Luoghi e “non luoghi” dove officiare i riti del commiato

La previsione di idonei spazi del commiato è senza dubbio alcuno una lungimirante e coraggiosa scelta del Legislatore, almeno di quello Regionale, sino ad oggi; anche preso atto del totale fallimento di una auto-riforma dei servizi mortuari sanitari imposta per Legge (D.P.R. 14 gennaio 1997) nei nosocomi italiani o in altre strutture di ricovero a rilevanza sanitaria.
La “Casa funeraria” è, forse, il nervo scoperto di non sempre facile rapporto tra la Chiesa e le imprese funebri.
In particolare il punto di maggior frizione ed attrito si incentra sulla concreta possibilità o meno di celebrare le esequie religiose nelle sale polivalenti appositamente allestite in una casa funeraria e non più in chiesa, una propensione che ha attecchito in modo particolare nelle Diocesi di territori martoriati da calamità naturali; si pensi al del terribile sisma del 2012, le cui ripetute scosse hanno reso inagibili o comunque destabilizzato molti plessi sacri, per diversi anni, addirittura.
Sedi come le case funerarie indubbiamente concedono spazi confortevoli di socialità nell’affrontare un lutto, ma sono luoghi per tutti, privi di una connotazione prettamente cristiana.

Ciò comporta una difficoltà, a livello pastorale e di diritto canonico, di poter celebrare un’autentica liturgia cristiana: anche se in presenza di elementi di richiamo alla Fede, l’ambiente non permetterebbe, infatti, di far riecheggiare stentoreo l’annuncio pasquale della Resurrezione.
Sono inoltre luoghi in cui è assente sia la comunità cristiana di cui anche il defunto è membro in virtù del Battesimo sia altri importanti simboli come il fonte battesimale o lo stesso cero pasquale.
La S. Messa verrebbe, così, officiata ad esclusivo uso e consumo della famiglia, riducendo il Divin Sacrificio ad un fatto privato o, al massimo, dedicato ad un ristretto gruppo di pochi eletti; un modello sbagliato perché la salvezza deve essere vissuta come comunità, come popolo del Signore e non come individui dispersi, in una sorta di cristianesimo new age e “fai da te”.
Si giudica inoltre che una cerimonia funebre compiuta in un fabbricato diverso dalla chiesa entrerebbe, suo malgrado, nel circuito perverso di un pacchetto commerciale, e la mercificazione delle esequie è ritenuta inaccettabile e non conforme al Magistero della Chiesa Cattolica.

Le dure prese di posizione di non isolati Presuli, con loro appositi atti di indirizzo liturgico alla Diocesi di propria competenza, hanno innescato una discussione, a tratti aspra e virulenta, a più riprese con gli impresari funebri più esposti nel dibattito pubblico sulle sorti del comparto funebre e cimiteriale italiano.
Essi, assai piccati, non mancano di reclamare come il loro status e il loro impegno, anche economico, per garantire dignità al defunto e alle famiglie sia svilito, quasi stigmatizzato ed additato a momenti come blasfemo, lamentando allo stesso tempo la mancanza di (prove?) di dialogo con l’ala più oltranzista della Chiesa che, a volte, sfocia in un vero e proprio atteggiamento di chiusura preventiva.
La funeral home, allora, agli occhi degli osservatori più smaliziati ed attenti nasconderebbe un potenziale e dilacerante conflitto con l’istituzione ecclesiastica ed i suoi storici presidi territoriali: le parrocchie.
Per definizione la casa funeraria, aperta al maggior spettro di utenti possibile (è nell’intima logica del mercato ampliare la platea dei potenziali fruitori) è uno spazio ontologicamente neutro e non confessionale, anzi sovente tenta di proporsi quale area celebrativa che emula il perimetro liturgico dove officiare le esequie cattoliche ed è notorio come Santa Romana Chiesa veda con diffidente intolleranza questa strisciante concorrenza, siccome la larga maggioranza di un Paese, quale l’Italia, a forte vocazione cattolica (ci sia consentito l’ossimoro: quasi quasi, per inerzia, qui da noi sono cattolici anche gli atei più convinti) opta con una certa facilità – purtroppo pro forma – pur sempre – fors’anche per carenza di serie, decorose e praticabili alternative, per un funerale religioso.

Ad esser pesantemente attaccata è la titolarità a condurre il rito funebre: a chi spetta questo delicatissimo ruolo di officiante: al sacerdote, ministro di culto, o all’impresario funebre.
Anche lo stesso funerale volgerebbe verso un’interpretazione di semplice segno sacramentale (di cui alla parte II, sez. II capitolo IV, art. 1 del catechismo della Chiesa Cattolica) come accade per la sempre più diffusa benedizione della salma “a cassa aperta” prima di procedere alla chiusura del feretro, senza cioè la potenza e la ricchezza del Sacrificio eucaristico il quale non può consumarsi, secondo le Leggi Canoniche, se non all’interno di un immobile all’uopo consacrato: il tempio cristiano per antonomasia – la chiesa – nelle sue varie espressioni architettoniche, dalla mistica cattedrale, alla parrocchia di remota periferia, sino alla umile e, qualche volta, pure scalcinata cappellina delle camere ardenti.
Si vedano, per maggiori approfondimenti, i canoni 1177 e segg. del nuovo Codice di Diritto Canonico promulgato nell’anno 1983 nel quale le Autorità Vaticane scolpiscono nel loro jus positum la propria preferenza cogente per la celebrazione dei funerali ecclesiastici nella parrocchia d’origine del fedele defunto, laddove egli ha vissuto comunitariamente e condiviso la sua vita di fede nel proprio quotidiano.

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Carlo Ballotta

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