Il Consiglio di Stato “mette a fuoco” alcune questioni in materia cremazionista – 2/3

L'articolo è parte 4 di 4 nella serie Consiglio di Stato su alcune norme di cremazione
Navigazione nella Serie di articoli<< Il Consiglio di Stato “mette a fuoco” alcune questioni in materia cremazionista – 1/3

Concludendo la prima parte si invitava ad una ri-lettura sulle premesse delle considerazioni del punto 3.5.2.
Tuttavia questa attenzione non può isolarsi dal considerare l’intero punto qui d’interesse, considerando la conclusione cui perviene (… la legge regionale non potrebbe certo – pena l’illegittimità costituzionale della stessa per violazione dell’articolo 117, comma 3 Cost. – disattendere l’articolo 3, comma 1, lett. g) della legge n. 130/2001.
Questa disposizione, invero, nella parte in cui richiede l’assenso del coniuge o del parente più stretto – da intendersi, per le ragioni sopra esposte, nei termini di esercizio di un diritto proprio e non della manifestazione della volontà del defunto – integra un
principio fondamentale, in quanto tale vincolante per il legislatore regionale.”).
Ma l’invito alle premesse suggerisce di ricordarle: “ … in quanto, anche a voler ritenere, a tutto concedere, la materia in questione come devoluta alla competenza legislativa concorrente ai sensi dell’articolo 117, comma 3 Cost. (in quanto afferente alla tutela della salute; cfr. Corte cost., 6 dicembre 2012, n. 274).
E senza considerare che la stessa ben potrebbe rientrare nell’ordinamento civile, che l’articolo 117, comma 2, lett. l) Cost. devolve alla competenza legislativa esclusiva dello Stato
…” dal momento che se ne ricava una sorta di enunciazione della presenza di una questione di legittimità costituzionale, dalla quale la Sezione si sottrae, non senza eleganza, affermando:
“ …(questione da cui la Sezione ritiene comunque di prescindere, non costituendo oggetto dei quesiti sottoposti alla sua attenzione)”.
Ma avrebbe potuto pervenire ad una pari conclusione attraverso altro percorso, dando atto che il Consiglio di Stato, allorquando assolva alla funzione consultiva, come è nel caso della Sez. I, non assolve funzione giurisdizionale, affermazione che può apparire tautologica quando si fonda sull’art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87 e s.m. “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”, distinzione funzionale che richiama il principio della divisione tra i poteri.
Del resto, altrettanto può dirsi con riferimento alla successiva lett. h) attenendo questa alla materia dell’“ordinamento penale”, con la conseguenza che non hanno significato approcci che richiamino ambiti regionali, con l’ulteriore effetto che neppure può porsi questione sulla valenza (nazionale o regionale) del Parere di riferimento.
Questione che non potrebbe neppure porsi se si considera (indipendentemente dai contenuti e dalle materie) la funzione consultiva di pertinenza della Sez. I del Consiglio di Stato, non dimenticando che nella Regione siciliana opera il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, anche questo avente sia funzioni consultive, sia funzioni giurisdizionali in relazione alle materie di competenza legislativa primaria.
Anche la durezza delle premesse (la già ricordata formulazione “anche a voler ritenere, a tutto concedere) trova motivazione “nella natura delle cose”.
Le questioni per cui è stato fatto ricorso alla funzione consultiva propria della Sez. I del Consiglio di Stato riguardano aspetti in cui è tutt’altro che presente ogni elemento più o meno riconducibile alla materia della “tutela della salute”.
Ma si tratta di aspetti, tutti, propri della materia dell’ordinamento civile, riferendosi a diritti della persona, a diritti assumibili nella categoria dei c.d. diritti personalissimi, al punto che, per alcuni aspetti, si fa cenno ad una sorta di “intrasmissibilità” (… rientra, – come gli atti di disposizione del proprio corpo, di cui all’articolo 5 del codice civile, e comunque secondo una radicatissima consuetudine -, tra i diritti della personalità, per loro natura assoluti e intrasmissibili.
Il predetto «
ius eligendi sepulcrum», mentre non può formare oggetto di trasferimento «mortis causa», cosicché non può ad esso applicarsi la disciplina successoria (né legale né testamentaria) “””).
Questo sia quando si tratti della volontà della persona defunta ad accedere alla cremazione (e, anche, all’eventuale successiva dispersione delle ceneri), sia quando – in difetto di manifestazioni di volontà imputabili alla persona defunta (come nel caso di un mandato “post mortem exequendum”) – intervengano i “familiari” (termine che si usa ora per unificare la posizione del coniuge [1] o, in difetto, di questi, dei parenti nel grado più prossimo con le loro specificazioni), caso questo in cui costoro vengono ad esercitare un diritto, sempre personalissimo, del tutto loro proprio.

Appare del tutto importante osservare come il Parere espresso dalla Sez. I del Consiglio di Stato non pervenga a conclusioni (affermazioni?) in qualche modo attribuibili ad una qualche convincimento, presente o formatosi in itinere, dei componenti della Sezione, ma si appoggi, con plurimi richiami, agli orientamenti nel tempo espressi dalla Corte di Cassazione, cioè dalla giurisprudenza di legittimità, per cui si ha una convergenza, in qualche modo una fusione tra gli indirizzi di questo organo e il Consiglio di Stato (nell’esercizio della funzione consultiva!).
Approccio affermato in termini del tutto espliciti (nel penultimo periodo del punto 3.2) dove è dato leggere: “In tale ipotesi, tuttavia, lo ius eligendi sepulchrum dei congiunti è un diritto, di contenuto analogo a quello di cui è titolare il de cuius, “spettante iure proprio ai congiunti più prossimi”.
Fermo che, ovviamente, ribadendosi che la titolarità dei “familiari” non si può estendere alla dispersione delle ceneri.
Un ultimo cenno, tornando al punto 3.5.2., può essere fatto osservando come vi sia un richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale, 6 dicembre 2012, n. 274, che aveva a proprio oggetto questione in qualche modo riferibile alla materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) Cost.
La dichiarazione conclusiva di non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale si fonda, nella sostanza, pur se non solo, nel riconoscimento che il legislatore regionale, rendendo più flessibile la regola generale originariamente adottata, lascia alle amministrazioni comunali la facoltà e l’onere di valutare se dette regole siano concretamente applicabili anche nei loro territori, oppure se non convenga consentire la deroga per favorire il consolidamento integrato di tali attività in contesti caratterizzati dalla loro marginalità in termini strettamente commerciali.
Si conclude con una sottolineatura dell’importanza che riveste il punto 3.5.2. del Parere espresso dal Consiglio di Stato, Sez. I, 5 agosto 2025, n. 855, sottolineatura dal momento che possono esservi ambienti che, presi da altre ottiche, possono sentirsene estranei.


[1] – Non dimenticando le previsioni di cui all’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76.

Lascia un commento

Quando inserisci un quesito specifica sempre la REGIONE interessata, essendo diversa la normativa che si applica.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
Per quesiti complessi ci si riserva di non dar risposta pubblica ma di chiedere il pagamento da parte di NON operatori professionali di un prezzo come da tariffario, previo intesa col richiedente
Risposta a quesiti posti da operatori professionali sono a pagamento, salvo che siano di interesse generale, previa conferma di disponibilità da parte del richiedente.