Ampliamento emergenziale del cimitero: l’ordinanza sindacale non è strumento idoneo

I Tribunali italiani, in più di un’occasione, hanno ritenuto non conforme alla Legge il rimedio del tutto extra ordinem, costituito dall’ordinanza sindacale contingibile e urgente.
Ciò quando assunta, per specifici motivi igienico-sanitari, come strumento di governo emergenziale del cimitero, nel caso in cui l’ampliamento di quest’ultimo non sia più procrastinabile.
Qui la competenza assoluta del Sindaco è pacifica ed assodata.
Vi sono, invero, situazioni locali di forte sofferenza per mancanza ormai cronica di spazi o edifici da adibire ad uso sepolcrale.
Ci riferiamo in particolar modo, all’insufficiente capacità di ricezione dei quasi saturi campi d’inumazione, mentre la ciclica attività cimiteriale dovrebbe, ex art. 337 T.U.LLSS, esser assicurata tramite gli ordinari turni di rotazione in campo comune di terra.
Sin qui la lettera della Legge; peccato che in molti contesti territoriali si proceda ancora, nella navigazione movimentata della gestione cimiteriale, grazie a dubbie prassi seppur consolidate, e non tanto sulla base del diritto funerario posto, e della sua certezza.

Ecco in nuce il ragionamento cui spesso addiviene il giudice adito per dirimere liti in merito alla disponibilità di posti feretro.
La condotta dell’Ente locale, che omette di porre in essere per tempo tutte le procedure tecniche ed amministrative idonee a far fronte in modo tempestivo ai bisogni pubblici, è gravemente censurabile.
Ciò poiché in mancanza di un congruo ingrandimento del locale cimitero, per rispondere positivamente alla necessità di aree per le sole inumazioni in campo comune, questa si configura, pur sempre, come un’inadempienza a precisi obblighi di legge.
Non si può, dunque, pretendere di ovviare alla conseguente carenza di aree cimiteriali occupando – senza indennizzo alcuno – i beni di privati mediante un provvedimento straordinario.
Tale urgenza si cagiona non già da sopravvenienze impreviste ed imponderabili, bensì dalla stessa inefficienza gestionale dell’Ente.

L’ordinanza contingibile ed urgente non può surrogare le procedure espropriative ordinarie e non può rinvenire il suo presupposto di urgenza nell’inerzia della stessa amministrazione.
Se il Comune non interviene per tempo, nel dovuto ampliamento del cimitero comunale, espropriando semmai all’uopo le aree in futuro soggette a vincolo cimiteriale, è evidente l’incapacità della sua azione amministrativa.
Tale grave lacuna non può ridondare a danno dei cittadini concessionari di sepolcri privati.
L’avvenuta esecuzione di inumazioni o tumulazioni nell’immobile occupato (giardini dati in concessione, o porzioni di fabbricati – anche in connessione con la perdurante e contestuale procedura ablatoria realizzativa dell’ampliamento cimiteriale – rende poco verosimile la tesi secondo cui le aree sarebbero senz’altro restituibili, decorso il termine semestrale di occupazione previsto nell’atto impugnato.

Nel caso di uso senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, il Comune deve valutare la possibilità di ricorrere allo strumento ablatorio speciale predisposto dall’art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
La norma contempla questa potenziale situazione.
In caso di sfruttamento senza titolo di un bene per fini di interesse pubblico, c’è sempre facoltà per l’amministrazione che utilizza, ad es. un bene immobile per scopi di interesse pubblico, di disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vengano risarciti i danni.
La palese illegittimità dell’ordinanza contingibile e urgente comporta l’accoglibilità della domanda risarcitoria.

La determinazione del quantum debeatur dipende essenzialmente dagli sviluppi successivi dell’azione amministrativa e, in particolare, dalla scelta comunale in ordine alla restituzione (previa eventuale bonifica dei suoli).
Ovvero in ordine alla commutazione della procedura in procedura propriamente ablatoria, che prevede la corresponsione di un indennizzo, da dedursi dall’equivalente pecuniario del danno risarcibile.
Qualora si eserciti l’azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l’amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.
Nel caso in cui il giudice amministrativo escluda la restituzione del bene senza limiti di tempo disponendo, invece, la condanna al risarcimento del danno, l’autorità ordinante l’occupazione dell’area emana l’atto di acquisizione, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno.
Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.

L’art. 35, comma 2, del D.L.vo n. 80 del 1998, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devano proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.
Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, si può chiedere la determinazione della somma dovuta.
Quanto ai criteri in base ai quali l’amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma a titolo risarcitorio, occorre conseguentemente distinguere due ipotesi.

Se l’amministrazione decide di procedere ai sensi dell’art. 43, D.P.R. 327/2001, allora, come previsto dal suddetto art., l’atto di acquisizione dovrà esso stesso determinare la misura del risarcimento del danno.
Dovrà inoltre disporne il pagamento, entro il termine di trenta giorni.
Ciò secondo il criterio di quantificazione dettato dal comma 6 dell’art. 43, D.P.R. 327/2001:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità;
b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.
Il valore del fondo è da determinarsi secondo il criterio dettato dall’art. 32, D.P.R. 327/2001, sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’occupazione.
Si valuterà altresì l’incidenza dei limiti di qualsiasi natura non aventi forza o valore espropriativo, senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista.
Bisogna invece tenere conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui eseguite e ad altre circostanze, che esse siano anteriori all’occupazione.

Se, invece, l’amministrazione dovesse decidere di restituire gli immobili, il Comune deve procedere alla compiuta e integrale bonifica degli spazi sepolcrali utilizzati pro tempore, restituendoli effettivamente ed oggettivamente nello stato effettivo prima della indebita occupazione.
Il danno risarcibile andrà commisurato esclusivamente al mancato uso del bene per il tempo della illegittima occupazione, oltre ai danni emergenti – quali l’abbattimento di alberi e la distruzione di colture in atto.
Il danno da mancato uso andrà quantificato secondo il criterio di cui all’art. 50 del t.u. espropriazioni per l’indennità di occupazione.
Quando il Comune abbia preso possesso di un area, il proprietario ha diritto ad una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto dovuto nel caso di esproprio dell’area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua.
In ogni caso la somma capitale del risarcimento per equivalente andrà maggiorata degli interessi al tasso legale dal dì dell’illegittima occupazione fino all’effettivo pagamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 febbraio 2006, n. 1778, in Foro amm. TAR, 2006, 2 685).

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