Guidare in retromarcia senza guardare lo specchietto retrovisore – 1/7

Questo articolo è parte 1 di 7 nella serie Post maturità del DPR 285/1990

In elaborati di consistenza, in termini di pagine, maggiore rispetto a quella ammissibile per le pubblicazioni sul web, si è avuto modo, in più occasioni, di sostenere, essendone convinti, che il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. presentasse alcune caratteristiche di “post maturità”, termine tratto dall’uso che questa parola fa l’ambiente dell’ostetricia, cioè per indicare i nati dopo una gravidanza più lunga rispetto a quella che fisiologicamente dovrebbe essere.
Si tratta di bambini che si presentano alla vista come “vecchietti”, sia nel viso che nell’epidermide. Non entriamo nelle “speranze di vita”, né se o quanto queste situazioni possano successivamente rientrare in standard abbastanza consueti, ma solo rilevare come una gravidanza, più lunga di quella che dovrebbe essere, fisiologicamente comporta alcuni effetti.
Alcuni “testi” (2022, 2023) inducono a riprendere questo tema (o, se lo si voglia, questa qualificazione), cercando di illustrarla maggiormente o con argomenti un tempo meno usati.
L’argomentazione sulla “post maturità” non va mai posta in relazione al fatto che tale fonte normativa (di rango secondario, aspetto da non rimuovere mai) costituisce una sorta di “riscrittura”, più o meno aggiornata, dei precedenti Regolamenti nazionali di polizia mortuaria, cosa che è coerente con il contesto del succedersi delle norme in materia, ma – in primis – col fatto che esso non ha tenuto conto che, al momento della sua emanazione (e, successiva entrata in vigore), era entrata in vigore (13 giugno 1990) la L. 8 giugno 1990, n. 142 “Ordinamento delle autonomie locali”, la quale era intervenuta su plurimi aspetti, inclusi quelli regolatori delle funzioni, e competenze, degli organi dei comune, nonché di soggetti che, pur non essendo propriamente “organi” dei comuni, venivano ad assolvere a funzioni in precedenza tipicamente di specifici “organi” delle Autonomie locali.
Questa considerazione non deve minimamente essere letta come una qualche critica, ma deriva dal fatto che i procedimenti di formazione delle norme di rango secondario (Regolamenti) sono differenti, anche per gli ”attori” e non solo per i procedimenti in quanto tali, coinvolgendo organismi aventi natura maggiormente “tecnica” (es., nello specifico: Consiglio Superiore di Sanità) e non organismi titolari della funzione legislativa (cui compete, come si desume dal termine stesso, il procedimento di formazione delle leggi, cioè di norme di rango primario; certo, vi sono (art. 76 Cost.) anche “fonti” di norme di rango primario alla cui formazione agiscono “attori” distinti rispetto a quelli cui spetta propriamente l’esercizio della potestà legislativa. Si tratta di quegli atti che, dopo la L. 23 agosto 1988, n. 400, sono attualmente denominati quali “decreti legislativi” (D. Lgs.).

L’art. 30 L. 8 giugno 1990, n. 142 indica quali siano gli “organi” delle Autonomie locali, mentre il successivo art. 32, in particolare al comma 2, individua le competenze dei consigli comunali (per ragioni di materia, non si richiameranno le disposizioni che riguardano i consigli provinciali), i quali, innovativamente rispetto alla situazione antecedente, non hanno più competenze generali, bensì “limitatamente ai seguenti atti fondamentali” (elencandoli): si tratta di una svolta importante rispetto all’impianto che si aveva dall’Unità d’Italia (o, meglio, a partire dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248 ed i suoi Allegati – ciascuno dei quali costituiva un Testo unico in una particolare materia) e che aveva visto quale unica modificazione l’epoca podestarile (a partire dalla L. 4 febbraio 1926, n. 237 “Istituzione del Podestà e della Consulta municipale nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti“), successivamente estesa con il R.D. 3 settembre 1926, n. 1910 “Estensione dell’ordinamento podestarile a tutti i comuni del regno“, disposizioni con cui gli organi elettivi dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni svolte in precedenza dal sindaco, dalla giunta comunale e dal Consiglio comunale furono trasferite alla figura del podestà, nominato dal Governo tramite regio decreto
Al successivo art. 35 L. 8 giugno 1990, n. 142 sono individuate le competenze delle giunte comunali:

Art. 35. (Competenze delle giunte)
1.- La giunta compie tutti gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia, degli organi dei decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività, ne attua gli indirizzi generali e svolge attività propositiva e di impulso nei confronti dello stesso.

In questa citazione si sono, intenzionalmente, sottolineati alcuni passaggi, in particolare quelli che riguardano figure che non sono propriamente “organi del comune”, incluse le figure, chiamiamole “strumentali” (o, anche” “burocratiche”), del segretario e dei funzionari dirigenti. Ciò porta a richiamare l’art. 51. Il quale prevedeva:

Art. 51. (Organizzazione degli uffici e del personale)
1. I comuni e le province disciplinano con appositi regolamenti la dotazione organica del personale e, in conformità allo statuto, l’organizzazione degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità. Il regolamento disciplina l’attribuzione ai dirigenti di responsabilità gestionali per l’attuazione degli obiettivi fissati dagli organi dell’ente e stabilisce le modalità dell’attività di coordinamento tra il segretario dell’ente e gli stessi.

2. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti.
3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell’ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d’appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti.
4. I dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione.
5. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire.
6. Gli incarichi di direzione di aree funzionali possono essere conferiti a tempo determinato, con le modalità e secondo i termini fissati dallo statuto. Il loro rinnovo è disposto con provvedimento motivato, che contiene la valutazione dei risultati ottenuti dal dirigente nel periodo conclusosi, in relazione al conseguimento degli obiettivi e all’attuazione dei programmi, nonché al livello di efficienza e di efficacia raggiunto dai servizi dell’ente da lui diretti.
L’interruzione anticipata dell’incarico può essere disposta con provvedimento motivato, quando il livello dei risultati conseguiti dal dirigente risulti inadeguato. Il conferimento degli incarichi di direzione comporta l’attribuzione di un trattamento economico aggiuntivo, che cessa con la conclusione o l’interruzione dell’incarico.
7. Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità.
8. Lo stato giuridico ed il trattamento economico dei dipendenti degli enti locali è disciplinato con accordi collettivi nazionali di durata triennale resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica secondo la procedura prevista dall’articolo 6 della legge 29 marzo 1983, n. 93.
In ogni caso rimane riservata alla legge la disciplina dell’accesso al rapporto di pubblico impiego, delle cause di cessazione dello stesso e delle garanzie del personale in ordine all’esercizio dei diritti fondamentali.
Nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge, rimane inoltre riservata agli atti normativi degli enti, secondo i rispettivi ordinamenti, la disciplina relativa alle modalità di conferimento della titolarità degli uffici nonché alla determinazione ed alla consistenza dei ruoli organici complessivi.
9. La responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d’ufficio e la riammissione in servizio sono regolati secondo le norme previste per gli impiegati civili dello Stato.
10. E’ istituita in ogni ente una commissione di disciplina, composta dal capo dell’amministrazione o da un suo delegato, che la presiede, dal segretario dell’ente e da un dipendente designato all’inizio di ogni anno dal personale dell’ente secondo le modalità stabilite dal regolamento.
11. Le norme del presente articolo si applicano anche agli uffici ed al personale degli enti dipendenti, dei consorzi e delle comunità montane, salvo quanto diversamente previsto dalla legge.”.

Si tratta di cambiamenti non di poco conto, in particolare alla luce delle disposizioni dell’art. 51, commi 2 e 3 L. 8 giugno 1990, n. 142, ma , altresì, con riguardo all’introduzione dello Statuto comune.
Per inciso, si può osservare come nell’intero testo del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. non vi sia cenno di sorta alle competenze delle giunte comunali.

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Written by:

Sereno Scolaro

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