Che cosa c’entrano il C.o.E. e la Conferenza dell’Aja di Diritto internazionale privato?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), III Sezione, 10 maggio 2022, Solyanik v. Russia, Application no. 47987/15 (reperibile per gli Abbonati PREMIUM alla Sezione SENTENZE) è intervenuta su questione riguardante la fascia di rispetto cimiteriale relativamente ad un cimitero nel comune di Vladivostok (per inciso, sanzionando il comune di Vladivostok, anche se con un ridimensionamento dell’indennizzo richiesto dalla persona ricorrente).
Più recentemente (giugno) la stessa C.E.D.U. è intervenuta a dichiarare indebito il trasporto di immigrati dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord al Rwanda, sentenza intervenuta quando le persone interessate erano già imbarcate sull’aereo che doveva portarle a destinazione.
Ora, probabilmente chi scrive dispone di atlanti geografici non proprio aggiornati, ma aveva reminiscenze scolastiche per cui Vladivostok non si trovasse in Europa, al più appartenesse alla Federazione Russa, Paese che pare difficile considerare “europeo”, almeno se con questo termine si faccia riferimento all’Unione europea. Altrettanto il Regno Unito ha fatto “percorsi” per uscire dall’Unione europea, con relativi strascichi di varia natura.

La C.E.D.U. è un organismo istituito con una Convenzione plurilaterale all’interno del Consiglio d’Europa. Ma che cos’è il Consiglio d’Europa? E l’aggettivo “europeo” è utilizzabile solo in relazione all’Unione europea, essendo aggettivo che espone ad equivoci, dato che può anche venire spontaneo pensare che valga, sempre e comunque, la relazione: << “europeo” = “Unione europea”>>?
Il Consiglio d’Europa (www.coe.int) è un organismo internazionale, fondato il 5 maggio 1949, del tutto distinto dall’Unione europea, di cui fanno parte 46 Stati, nonché 6 Stati con la qualità di “osservatori” (https://www.coe.int/en/web/portal/46-members-states), alcuni dei quali, geograficamente, non proprio europei.
L’art. 220 (ex articoli da 302 a 304 del TCE) TFUE, al suo alinea 1 recita:
1. L’Unione attua ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico..
Si nota subito come il rapporto tra Unione europea e Consiglio d’Europa sia assimilabile a quello che intercorre tra l’Unione europea e l’O.N.U., o con l’O.S.C.E., o con l’O.C.S.E. (anche qui gli acronimi inducono, o espongono ad indurre, fraintendimenti, ma sono due organismi distinti).
Uno dei campi in cui opera il Consiglio d’Europa è quello della protezione dei diritti umani, attraverso specifiche convenzioni e con la “copertura” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), a partire dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950 ed entrata in esecuzione il 3 settembre 1953, di cui fanno parte numerosi Stati (per la loro lista si rinvia all’URL: https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list?module=signatures-by-treaty&treatynum=005). Da qui si coglie la connessione con i richiami ad episodi e pronunce cui è stato fatto, strumentalmente, richiamo all’inizio.

Tuttavia, tra i numerosi organismi di matrice internazionale forse un po’ meno nota è la Conferenza de L’Aja di Diritto Internazionale Privato, organismo che ha svolto, e svolge, un’intensa attività in materia di convenzioni internazionali, tra cui citiamo, ratio materiae, la Convenzione stipulata il 5 ottobre 1961 (in realtà in quella data sono state stipulate tre Convenzioni, ma qui si fa riferimento unicamente a quella che abolisce il requisito della legalizzazione per i documenti pubblici stranieri.
In realtà, più che di abolizione (o, esenzione) in senso proprio, la legalizzazione è surrogata da un documento, che certifica l’autenticità della firma, la capacità del funzionario sottoscrittore e, se del caso, l’identità del sigillo o del timbro che rechi, documento denominato “apostille, del quale la Convenzione stabilisce non solo il modello, ma altresì le dimensioni fisiche di questo (quadrato di almeno 9 cm di lato).
In altre parole, la legalizzazione, che in molti ordinamenti richiede spesso una serie di “passaggi” interni, spesso a carattere di verticalità, allo Stato in cui il documento pubblico è formato, viene superato dal ricorso alla apostille.

Gli Stati che hanno, via via nel tempo, aderito a questa Convenzione sono ormai numerosissimi (https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/status-table/?cid=41), oltretutto tenendosi presente che è anche possibile accedere, per ciascuno Stato aderente, alla conoscenza delle “autorità” competenti accedendo all’URL: https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/authorities1/?cid=41, in cui è possibile reperire nominativi delle autorità, indirizzi, telefoni, fax, indirizzi di posta elettronica.
Si tratta di informazioni che possono risultare utili, a volte necessarie o anche indispensabili quando si debba provvedere ad introduzioni od estradizioni di feretri (artt. 27, 28 e 29 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), spesso prescindendo, per le formalità cui debbono rispondere i documenti pubblici formati all’estero (o formati in Italia e da valere all’estero), se si tratti di Stati membri dell’Accordo di Berlino del 10 febbraio 1937 o meno (non senza dimenticare la Convenzione tra Italia e la Santa Sede del 28 aprile 1938 la Repubblica, né lo Scambio di note del 14 maggio 1951 e sue modificazioni intervenuto tra Italia e Svizzera, limitatamente al c.d. “traffico locale di confine”), anche se in alcuni casi, sussistono tra l’Italia e i singoli Stati interessati anche altre Convenzioni di diritto internazionale che esentano, del tutto, i documenti pubblici da ogni legalizzazione.

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Sereno Scolaro

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