L’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e appartenenza alla famiglia del concessionario del sepolcro

Con la sentenza n. 266 del 22 dicembre 2022 (pubblicata sulla G.U., 1^ Serie Speciale Corte Costituzionale n. 52 del 28 dicembre 2022) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità e la non fondatezza di talune disposizioni del Codice della Strada in materia di divieto di inversione di marcia sulle autostrade.
In modo del tutto accidentale nella stessa Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la sentenza della stessa Corte Costituzionale n. 269 del 27 dicembre 2022 che ha affrontato una questione anche questa relativa alla “direzione di marcia” (poiché di seguito si useranno termini volutamente impropri, questi verranno indicati ricorrendo a virgolettature, onde evitare ogni possibile fraintendimento) o, se si vuole, al “senso unico” oppure al “doppio senso di marcia”, nel senso che persona partner di un’unione civile tra persone dello stesso sesso (formula che, di seguito, abbrevieremo con “unione civile”, anche se questa abbreviazione risulti meno tecnica), che aveva avviato giudizio per ottenere la rettificazione per attribuzione di sesso (ai sensi della L. 14 aprile 1982, n. 164), aveva – anche – richiesto la “trasformazione” dell’”unione civile” in matrimonio, rilevando la non coerenza con le disposizioni che consentono che persona unita in matrimonio e che ottenga sentenza di rettificazione per attribuzione di sesso possa chiede la “trasformazione” del matrimonio in “unione civile”.

Si suggerisce a quanti leggano di accedere al testo della citata sentenza n. 269 del 27 dicembre 2022 in modo da approfondirne le argomentazioni cui il giudice delle leggi è pervenuto alla decisione finale, di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Si annota unicamente il fatto che la Corte Costituzionale ha fatto riferimento a proprie precedenti sentenze, molte delle quali precedenti alla L. 20 maggio 2016, n. 76, con cui è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano l’”unione civile” e data specifica regolazione all’istituto delle “convivenze di fatto”.
Contemporaneamente, quanto intenzionalmente, si trascurano gli aspetti processuali coinvolti.
Il nodo da cui il giudice remittente è partito è individuabile nei commi 26 e 27 dell’art. 1 (unico) della L. 20 maggio 2016, n. 76, che si riportano:
26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
”, laddove il primo prevede unicamente uno scioglimento dell’”unione civile”, mentre il secondo ammette, se questa sia la volontà dei coniugi, che vi sia un’instaurazione (automatica …!) dell’”unione civile”, disposizione quest’ultima che vi ha indotti a parlare di “trasformazione” del matrimonio in “unione civile”.

Non abbiamo, né voluto cercare, dati quantitativi circa quanti siano, o possano essere le “unioni civili”, men che meno quante di queste possano eventualmente essere interessate a sentenze di rettificazione per attribuzione di sesso, dal momento che il fatto che interessa è altro, nello specifico la questione se il partner di un’”unione civile” entri nella nozione di “familiare” del concessionario di un sepolcro di famiglia, o gentilizio (termine che nel contesto ne è sinonimo), ai fini dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Generalmente, i Regolamenti comunali di polizia mortuaria, unico strumento normativo in cui si ha l’individuazione delle persone qualificabili quali appartenenti alla famiglia del concessionario, sono abbastanza conformi all’impostazione di considerare, qualificare il coniuge del concessionario quale “familiare” dello stesso (per altro, e per curiosità, è anche accaduto che un Regolamento comunale avesse “omesso” di richiamare il coniuge, ponendo l’attenzione solo sui parenti ed affini, tanto che successivamente è stato necessario ri-adottare un testo modificativo in modo da “elencare” tra i familiari anche il coniuge …).
Ora, dopo l’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76, appare necessario integrare i riferimenti al coniuge anche con altra previsione, che tenga conto (eventualmente, ma i Regolamenti vanno adottati come norme di portata generale, non potendosi intervenire in modifica … “al bisogno”) anche dell’istituto dell’”unione civile”.
In questa prospettiva, l’indicazione che vi appare maggiormente appropriata non va nella direzione di una equiparazione del partner dell’”unione civile”, ma piuttosto di un’assimilazione di questa persona alla figura del coniuge, in quanto la distinzione tra matrimonio e “unione civile” è decisamente netta, come la Corte Costituzionale ha ri-confermato con la sopra citata sentenza n. 269 del 22 dicembre 2022 (in cui si può leggere: “indubbiata”, dal verbo “indubbiare” che appare di abbastanza raro utilizzo).
Il preferire l’uso del termine “assimilazione”, in luogo di quello di “equiparazione” non costituisce un mera leziosità, ma sottolinea la diversità sussistente tra i due istituti giuridici e si fonda propriamente sulle disposizioni dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, in particolare su quelle che regolano gli effetti dell’”unione civile”, cioè sui commi (trattandosi di unico articolo, è sufficiente la citazione dei commi) a ciò dedicati: si tratta dei commi da 11 a 26, richiamando particolare attenzione tra questi sul comma 20, anche per il fatto che questo importa anche produrre gli effetti dell’art. 78 C.C.

Un discorso a parte merita l’istituto della “convivenza di fatto” (commi da 36 a 67 stessa L. 20 marzo 2016, n. 76), che si pone su un piano di ancora maggiore separatezza, sia rispetto all’istituto del matrimonio, ma altresì tra “unione civile” e “convivenza di fatto” (la quale, per quanto qui rileva, potrebbe, al più, essere fruibile, anche per gli strumenti probatori (altro aspetto da considerare nei Regolamenti comunali di polizia mortuaria), ai sensi dell’art. 93, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., ma non certo ai fini del riconoscimento di un titolo a disporre delle spoglie mortali).

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Sereno Scolaro

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