Il Consiglio di Stato esercita sia funzioni consultive che giurisdizionali.
Le prime sono esercitate dalla Sezione I e dalla Sezione per gli atti normativi, mentre le funzioni giurisdizionali sono svolte dalle Sezioni II, III, IV, V, VI e VII.
In materia cremazionista, in particolare dopo l’entrata in vigore della L. 30 marzo 2001, n. 130, vi era già stata l’emissione di un parere da parte della Sez. I che aveva portato alla conforme emanazione del d.P.R. 24 febbraio 2004:
come noto, la questione che allora è stata affrontata riguardava l’affidamento ai familiari delle urne cinerarie, in conseguenza dell’ancora non avvenuta emanazione delle modifiche al d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 previste dall’incipit dell’art. 3 della predetta L. 30 marzo 2001, n. 130, che, sulla carta, stabiliva un termine di 6 mesi, decorso infruttuosamente (allora, e tuttora).
Si è trattato del Parere n. 2357/03 del 29 ottobre 2003 che, fin dall’inizio, ha avuto modo di cogliere come la legge, rimasta non attuata (e non solo su questi aspetti), non avesse natura di legge delega, quanto di legge ordinaria.
Ma da ciò conseguiva anche la necessità di valutare se o quanto la mancata attuazione privasse, o meno, la legge di qualsiasi efficacia, riconoscendo come le disposizioni legislative di mero principio costituiscano comunque criterio interpretativo delle norme previgenti e quelle alle quali può riconoscersi efficacia precettiva per completezza di disciplina (self executing) che dovessero ritenersi senz’altro applicabili.
Con tale Parere la Sez. I è pervenuta a ritenere che potessero trovare applicazione le disposizioni in materia di affidamento ai familiari delle urne cinerarie, ma non (non ancora) quelle relative alla dispersione delle ceneri, essendo queste tali da conseguire effetti irreversibili.
Più recentemente la Sez. I è stata chiamata ad esprimere un proprio Parere da un quesito propostole (17 luglio 2024) dalla regione Piemonte su questioni esaminate nelle Adunanze del 21 maggio 2025 e del 11 giugno 2025 (ed alcune, interlocutorie, precedenti):
Consiglio di Stato, Sez. I, 5 agosto 225, parere n. 855 .
In realtà, non è stato formulato un quesito, ma due distinti.
Il primo quesito poneva la questione se fosse possibile accogliere richieste di affidamento a familiari o di dispersione di resti cinerei derivanti da cremazione di salme inumate o tumulate in una fase precedente al 2001, in assenza di una dichiarazione espressa del defunto e, in caso affermativo, se la volontà del deceduto possa essere comprovata mediante le medesime modalità previste per la cremazione, quesito integrato, in caso affermativo, dalla qualificazione delle forme di prova.
Il secondo quesito riguardava se debbano o meno considerarsi irretrattabili le dichiarazioni, formalizzate all’atto del decesso, con le quali, in assenza di volontà scritte del de cuius, i parenti abbiano disposto in merito alla destinazione dei resti cinerei.
Nel dettaglio, se, a distanza di anni dalle esequie, sia possibile per il coniuge o, in difetto, per i parenti più prossimi, avanzare richieste di cambio di destinazione dei resti cinerei oppure se le dichiarazioni da questi originariamente rese debbano essere considerate manifestazioni definitive e non più modificabili della volontà del defunto.
Si ritiene di rinviare alla lettura del testo del Parere nella convinzione che, per l’importanza delle considerazioni sulla base delle quali argomenta le conclusioni cui perviene, non possa essere ridotto o “aggravato” di aggiunte motivazionali diverse rispetto a quelle cui è giunta la Sez. I.
Piuttosto, si evidenziano alcune delle argomentazioni dal momento che queste portano a ripensamenti su aspetti in qualche modo non coerenti.
Attorno al 1° quesito, la Sez. I si richiama alla giurisprudenza di legittimità, in particolare in materia di «ius eligendi sepulcrum», che non può formare oggetto di trasferimento «mortis causa», cosicché non può ad esso applicarsi la disciplina successoria (né legale né testamentaria), ma può dare vita ad un mandato «post mortem exequendum» (e in tal caso il mandatario che dà esecuzione all’incarico ricevuto esercita l’«electio sepulchri» del de cuius, cfr. Cass. 2034/1990).
Solo nel caso che da parte di questo (de cuius) non risulti essere stata espressa, in qualunque modo, alcuna volontà, la decisione spetta ai congiunti più prossimi (nell’ordine: coniuge, figli, genitori, altri parenti di sangue)” (Cass., sez. I civ., 13 luglio 2022, n. 22180), conseguendo che:
- (i) si tratta di un diritto personalissimo del defunto;
- (ii) la volontà del defunto può essere comprovata tramite testamento ovvero manifestata “in qualunque modo”, e può altresì confluire in un mandato post mortem exequendum, ossia integrare un incarico conferito dal defunto, allorché era in vita, ad un altro soggetto, chiamato a dare esecuzione a tale mandato successivamente al decesso del mandante;
- (iii) qualora manchi la volontà espressa – “in qualunque modo” – dal defunto, e soltanto in tale ipotesi, la legge prevede che siano il coniuge o, in difetto, i parenti più prossimi ad esprimere una volontà al riguardo, traendone la conseguenza che sussiste quindi una gerarchia tra lo ius eligendi sepulchrum di cui è titolare il de cuius e lo ius eligendi sepulchrum riferibile al coniuge o ai parenti più prossimi, nel senso che il secondo può operare soltanto nell’ipotesi in cui il primo non sia stato esercitato.
In tale ipotesi, tuttavia, lo ius eligendi sepulchrum dei congiunti è un diritto, di contenuto analogo a quello di cui è titolare il de cuius, “spettante iure proprio ai congiunti più prossimi” i quali non manifestano una volontà del defunto, ma esprimono la propria volontà in relazione all’esercizio di un diritto proprio, ossia lo ius eligendi sepulchrum di cui sono essi stessi, in proprio, titolari in relazione alle spoglie del coniuge o del parente deceduto.
Si potrà notare come si tratti di impostazione non conforme dalle indicazioni della circolare telegrafica del Ministero dell’interno, D.A.I.T., n. 37 del 1° settembre 2004 che, riferendo un’opinione del Dipartimento per la funzione pubblica, andavano in altra direzione e non altrettanto motivata e che ne esce smentita.
Su 2° quesito, cioè sulla irretrattabilità o meno delle dichiarazioni rese dai familiari (non avendovi provveduto, in vita, il defunto) viene ammesso che la destinazione delle ceneri possa mutare non soltanto in conseguenza di una nuova e diversa scelta espressa dai medesimi soggetti che avevano reso la dichiarazione originaria (ad esempio, il coniuge del defunto), ma altresì per effetto di scelte successive da parte di soggetti diversi, ugualmente legittimati in base alla legge n. 130 del 2001 (ad esempio, deceduto il coniuge del defunto, i figli di quest’ultimo), i quali a loro volta eserciterebbero così il proprio ius eligendi sepulchrum in relazione alle spoglie del defunto, ribadendo che la destinazione delle ceneri può mutare, per effetto di una nuova dichiarazione, soltanto nel senso dell’individuazione di un nuovo luogo in cui le ceneri siano conservate, restando fermo il divieto di dispersione delle ceneri, poiché la dispersione delle ceneri presuppone un’espressa volontà del defunto in tal senso, tale forma di destinazione delle ceneri non può avere luogo – in assenza di volontà espressa del defunto, aggiungendo che, laddove si intendesse modificare il contenuto della dichiarazione nella parte in cui questa riporta la volontà (non del dichiarante, bensì) del defunto, il coniuge o il parente che ne avesse interesse, non potendo provvedere alla modifica in via amministrativa, dovrebbe adire il giudice al fine di ottenere una decisione che attesti l’effettiva, ed eventualmente diversa, volontà del defunto.
Una nota finale riguarda l’invito a ri-leggere le premesse delle considerazioni del punto 3.5.2.
Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
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