendenti dal concessionario comunque di genere femminile, a seconda del loro stato – nubili/coniugate; non consideriamo qui le vedove, essere state coniugate e attualmente non lo siano più (Art. 149 C.C.).
Queste impostazioni traevano origine da valutazioni, più di ordine sociale (o, se lo si voglia, antropologico) che di altra natura, per cui col matrimonio le figlie “lasciavano” la famiglia paterna per entrare nella famiglia maritale (o, più esattamente, in quella del suocero, in quanto parente in linea ascendente del marito).
Ne può essere esempio una formulazione del tenore, più o meno, seguente: “Le figlie passate a nozze conservano il diritto personale di sepoltura, ma non lo trasmettono al marito ed ai figli”.
A parte quel “passate a nozze”, che potrebbe indurre ad alcune considerazioni, la prospettazione di una “conservazione” del diritto lascia intendere come vi sia un impianto che vedrebbe quale regola una sua perdita e come eccezione, deroga (per “bontà” regolamentare …) data all’ammissione di una sua “conservazione.
A ciò si aggiunga come in questa formulazione si obliteri il fatto che i figli nati dalla figlia coniugata non sono solo discendenti del marito di questa, ma siano, altresì, discendenti, in linea discendente e diretta, anche del concessionario!
Ma ciò è/era dovuto al fatto che, di norma, si reputava, socialmente, che i figli (quale ne fosse l’appartenenza di genere) delle figlie coniugate erano (prioritariamente?) appartenenti alla famiglia maritale, cosa ovvia se quest’ultima fosse anch’essa titolare di una concessione cimiteriale.

Proviamo ora ad affrontare la questione del rapporto giuridico di affinità (cui abbiano già fatto un lieve cenno).
Infatti, qualora il Regolamento comunale di polizia mortuaria individuasse come appartenenti alla famiglia del concessionario anche gli affini, una previsione quale quella sopra riportata risulterebbe conflittuale, nel senso che il coniuge della figlia maritata (oggi, si preferirebbe parlare di “coniugata” …) sarebbe affine (di 1° grado) rispetto al concessionario del sepolcro, cosa che contraddirebbe l’assunto di non trasmissione al marito. Analogamente, sarebbero nella medesima situazione anche i c.d. co-suoceri.
Ma, elemento di maggiore criticità apparirebbe essere quello che consideri le figlie del concessionario a seconda che siano, alla morte di questi, nubili oppure coniugate, in relazione alle condizioni di subentro rispetto alla concessione cimiteriale e, in relazione a questo istituto, se essi determini che le persone subentranti assumano, altresì anche ed a loro volta, la posizione di concessionario o meno.
Si noterà che in tali situazioni potrebbero aversi effetti non pre-valutati in sede di redazione del Regolamento comunale di polizia mortuaria (e aspetti non pre-valutati in tale sede sono ben più diffusi di quanto non si immagini).
In conclusione, può essere opportuno un qualche esame del testo regolamentare, allo scopo di individuare quali possano essere, eventualmente, i fattori di criticità, in modo che nell’occasione in cui si ritenga di intervenirvi sia possibile introdurre gli aggiustamenti che evitino incoerenze.

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Sereno Scolaro

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