Guidare in retromarcia senza guardare lo specchietto retrovisore – 2/7

L'articolo è parte 2 di 7 nella serie Post maturità del DPR 285/1990
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La più volte citata L. 8 giugno 1990, n. 142 è stata, di seguito, abrogata e superata, sostituita dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, in vigore dal 13 ottobre 2000, in cui si ritrovano i medesimi impianti, in particolare richiamando il suo art. 107, di cui si segnalano i commi 1 e 3, ma non senza trascurare il comma 4, disposizione che era stata nella sostanza anticipata dall’art. 3, comma 3 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, ma si vedano altresì, dello stesso art. 3, i commi 1 e 2, secondo un’impostazione che era già stata introdotta in precedenza, anche se non con norme di rango primario (né secondario), bensì con previsioni del C.C.N.L. Autonomie Locali. Di seguito, si preferirà richiamare il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. piuttosto che la L. 8 giugno 1990, n. 142.

Pare ora opportuno riprendere il D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. cercando di riportarlo nel contesto delle norme di rango primario vigenti alla sua entrata in vigore (1990) e/o a quelle succedute (2000), cosa che non richiede di affrontare tutte le evenienze in cui il Regolamento (nazionale) di polizia mortuaria chiami in causa la figura del sindaco, limitandoci ad alcune.
L’art. 10 attribuisce al sindaco la titolarità di ridurre, ricorrendo alcune condizioni, la durata del periodo di osservazione, cioè situazioni che (salva quella in cui è presente la formulazione: “… quando altre ragioni speciali lo richiedano…”) richiamano alle competenze del sindaco individuate dall’art. 50, comma 5 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., così come la previsione dell’art. 16, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. appare con sufficiente chiarezza riferibile alle funzioni considerate dall’art. 50, comma 4 D.Lgs. 18 settembre 1990, n. 285 e s.m.
In relazione alla disposizione di cui all’art. 22 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. si potrebbe, forse, valutare se si tratti di competenza rientrante nell’alveo dell’art. 50, comma 7 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., oppure se non trovi applicazione piuttosto l’art. 107, comma 3, lett. f) D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m., propendendosi, in via interpretativa, per questa seconda prospettazione.

Non così può dirsi in relazione agli artt. 23, 24, 26, 34 (e 36) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dato che queste autorizzazioni (poco rileva se qualificate con un termine (“decreto”) od altro) nulla hanno a che vedere con materia igienico-sanitarie (o, se si voglia, di tutela della salute) avendo natura di autorizzazione amministrativa ad una specifica attività, il trasporto funebre, che non presenza aspetti a ciò riconducibili.
Semmai, aspetti di questa natura si collocano in una fase precedente, come quella del c.d. confezionamento del feretro, ma anche qui (a parte le ipotesi delle morti da malattie infettive-diffusive comprese nell’apposito elenco ministeriale) si tratta di porre in essere prestazioni ed attività predeterminate e predefinite richiedenti una specifica preparazione professionale (e, non casualmente il Punto 9.7) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 indicava che: “La rispondenza del feretro alle prescrizioni stabilite …., nonché, in caso di decesso dovuto a malattie infettive-diffusive, a quanto prescritto dagli articoli …, e infine l’avvenuto trattamento antiputrefattivo, è certificato dal personale a ciò delegato dall’unità sanitaria locale del luogo di partenza, unitamente alla verifica della identità del cadavere”, individuando una competenza tecnico professionale non certo amministrativa (e, men che meno, comunale).
Si tratta di competenze che rientrano appieno, senza grandi ombre di dubbio, tra quelle considerate all’art. 107, comma 3 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. e, in maggiore dettaglio, alle lett. f) e/o h).
Per altro, un cenno specifico merita l’art. 21, in cui è evidente come i “regolamenti locali” di rinvio non siano quelli aventi ad oggetto la polizia mortuaria, quanto ratio materiae quelli pertinenti al c.d. “governo del territorio”, cioè le norme proprie ed attuative degli strumenti urbanistici, per cui il “provvedimento del sindaco” non è un titolo autorizzatorio, quanto quello oggi noto quale “certificato di destinazione urbanistica” (C.D.U.) (artt. 4 e 30 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.), il cui rilascio è di competenza dirigenziale (testé citato art. 30, comma 3).

Una menzione particolare va operato rispetto all’art. 39 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., dal momento che la “scheda di morte” di cui all’art. 1 dello stesso D.P.R. è divenuta (dopo “vicende” sorte nel 1993 e che, per ragioni temporali, comprensibilmente possono non essere nella memoria di molti) formata con due esemplari aventi distinte destinazioni: la “copia per l’ISTAT” e “copia per l’ASL”, ciascuno dei quali è interessato a flussi documentali diversi, e separati, tanto che il primo è formato dall’Ufficiale dello Stato civile, con ciò avendosi la separazione tra competenze del sindaco e di quest’ultima figura.
Ne consegue che una rettifica del contenuto della “scheda di morte” coinvolge principalmente l’Ufficiale dello stato civile, pur se non debba mancare analoga rettifica nell’altro esemplare (art. 1, comma 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., nel quale, per altro, si parla di “comune” …, non di altre figure). Considerazioni analoghe in relazione all’art. 45 stesso D.P.R.

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Sereno Scolaro

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