Dopo sette anni di indagini e procedimenti giudiziari si chiude con sette condanne e sei assoluzioni il processo noto come “Cimitero degli orrori”, che ha scosso profondamente la comunità di San Martino delle Scale, nel comune di Monreale, a due passi da Palermo, e sollevato interrogativi drammatici sull’etica e sulla legalità nella gestione cimiteriale di quel cimitero particolare.
Al centro della vicenda il cimitero dei Benedettini, dove si sono consumati atti di inaudita gravità: la profanazione sistematica di tombe, lo smaltimento illecito di resti mortali e la successiva rivendita fraudolenta degli spazi liberati.
L’inchiesta, avviata dai Carabinieri di Monreale nel maggio 2018, ha portato alla luce una rete di pratiche illecite condotte con modalità seriali e consolidate, con il chiaro intento speculativo.
I reati contestati vanno dalla violazione di sepolcro al traffico illecito di cadaveri, dalla truffa aggravata fino all’abuso d’ufficio, coinvolgendo sia personale incaricato della custodia e manutenzione del cimitero, sia soggetti privati che avrebbero beneficiato economicamente della compravendita di loculi “liberati”.
La sentenza pone fine a un procedimento complesso e doloroso, ma lascia aperta una ferita profonda nella percezione pubblica del rispetto dovuto ai defunti.
La vicenda impone una riflessione su diversi fronti:
- il controllo amministrativo dei servizi cimiteriali
- la formazione e la responsabilizzazione degli operatori funebri e cimiteriali
- la revisione dei modelli gestionali, soprattutto nei contesti di affidamento a enti religiosi o privati
- la necessità di un aumento di dotazioni soprattutto al Centro e Sud Italia di impianti di cremazione
- il cambiamento della modalità tecnica di tumulazione stagna, che di fatto non scheletrizza, sostituendola con altra – soluzione diffusa in molti Paesi nel mondo – di tumulazione aerata
Nel contesto di una sempre maggiore attenzione al tema della “funeral ethics”, l’episodio richiama la necessità di rafforzare il presidio normativo e operativo della polizia mortuaria (Regolamento nazionale D.P.R. 285/1990, ma anche regolamenti comunali) per evitare che i luoghi deputati al culto dei morti si trasformino in teatri di abusi e mercimonio.
Il meccanismo messo in piedi, con diverse complicità, da chi aveva in mano la gestione di quel cimitero (ma la cosa è purtroppo diffusa anche in qualche altro cimitero, come si registra da cronache locali), di fronte alla carenza di posti in tumulo, attuava ogni soluzione per liberare posti.
E, con tumulazioni stagne che determinano, a distanza di svariati decenni dalla originaria sepoltura, resti mortali – esiti di di fenomeni cadaverici trasformativi – anziché utilizzare le possibilità consentite dalla legge (cremazione, prolungamento della tumulazione, inumazione del resto mortale in campo indecomposti) si attuavano in diversi casi manipolazioni vietate nei confronti dei resti mortali per “forzare” il rinvenimento di sole ossa o, peggio, di trattare con soluzioni di inimmaginabile vilipendio di cadavere, la “eliminazione del problema”.
Una tragedia giudiziaria e civile che deve ora tradursi in consapevolezza istituzionale e riforma concreta, per restituire dignità e sicurezza ai nostri defunti.
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