Ai primi di marzo si dava informazione di un Provvedimento del 19 dicembre 2024, su particolari sepolture, adottato dall’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Un comune capoluogo di provincia lombarda era stato sanzionato per avere praticato erronee procedure, in relazione all’identificazione di operazioni cimiteriali di feti e nati morti.
Dal Provvedimento emergono anche alcune modalità adottate dalle locali ASL, cosa per altro poco colta.
Situazioni di anomalie che, nel passato, avevano, pur con differenti sfaccettature, interessato anche Roma Capitale.
Tuttavia qui non si trattava di irritualità della modulistica sanitaria o incomprensioni tra enti aventi diverse finalità, quanto del fatto che l’azienda affidataria del servizio aveva avuto indirizzi operativi provenienti dal titolare del servizio (e del capitale sociale, trattandosi di società in house).
Indirizzi che erano stati emanati su impulso di soggetti terzi.
In altra regione vi è stata una modifica della locale legge regionale interessante le medesime fattispecie, con formulazioni tecnicamente ineseguibili.
Anche qui per input di soggetti condizionati da valutazioni da essi stessi affermate quali ideali, quando sono altro, che – negli effetti – concretamente costituiscono un’alterazione a principi elementari coerenti con la dignità delle persone a vario modo coinvolte.
Si rimuove il fatto, difficilmente contrastabile, che le fattispecie regolate dall’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. coinvolgono persone, affetti, relazioni e altri aspetti, rispetto a cui non si può non richiamare, appunto, la dignità delle persone.
In entrambe le realtà sopraricordate, l’attenzione dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ha preso in considerazione le modalità di gestione cimiteriale, in particolare le modalità di “qualificazione” delle “sepolture”, cioè gli elementi utilizzati per contraddistinguerle.
Verrebbe da porre (e la domanda va posta) la questione se per queste fattispecie debba contraddistinguersi la “sepoltura”.
Dal momento che, in tutte le tipologie considerate dall’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., pur nelle loro differenziazioni interne, difetta l’acquisizione della capacità giuridica, alla luce dell’art. 1 C.C.
Per ragioni pertinenziali occorre richiamare l’art. 37 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 e s.m. che, tra l’altro, ha origini ben remote risalendo al 1865 senza subire alterazioni.
Anche quando, nel frattempo, siano intervenuti “strumenti” approntati e funzionali per dare una sistemazione coerente a queste fattispecie.
In esso si considera il caso per cui, al momento della dichiarazione di nascita, il nato non sia vivo, distinguendo tra nato morto e nato vivo, ma morto successivamente.
E dettando, a seconda del caso, due modalità operative: nel primo caso viene formato il solo atto di nascita (facendo risultare in questo tale fatto), mentre nel secondo caso sono formati sia l’atto di nascita che l’atto di morte.
Anche qui, sia nell’uno come nell’altro caso, non vi è (stato) acquisto della capacità giuridica.
Questo potrebbe suggerire che le “sepolture” non comportino necessariamente l’utilizzo di fosse nei c.d. “campi bambini”.
Essi, per altro, a partire dal 10 febbraio 1976, non sono più previsti nelle modalità strutturate un tempo vigenti a partire dal R.D. 11 gennaio 1891, n. 42.
Inoltre, altrettanto non necessariamente, dovrebbe applicarsi l’art. 73 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. di modo che potrebbero utilizzarsi anche aree che, magari solo per fattori dimensionali, non si prestino ad accogliere fosse.
Ma sotto il profilo identificativo, se proprio si voglia ricorrervi, non va dimenticata la previsione dell’art. 70 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Qui l’elemento contraddistinguente (cippo) richiede l’indicazione di un numero progressivo, cosa in sé sufficiente, lasciando eventuali indicazioni risultanti da atti antecedenti (es.: le autorizzazioni alla “sepoltura” trasmesse dall’ASL) come “atti interni”, sottratti all’accesso in applicazione dell’art. 9, par. 2 del Regolamento (UE) 2026/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (RGPD). Quest’impostazione potrebbe essere contestata traendone argomento dallo stesso art. 70, comma 2, se non fosse che i dati personali ivi indicati presuppongono l’avvenuto acquisto della capacità d’agire, che, per definizione, non è intervenuto.
Non essendovi tali dati ed elementi diventa difficile indicare quanto non vi è.
Questa situazione si avrebbe solo nel caso particolare del nato vivo e deceduto prima della dichiarazione di nascita, ma ciò si colloca del tutto al di fuori della fattispecie dell’art. 7 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., essendosi in tal caso in presenza di un bambino (precocemente deceduto).
Forse, si potrebbe estendere questo approccio al caso del nato morto quando nel matrimonio (art. 255 C.C.), ma unicamente in termini di “apertura” verso i genitori valorizzando un orientamento di tutela della loro dignità.
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