Vendita di tombe: per nomen juris o… vizio di forma?

Il culto dei defunti rientra nell’ambito dei limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale, vertendosi in tema di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale, ed in cui la posizione attorea, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio, risulta agevolata, nei termini di cui all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità: viene riconosciuto ai congiunti il risarcimento dei danni causati in conseguenza di comportamenti illegittimi che abbiano privato gli stessi della possibilità di onorare le spoglie mortali.

La sistematica violazione delle principali norme di polizia mortuaria (sostanzialmente vendita di tombe tra privati), in determinate regioni del mezzogiorno dove il fenomeno negativo è endemico, assume tratti di eroica comicità (invontaria, per di più all’italiana!).
Nel capoluogo campano si è, infatti, rasentato il sublime, con l’amministrazione, per una volta impegnata davvero contro queste compravendite illegittime di concessioni cimiteriali o addirittura di sepolcri abusivi.
Ebbene, il Comune di Napoli riesce a perdere – e malamente – una causa avanti il Consiglio di Stato, praticamente già vinta.
Sullo sviluppo argomentativo della giurisprudenza amministrativa di legittimità ci siamo già abbastanza soffermati con l’articolo: Vendita di tombe: ribaltone in Consiglio di Stato???, cui si rinvia senza esitazione alcuna, per gli approfondimenti del caso.

Al di là della facile e greve ironia converrebbe almeno soffermarsi su alcuni aspetti squisitamente di diritto in tutta questa vicenda processuale.
Dunque, in nuce: il Comune de quo constatata una palese infrazione al proprio Regolamento Municipale di Polizia Mortuaria applica misure punitive.
La violazione del precetto regolamentare conduce alla revoca della concessione cimiteriale, che (tuttavia) secondo la disciplina regolamentare può avvenire con:

  • revoca della concessione per esigenze di pubblico interesse
  • decadenza della concessione e obblighi del concessionario

Allora, la «revoca decadenziale» operata dal Comune, ammette il G.A., si presenta come «una sorta di intermedio», con caratura sanzionatoria per violazione degli obblighi regolamentari di cessione del bene, in evidente contrasto con il diritto spettante al concessionario, «in quanto adottato non solo al di fuori delle previsioni normative, ma anche in assenza di un comportamento obiettivamente qualificabile come inadempiente o comunque suscettibile di sanzione».

Osserva, per esempio, l’Adunanza del CdS, scrutinando un caso abbastanza similare, che la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva (o in alcuni casi) di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio dell’autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente:

a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti;
b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto;
c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti.

La decadenza non presenta, invece, nessun tratto comune con il diverso istituto della sanzione, differenziandosene nettamente in ragione:

a) della non rilevanza, ai fini dell’integrazione dei presupposti, dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa;
b) del limite dell’effetto ablatorio prodotto, al massimo coincidente con l’utilità innanzi concessa attraverso il pregresso provvedimento ampliativo sul quale la decadenza viene ad incidere.

Alla luce delle delineate coordinate occorre dunque affrontare l’esegesi dell’istituto “decadenza” ivi contemplata, e soprattutto, il concetto di rilevanza contestualmente menzionato.
Non v’è dubbio alcuno che la decadenza, cui la disposizione citata fa riferimento, sia appieno sussumibile nel concetto di decadenza pubblicistica sinora descritto, potendosi pacificamente escludere un’improprietà del linguaggio legislativo, tale da ricondurre sotto il nomen iuris utilizzato altri istituti di carattere sanzionatorio. Lo ha già chiarito la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, IV, 12 gennaio 2017, n. 50).
Stante il dictum della Suprema Magistratura Amministrativa parrebbe quasi inopportuno ragionare in termini di “Decadenza Sanzionatoria”, di cui, invece, altra parte del dibattito accademico apertamente ormai ragiona.

L’ibrido della “Revoca/Decadenza” diviene allora un mostro giuridico, un’aberrazione, in cui si sovrappongono malamente ed in modo innaturale elementi ora dell’uno ora dell’altro istituto, queste due figure, invece, sono SEPARATAMENTE annoverate tra le tipologie di provvedimento adottabili, senza dubbio, per il buon governo del cimitero. 
Difatti molte questioni riguardanti le concessioni cimiteriali si risolvono compiutamente in sede regolamentare comunale e non solo ricorrendo alla giurisprudenza dominate (sport preferito di chi Vi scrive indegnamente, il quale non avendo mai un’opinione propria dà incondizionatamente ragione alla maggioranza almeno… dei giureconsulti!).
Se il Consiglio di Stato si fosse limitato a pronunciare la illegittimità dell’atto del Comune di Napoli sarebbe stato meglio, ma poi ha voluto soggiungere un proprio pensiero sul problema dibattuto spingendosi, nel percorso logico di ricostruzione e ricognizione sul tessuto normativo, sino alla “reviviscenza” dell’art. 71 commi 2 e segg. R.D. n. 1880/1942.

La soluzione individuata dal CdS appare così coerente con l’assenza di normativa statale specifica e di normativa regolamentare comunale dettagliata.
Se, in ultima analisi, per la revoca occorre un legittimo interesse pubblico (con indennizzo) e per la decadenza, invece, si ha “solo” una inadempienza ai patti contrattuali (senza indennizzo).
Mancando, tra i patti contrattuali, il divieto di cessione tra privati non è possibile invocare la decadenza.
E certamente non è un interesse pubblico questo e, quindi, non si può adottare la revoca.

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Carlo Ballotta

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