Autorizzazione alla cremazione
Per la Legge Italiana tutte le operazioni di polizia mortuaria soggiacciono sempre a preventiva autorizzazione.
Si parla di “autorizzazione”, intendendo con essa il provvedimento amministrativo con il quale la Pubblica Amministrazione, in funzione preventiva e su istanza di parte, provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo preesistente in capo al destinatario.
Per tumulazione ed inumazione, tuttavia, non sono contemplati particolari filtri o procedure ben più strutturate rispetto alla semplice verifica dei titoli formali.
Come noto i principi legislativi da assumere a riferimento in materia di cremazione sono quelli stabiliti dall’articolo 343 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 “Approvazione del Testo Unico delle leggi sanitarie” e dagli Artt. 78 e seguenti del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria DPR 285/90.
L’autorizzazione alla cremazione e alla sepoltura si collocano su due ambiti distinti, ed hanno finalità diverse, così come ha confermato lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia con nota n. 1/50/FG 33 (92) 114 del 12 giugno 1992.
La prima attiene all’autorità comunale (dirigente o funzionario incaricato) l’altra, invece, appartiene agli adempimenti propri dell’Ufficiale di Stato Civile.
L’autorizzazione alla cremazione rientra, oggi, nelle prerogative del dirigente di settore (Art. 107 comma 4 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) individuato da ciascun Comune, di fatto può essere anche, ma non necessariamente, l’Ufficiale di stato civile, qualora vi sia identità personale nell’esercizio delle due funzioni, ma i due ruoli debbono rimanere separati. Tra l’altro l’istituto della delega sul potere di autorizzare la cremazione è fondato sull’Art. 17 comma 1 bis (e 17 bis) del Decreto Legislativo 165/2001.
Autorizzazione al trasporto ed alla cremazione possono esser contestuali, ossia insistere fisicamente sullo stesso supporto cartaceo (occorre sempre applicare l’imposta di bollo ex DPR 642/1972). Il documento, però dovrebbe esser redatto in duplice copia; l’una da consegnare, dopo l’arrivo in cimitero, al responsabile del servizio di custodia, l’altra, invece, dovrebbe rimanere agli atti nell’archivio dell’impianto di cremazione. Questa possibilità di notevole semplificazione è inibita per le autorizzazioni al trasporto ed alla sepoltura in quanto l’una riguarda il dirigente, l’altra, invece, l’Ufficiale di Stato Civile (si veda l’Art. 11 della Legge 4 Gennaio 1968 n. 15).
La competenza dirigenziale risulta, oggi, perfino non derogabile, se non per espressa disposizione di legge, tuttavia per rendere più efficiente la macchina comunale la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento sino alla stessa sottoscrizione finale degli atti autorizzativi può esser trasferita ad altri dipendenti comunali (subordinati rispetto al dirigente) in servizio presso la stessa unità.
Il personale dipendente incaricato è tenuto ad osservare le direttive impartitegli dal datore di lavoro e non può rifiutare tale incarico detto altrimenti “delega interna”. Rispetto alla qualificazione del personale dipendente verso cui il dirigente possa attribuire, ove lo ritenga, tale incarico, occorre precisare che l’individuazione del personale dipendente rientra nei poteri del dirigente che li esercita nel rispetto del CCNL e del Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi. Questo principio è valido per tutte le autorizzazioni comunali di polizia mortuaria.
E’ il comune nel quale è avvenuto il decesso a rilasciare l’autorizzazione alla cremazione, naturalmente, se si ignora la località in cui si sia consumato il trapasso l’autorizzazione spetta al comune in cui la salma, prima ed il cadavere, poi, sono stati deposti per il periodo d’osservazione. Per la sua intrinseca irreversibilità la cremazione è sottoposta ad un particolare meccanismo autorizzatorio, in cui elemento costitutivo soggettivo è la volontà di procedere alla cremazione di un defunto, in quanto le spoglie umane non sono né di proprietà pubblica né res nullius (ossia cosa di nessuno) e la loro tutela assume riflessi di natura penale.
La cremazione eseguita senza autorizzazione configurerebbe, oltre ad una violazione regolamentare, la fattispecie criminosa di distruzione di cadavere.
La cremazione da effettuarsi in territorio italiano richiede il preventivo rilascio di un’autorizzazione amministrativa, il cui inadempimento comporta l’immediata segnalazione al procuratore della Repubblica (art. 75 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396).
La legge italiana regola il rilascio dell’autorizzazione alla cremazione su più piani, riconducibili a due principali:
- La volontà, con ulteriori livelli distintivi (testamento una volta pubblicato, autonoma volontà dei familiari, adesione ad una SO.CREM.);
- La definitiva rimozione anche del solo sospetto che la morte sia dovuta a reato, ottenuta, in via ordinaria, attraverso apposito certificato redatto dal medico curante o dal medico necroscopo (di solito spetta a quest’ultimo la segnalazione all’Autorità Giudiziaria di eventuali notizie di reato, ma questa responsabilità di informare la magistratura ai sensi dell’Art. 365 Codice Penale sorge in capo a qualunque sanitario).
In sostanza la norma nazionale con l’Art. 79 comma 4 DPR 10 settembre 1990 n. 285 stabilisce che occorre una determinata verifica in certe situazioni funerarie estreme come, appunto la cremazione con cui si può eliminare definitivamente ogni prova in caso di morte per reato, ed il tipo di soggetto legittimato a compierla
E’, allora, il medico curante o il necroscopo a certificare l’assenza di sospetto che la morte sia dovuta a reato.
Il DPR 285/90 chiede l’autenticazione della la firma da parte del coordinatore sanitario. Ciò dare a chi autorizza la cremazione (dipendente del Comune a ciò incaricato) questa certezza: la firma apposta dal medico è proprio del soggetto che la può apporre. Cosicché il ruolo del coordinatore sanitario (leggasi responsabile del servizio ASL, dopo il riordino del Servizio sanitario nazionale nel 1992 come già giustamente rilevato dalla stessa circolare ministeriale 24 giugno 1993 n. 24), citato dal DPR 285/90, è solo quello di autenticare la firma del medico il quale attesta la morte per cause non dovute a reato.
L’autenticazione della firma, sembra, tuttavia, un’anacronistico bizantinismo per almeno due ragioni:
1) ai sensi del DPR 445/2000 la firma dei pubblici ufficiali non è soggetta ad autenticazione;
2) la stessa legge 130/2001 non fa menzione di questa procedura.
La certificazione di cui sopra essendo meramente sanitaria ai sensi dell’Art. 49 DPR 445/2000 non può esser sostituita da altra documentazione non medica.
Diverse regioni, allora, seppur con tecniche diverse non richiedono più l’autenticazione.
Se la morte è violenta (la violenza si qualifica come un evento in cui vi sia una certa forza e brutalità contro natura, non necessariamente correlata a un reato o ad un sospetto di reato) o, peggio ancora è stata prodotta da un omicidio, occorre il Nulla Osta alla sepoltura della Procura della Repubblica e diventa superfluo il certificato di cui sopra firmato dal medico curante o da quello necroscopo.
Abbiamo, quindi 4 possibili fattispecie:
a) la morte dovuta a reato; b) la morte dovuta a sospetto di reato; c) la morte per causa violenta; d) la morte sospetta di causa violenta.
Questo Nulla Osta, tuttavia non è sufficiente per procedere alla cremazione, se esso non riporta espressamente che il cadavere può essere cremato.
Difatti l’Autorità Giudiziaria può consentire l’effettuazione dei funerali e la temporanea sepoltura, riservandosi di procedere ad ulteriori indagini nell’interesse della giustizia in un secondo momento.
In questo frangente non viene consentita la cremazione del cadavere, ma unicamente la sepoltura a sistema di inumazione o di tumulazione, che consentono in tempi successivi ulteriori indagini previa, rispettivamente, esumazione od estumulazione.
Senza Nulla Osta della Autorità Giudiziaria (in questi casi) il comune non può autorizzare la cremazione.
La cremazione, così come il diritto di scegliere il proprio sepolcro, e la tipologia della tomba, è annoverata tra i diritti della personalità.
La cremazione sembrerebbe attenere alla determinazione dei livelli essenziali concernenti i cosiddetti diritti civili e sociali costituzionalmente garantiti e l’espressione del suo desiderio viene pertanto regolata dalla legge nazionale applicabile alla persona.
Questa disciplina vale per deceduti su territorio italiano quando siano cittadini italiani, mentre se si tratta di cittadini stranieri, parimenti venuti a mancare su suolo italiano, si deve provvedere in conformità alla Legge Straniera (art. 24 Legge 31 maggio 1995, n. 218 sul diritto internazionale privato).
Quindi si può cremare in Italia il cadavere di una persona di altra nazionalità se, e solo se, la legge di quella Nazione contempla la possibilità di cremare i defunti della propria popolazione.
L’esclusione che la morte sia dovuta a reato costituisce disposizione imprescindibile ed inderogabile, anche per la cremazione di defunti stranieri.
Di conseguenza le norme volte a fugare il sospetto della morte dovuta a delitto si applicano non solo ai cittadini italiani, ma anche a quelli stranieri per il principio dell’obbligatorietà della legge penale.
Un cittadino italiano deceduto all’estero può esser colà cremato se l’Autorità Straniera del Paese di decesso ha dato il suo Nulla Osta alla cremazione.
Nella maggior parte degli Stati moderni sussistono, infatti, precise cautele per evitare la cremazione di cadaveri nell’evenienza di morte sospetta.
Quando, invece, si abbia l’estradizione del cadavere in Italia e la cremazione sia richiesta in territorio italiano, il requisito dell’esclusione del sospetto di morte cagionata da reato costituisce condizione sostanziale ed inderogabile.
In assenza di documentazione certa acquisita all’estero, attestante la morte provocata da cause naturali non resta che appurare tali circostanze attraverso idonea valutazione medico-legale conseguente a specifico esame autoptico da svolgersi in Italia, prima della cremazione del cadavere.
La regola generale del “comune di decesso” non risulta evidentemente idonea per definire quale comune debba autorizzare l’incinerazione se la cremazione viene richiesta successivamente all’introduzione del feretro dall’estero. La cremazione del cadavere di persona deceduta all’estero dopo l’avvenuto trasporto del feretro in Italia, determina, davvero, conseguenze rilevanti sotto il profilo del procedimento.
In tali casi, la titolarità dell’autorizzazione alla cremazione va definita, in via interpretativa, attraverso un altro criterio da individuare alla luce del punto 14.2, secondo periodo della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993, essa, quindi, sorge in capo al comune italiano in cui il cadavere, in transito verso la sua destinazione ultima, è stata introdotto.
Dopo il 27 ottobre 1990 il diritto di scelta della cremazione è possibile anche ai familiari del de cuius, in forza dell’Art. 79 comma 2 DPR 285/90, purché, ovviamente, non vi sia una un desiderio contrario espresso e documentato in vita dal defunto.
E’ pertanto ammessa anche la cremazione di un minore, poiché l’ordinamento italiano riconosce la legittimità della rappresentazione da parte di entrambi i genitori su dichiarazione congiunta (dopo la Legge 8 febbraio 2006 n.54) di quest’ultimi anche attraverso atti separati. Così, basterà che uno solo dei genitori si trovi nella condizione di non poter esercitare la potestà attribuitagli (eccezion fatta, beninteso, per i casi di interdizione giudiziale), oppure sia contrario, per impedire il rilascio dell’autorizzazione alla cremazione.
Ove entrambi i genitori fossero deceduti (mettiamo la disgraziata ipotesi di un incidente), e ci fosse concorrenza di più parenti nello stesso grado, anche in tal caso occorrerà la manifestazione di volontà da parte di tutti i soggetti di pari grado, salvi i casi, anche qui, di interdizione giudiziale attestata nei modi di legge.
Anche il cadavere di una persona interdetta (la quale non può decidere di sé nemmeno per il tempo successivo alla sua morte) può esser cremato perché se l’interdizione risulta da sentenza passata in giudicato, il soggetto è privo della capacità di agire e non potrà rendere alcuna manifestazione di volontà, ma in suo luogo potrà pronunciarsi il tutore (art. 424 del codice civile).
Se il feretro era stato precedentemente sepolto, è il comune di seppellimento che autorizza la cremazione. Ciò vale sia nella situazione giuridica di cadavere, sia nella situazione giuridica di resto mortale (esito di fenomeni cadaverici trasformativi conservativi).
Conviene soffermarsi ancora sulla cremazione dopo un primo periodo di sepoltura:
E’ del tutto legittimo cremare un cadavere precedentemente tumulato o inumato, il comune è tenuto a rilasciare detta autorizzazione purché si acquisiscano agli atti:
1) una dichiarazione di tutti i familiari (in primis il coniuge) circa la loro volontà alla cremazione.
2) una dichiarazione degli stessi familiari di mancanza di espressa volontà contraria del de cuius alla cremazione.
3) l’attestazione comprovante l’effettiva estumulabilità/esumabilità del feretro. In una sepoltura privata, a sistema di inumazione o tumulazione, potrebbero, infatti, esservi dei divieti in tal senso da parte del fondatore del sepolcro, così il disseppellimento potrebbe avvenire solo alla scadenza della concessione (per concessioni a tempo determinato). L’inaccessibilità del feretro, perchè il tumulo è sprovvisto di vestibolo (cioè di spazio necessario alla sua movimentazione senza dover spostare altre bare, comporta l’inestumulabilità, ma, questo impasse potrebbe esser superato con la procedura di deroga di cui all’Art. 106 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria.
In seguito si segue lo stesso protocollo operativo di routine, come se ci si trovasse di fronte al cadavere di un soggetto appena deceduto.
A questo proposito occorre ricordare come, per fugare anche il solo dubbio di morte dovuta a fatto criminoso, si possa procedere a riscontro diagnostico o autopsia anche dopo diversi anni dalla morte qualora non si riesca a reperire idonea certificazione per le finalità di cui all’Art. 79 commi 4 e 5 del DPR 285/90 (esclusione di morte sospetta o dovuta a delitto ed eventuale Nulla Osta dell’Autorità Giudiziaria).
Saranno poi parimenti necessarie le autorizzazioni ad esumazione/estumulazione e quella al trasporto se il feretro per esser cremato dovrà uscire dal recinto cimiteriale.
Se, però, il de cuius, in forza del suo jus eligendi sepulchrum, ossia diritto a scegliersi la propria tomba, aveva chiesto di esser sepolto (non specificando se come cadavere o sue trasformazioni di stato) in una determinata tomba (esempio: a fianco dei genitori o di un figlio prematuramente scomparso) questo suo desiderio deve esser rispettato (inibendo, così, la possibilità di traslazione) e le ceneri verranno ritumulate nello stesso avello dove fu racchiuso il feretro.
Bisogna ora chiarire il problema dello spartiacque temporale rappresentato dal 27 ottobre 1990, data in cui entrò in vigore il DPR 285/90.
In precedenza, in regime di DPR 803/75, poi sostituito dal più recente DPR 285/90, la cremazione di un cadavere sarebbe stata ammessa solo dietro precisa volontà del de cuius formalizzata per mezzo di una disposizione testamentaria scritta.
L’Art 79 comma 2 del DPR 285/90 (cremazione su dichiarazione di volontà resa dai congiunti del de cuius) non è retroattiva, essa, infatti, opera solo per i cadaveri di soggetti morti dal 27 ottobre 1990 in avanti.
Per una certa corrente della dottrina il problema cronologico non dovrebbe porsi in quanto l’Art. 108 comma 2 del DPR 10 settembre 1990 n. 285 ha abrogato il vecchio regolamento di polizia mortuaria in tutte le sue parti e limitazioni, con riflessi anche sulle situazioni pregresse.
Dunque, ad oggi, la cremazione del cadavere di persona deceduta prima del 27 ottobre 1990 e tumulata da meno di 20 anni sarebbe ammissibile solo caso di rinvenimento postumo di una volontà del de cuius a favore della cremazione (per gli inumati non si registrerebbe, invece, nessuna difficoltà, in quanto per essi sarebbe già pienamente trascorso il periodo legale di sepoltura fissato ordinariamente in 10 anni).
Il 27 ottobre 2010, se non frattempo non sarà intervenuta una riforma dell’ordinamento nazionale di polizia mortuaria, il DPR 285/90 compirà 20 anni, da quel momento in poi tutti i cadaveri tumulati prima del 27 ottobre 1990 saranno direttamente cremabili, in quanto per essi saranno già trascorsi almeno i 20 anni di sepoltura richiesti dal DPR 15 luglio 2002 n. 254(detti cadaveri non saranno più tali in quanto del tutto assimilabili alla fattispecie del resto mortale).
Possiamo, dunque, sintetizzare tutto l’iter autorizzatorio in questo schema: Se il de cuius è deceduto dopo l’entrata in vigore del DPR 285/90 e non vi è uno scritto da parte del defunto che affermi la sua contrarietà alla pratica della cremazione, il comune in cui il feretro è stato tumulato o inumato deve autorizzare l’estumulazione per avviamento a cremazione su esplicita richiesta di tutti i familiari aventi diritto previa la presentazione di tutti i titoli richiesti dal’Art. 79 del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria.
Per la cremazione di cadavere l’autorizzazione deve sempre esser individuale e nominativa.
Cremazione di parti anatomiche, prodotti abortivi ed ossa.
La cremazione è un atto di disposizione non solo su cadaveri o loro sezioni (parti anatomiche riconoscibili) ma anche sulle loro trasformazioni di stato postmortali (ossa e resti mortali). Cerchiamo, ora di esaminare in modo analitico queste diverse fattispecie:
- Parti anatomiche riconoscibili: le inerenti autorizzazioni al trasporto, alla sepoltura o alla cremazione attengono all’Autorità Sanitaria Locale del luogo ove dette parti anatomiche sono state “prodotte” per effetto di intervento chirurgico. Entro 48 ore la persona che ha subito l’amputazione con oneri a proprio carico può deciderne la destinazione, altrimenti prevarrà il trattamento deciso in via generale dall’ASL, la quale corrisponderà al gestore del crematorio o del cimitero la tariffa relativa alla prestazione erogata. Quando non vi sia una destinazione “dedicata” su istanza degli aventi diritto le parti anatomiche possono anche esser sepolte in maniera promiscua ed indistinta in un’unica cassa o fossa. Le parti anatomiche non riconoscibili sono unicamente smaltite attraverso termodistruzione in apposito impianto
- Prodotti abortivi: sempre se hanno raggiunto le 28 settimane di età intrauterina o, comunque, su esplicita istanza dei genitori possono esser accolti in cimitero. L’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 non individua il termine di presunta età di gestazione di 22 settimane (termine presente in altre legislazioni, es.: quella francese), quanto tre ipotesi di presunta età gestazionale: 1) meno di 20 settimane, 2) tra le 20 e le 28 settimane, 3) oltre le 28 settimane. La legge Italiana sembra considerare solo la loro sepoltura (inumazione o anche tumulazione se sussiste il titolo di accettazione in sepoltura privata ex Art. 50 comma 1 lettera c) DPR 285/90) con le due autorizzazioni (al trasporto ed al seppellimento) spettanti alla locale ASL; per la loro cremazione, invece, servirebbe una terza autorizzazione firmata dall’autorità comunale. Se ci limitassimo strettamente ad dato testuale, senza considerare lo sviluppo storico e sociale della normativa funeraria la cremazione dovrebbe esser inibita, siccome il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria distingue e pone una rigida separazione tra la tradizionale sepoltura in tumulo o fossa di terra e l’incinerazione. Ma in realtà non è così, perchè ormai le tre pratiche funerarie ammesse dalle Legge Italiana (inumazione, tumulazione e cremazione godono di pari dignità. Un’interpretazione più evolutiva, soprattutto alla luce dell’Art. 3, comma 4 D.M. 1° luglio 2002 consentirebbe, addirittura, di sostenere che le modalità di cui all’art. 7 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 possano essere ritenute vigenti per quanto riguarda la competenza soggettiva alle autorizzazioni, attribuita all’ASL anche per la cremazione dei prodotti abortivi. Tutto il procedimento autorizzatorio, dunque, si concentrerebbe nella sola ASL, senza, più il bisogno di un’ulteriore provvedimento da parte del comune,con una notevole semplificazione burocratica. L’estensione alle tre pratiche funerarie possibili (inumazione in campo comune o sepoltura privata, tumulazione in sepoltura privata e cremazione) tra l’altro, è considerata anche per le parti anatomiche riconoscibili dall’art. 3, comma 2 D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 senza limitazioni di ordine giuridico. Possiamo, dunque, giungere a questa conclusione: il prodotto abortivo è sempre cremabile solo se richiesto dai genitori attraverso un atto di disposizione in termini affettivi e di pietas verso i defunti. Feti e prodotti abortivi non accoglibili in crematorio (poichè non richiesti), in quanto più assimilabili a rifiuti ospedalieri speciali, ai sensi dell’Art 2, lett. h), punto 2) DPR 254/2003, così come le parti anatomiche non riconoscibili, debbono esser avviati a termodistruzione presso un inceneritore (Art. 14 DPR 15 luglio 2003 n. 254). Si rendono necessari alcuni chiarimenti: il prodotto abortivo non potrebbe essere considerato neppure un minore non avendo acquisito la capacità giuridica (art. 1 c.c.), esso non è oggetto delle registrazioni di stato civile, per cui non sussiste “titolo” probatorio della cittadinanza bisogna, allora distinguere in relazione alla cittadinanza (seppure questa si acquisti solo con la nascita, almeno nell’ordinamento giuridico italiano) quanto meno con riferimento alla madre (sussistendo con essa rapporto giuridico di filiazione). Per i cittadini stranieri trova applicazione la loro legge nazionale, alla luce dell’art. 24 L. 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”. Naturalmente, trattandosi di un onere a carico della struttura sanitaria laddove l’espulsione del prodotto del concepimento ed assimilati è avvenuta, qualora vi sia richiesta di parte per una specifica pratica funeraria, l’onere viene a porsi in capo al soggetto richiedente. Se è lecita (e lo è!) la cremazione dei prodotti abortivi ed assimilati, deve anche ammettersi la conseguente applicabilità delle forme di conservazione e/o destinazione delle ceneri alternative alla collocazione in cimitero che ne risultino previste dalle norme, anche regionali, laddove emanate.
- Ossa: il diritto a disporre dei cadaveri (e dei loro resti) non si esaurisce in seguito alla prima destinazione degli stessi, ossia dopo il periodo legale di sepoltura. Circa l’assenso alla cremazione dell’ossame trovano applicazione le norme contemplate per la cremazione delle cadaveri al momento immediatamente successivo al decesso, specie per quanto riguarda la priorità tra coniuge e parenti nei vari gradi e, nel caso di difetto del coniuge, la possibile pluralità di persone nello stesso grado (indipendentemente dalla linea di parentela o dalla sua ascendenza o discendenza). E’ sempre richiesta un’autorizzazione da cui, però, deve emergere solo la volontà di cremare le ossa. Non è più necessaria, infatti, per ovvi motivi la procedura aggravata volta ad escludere la morte sospetta o dovuta a reato. La cremazione delle ossa provenienti da operazioni cimiteriali o da un precedente deposito in ossario comune può esser deliberata d’ufficio da parte del comune quando vi sia disinteresse da parte dei familiari del defunto.
Ovviamente per le ossa contenute nell’ossario comune non sussiste più nessun potere di disposizione da parte dei possibili aventi titolo, in quanto la destinazione dell’ossario comune si configura come un trattamento irreversibile provocato anche dall’inerzia dei congiunti del de cuius. L’unico a poterne deliberare la calcinazione, per recuperare spazio, è il sindaco attraverso un proprio atto.
Il disinteresse si qualifica come un atteggiamento inequivocabile di rifiuto ad esercitare lo jus sepulchri, protratto per un tempo sufficientemente lungo e certo o quale mancanza di soggetti titolati a decidere sulla destinazione alternativa di ossa e resti mortali.
Secondo un certo filone del dibattito tra gli studiosi della materia funeraria l’assenso all’incinerazione delle semplici ossa non sembrerebbe richiedere requisiti particolari di forma, come accade, invece, per incinerare un cadavere, se non quello della sua dichiarazione a chi è legittimato a richiedere ed ottenere la cremazione dei resti mortali. Per le ossa racchiuse ancora nella cassetta ossario, ma non più richieste per ulteriori periodi di sepoltura “dedicata” in loculo o celletta e naturalmente per l’ossame dell’ossario comune si possono adottare provvedimenti autorizzatori contestuali e cumulativi (una sola autorizzazione per più resti ossei appartenute a diversi cadaveri. Per le ossa dell’ossario comune il problema nemmeno si pone perchè l’ossario comune presuppone già una conservazione in forma promiscua ed indistinta.
Mia nonna, deceduta dal 1974 e finora in una tomba, è stata fatta cremare da una cugina senza autorizzazione mia e di mia sorella (non ci sono altri parenti). E’ regolare o avremmo dovuto essere interpellati prima di operare? Grazie
Regione Piemonte
No, non è regolare. La cremazione avrebbe dovuto essere autorizzata da voi due, non da una parente di grado più lontano.
Cosa potete fare: Chiedere l’accesso agli atti presso il Comune e/o l’Ufficio di Polizia Mortuaria dove è stata autorizzata la cremazione, per verificare chi ha firmato e su quali basi.
Valutare, con l’aiuto di un avvocato, se ci sono gli estremi per impugnare l’atto o segnalare l’irregolarità all’autorità giudiziaria o amministrativa.