La distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere

L'articolo è parte 3 di 3 nella serie Reati contro i defunti
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In questo articolo si intenda il vocabolo “cadavere” nell’accezione di: “corpo senza più vita di un essere umano dopo l’accertamento di morte e durante tutto il periodo di sepoltura legale”.
L’art. 411, cod. Penale commina la reclusione da due a sette anni a chiunque distrugga, sopprima o sottragga un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne asporti o disperda le ceneri, ovviamente fuori del casi contemplati dalla L. 130/2001, per le sole urne cinerarie ed il loro pietoso contenuto.
È interessante notare come la suddetta legge abbia integrato l’art. 411 Codice Penale con tre nuovi commi, quindi il reato di dispersione (illegittima, clandestina o comunque non autorizzata dallo Stato Civile) integri ancora una condotta antigiuridica passibile di gravi sanzioni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia (obitori, camere ardenti ospedaliere, ma oggi anche case funerarie).

La dottrina rileva che la fattispecie criminosa è a forma vincolata perché tipizza le azioni vietate, indicando le modalità ritenute alternative alla sola distruzione.
Ad esempio essa comporta che il cadavere oggetto di scempio sia disintegrato al punto di perdere la sua essenza specifica, come ad esempio lo scioglimento dello stesso nell’acido.
La soppressione presuppone la rimozione del cadavere dal luogo in cui si trova per farne perdere per sempre le tracce, come quando esso sia gettato in mare.

Il ritrovamento del cadavere non esclude la soppressione purché il nascondimento avvenga in modo da assicurare, con alto grado di probabilità, la definitiva sottrazione del cadavere alle ricerche altrui (Cass. Pen., sez. III, 21 gennaio 2005, n. 5772).
La sottrazione consta in una illegittima asportazione del cadavere dal presidio istituzionale in cui esso deve per tradizione essere ricoverato (locali ad uso necroscopico, ad es.) (G. FIANDACA, Pietà defunti (delitti contro la), in Enc. Giur., 1990, 4).
Nessun dubbio, poi, che la fattispecie criminosa risulti configurata con il solo dolo generico, essendo sufficiente la volontà cosciente e libera di sottrarre i resti umani senza averne diritto, essendo indifferente il fine propostosi dall’agente (Cass. Pen., sez. III, 5139/1983).

Il comune e consolidato orientamento dei Tribunali Italiani, e soprattutto della Cassazione, ha confermato quali responsabili del delitto di cui all’art. 411 cod. penale, a titolo di dolo eventuale, anche il titolare e l’addetto di una ditta appaltatrice dei lavori di sistemazione di un cimitero.
Costoro, avendo ivi rinvenuto numerosi esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo inumati nel passato e non precedentemente rimossi con regolare esumazione ordinaria, anziché porli a disposizione dei responsabili dei servizi cimiteriali, per esser così traslati ad altra destinazione, li avevano trasportati in un’area in aperta campagna, per poi sotterrarli malamente (ed in zona extra cimiteriale, si ribadisce!), mescolando alla rinfusa e promiscuamente con il terreno smosso i poveri resti umani (Cass. Pen., sez. III, 21 gennaio 2005, n. 5772).

Su alcune brutte prassi di “smaltimento” rapido e del tutto illecito di corpi di defunti ignoti e misteriosamente emersi dalle fosse durante le campagne di esumazioni massive, è necessario qualche ulteriore appunto.
Spesso allo scavo della buca, sino all’ideale piano di posa del feretro, per recuperare le ossa si evidenzia la presenza di più resti, appartenuti a diverse persone non altrimenti identificabili e collocate su più strati e diversi livelli di profondità.
Ciò accadeva, specie in epoche passate, quando le operazioni di disseppellimento si eseguivano in maniera più manuale e forse approssimativa, con strumenti quali vanghe e picconi.

I campi d’inumazione, soprattutto quelli più sfruttati, dopo molteplici turni di rotazione (periodo di sepoltura legale), ogni tanto andrebbero diligentemente dissodati sino ad almeno metri due dal piano di campagna, proprio per evitare questi spiacevoli episodi di cui sovente ci narra la stampa, in particolare quella locale, maggiormente attenta agli scandali cimiteriali.
Piccola incoerenza del D.P.R. n. 285/1990 quando si prescrive per le fosse dei campi comuni ad inumazione una profondità minima di metri 2 (norma sovente disattesa per naturali ragioni di un’efficace gestione operativa…sul campo).
Le singole buche, quindi, potrebbero a rigor di legge esser pure più profonde.
Il regolamento nazionale di polizia mortuaria, però, al Capo dedicato al possibile smantellamento di un camposanto, dispone un generale dissodamento del terreno per soli metri due dal piano di campagna.
Dunque, con implicita esclusione che possano rinvenirsi ancora ossa o resti mortali parzialmente integri, negli strati di terreno ancor più sottostanti.

Invece, non è sempre così. Le motivazioni sono varie.
In tante occasioni (come previsto espressamente da alcune legislazioni regionali molto avveniristiche), al fine di favorire i processi ossidativi e – quindi – la scheletrizzazione dei corpi sepolti in tempi certi, si è cercato di sollevare il piano di posa del feretro.
Una fossa profonda almeno due metri, secondo lo spirito della normativa nazionale potrebbe esser troppo vicina alla falda acquifera, con conseguente sua risalita.
E quest’acqua in eccesso è tra i primi nemici della naturale decomposizione per la materia organica, in quanto è causa di probabile saponificazione.

Il dolo richiesto, perché si realizzi il delitto di sottrazione e soppressione, può essere non solo “diretto”.
Ciò avviene quando la sottrazione o soppressione sia stata compiuta secondo l’intenzione dell’agente, ma anche “eventuale”, come si verifica quando l’agente, indipendentemente dal fine perseguito con il celamento, abbia accettato il rischio del verificarsi della definitiva soppressione o sottrazione del cadavere (Cass. Pen., sez. III, 21 gennaio 2005, n. 5772).

Il reato di cui all’art. 411 c.p. distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere, pur concretandosi con il nascondimento di un cadavere, si differenzia dal reato di cui all’art. 412 c.p. occultamento di cadavere.
L’occultamento è considerato come un nascondimento temporaneo che postula a priori la certezza del ritrovamento.
La soppressione o sottrazione vanno intese quale nascondimento effettuato in modo tale che il cadavere sia definitivamente sottratto alle ricerche.

Peraltro, la sottrazione va valutata non in senso assoluto bensì relativo, sulla base di presunzioni fondate su elementi obiettivi, quali il luogo prescelto e le modalità adottate, con apprezzamento ex ante.
Non rilevando in proposito che il cadavere sia eventualmente ritrovato fortuitamente o a seguito di difficili ricerche.
E atteso che la durata effettiva del nascondimento non costituisce elemento di distinzione fra le due ipotesi di reato (Cass. Pen., sez. III, 6 maggio 2004, n. 27290, in Cass. pen., 2005, 11 3361).

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