TAR Veneto, Sez. I, 3 aprile 2009, n. 1192

Norme correlate:
Art 2 Legge n. 241/1990
Art 341 Regio Decreto n. 1265/1934

Testo completo:
TAR Veneto, Sez. I, 3 aprile 2009, n. 1192
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Prima Sezione)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 377/2008 proposto da Monastero cistercense dei Santi Gervasio e Protasio in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Umberto Costa ed Alessandra Cadalt, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,
contro
il Comune di Vittorio Veneto in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Primo Michielan, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,
il Dirigente U.O. Servizi demografici e statistici – Servizi cimiteriali del Comune di Vittorio Veneto dott.sa Paola Costalonga, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento del dirigente U.O servizi demografici e statistici – Servizi cimiteriali dd. 19.12.2007 n. 51878; dell’ordinanza sindacale dd. 20.12.2007 n. 217; dell’avvio del procedimento per la decadenza dall’utilizzo della Cappella da parte del Monastero dd.26.9.2006 prot. gen. n. 36878; nonché per l’accertamento del silenzio dell’amministrazione comunale conseguente all’avvio del procedimento di cui sopra; nonché di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente; ed altresì per il risarcimento del danno;
quanto ai motivi aggiunti depositati in data 28.6.2008: della determinazione dd. 29.5.2008 n. 966; della comunicazione dd. 15.8.2008 prot. n. 20147; nonché di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente.
Visto il ricorso, notificato il 15.2.2008 e depositato presso la segreteria il 26.2.2008 con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione del Comune di Vittorio Veneto;
visti gli atti tutti della causa;
uditi alla pubblica udienza del 26 febbraio 2009 (relatore il Consigliere Alessandra Farina) gli avvocati: Costa e Cadalt per la parte ricorrente e Michielan per il Comune di Vittorio Veneto;
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il Monastero dei Santi Gervasio e Protasio, odierno ricorrente, sito in località S. Giacomo in Veglia, Comune di Vittorio Veneto (TV), ospita sin dal 1909 l’ordine delle monache cistercensi di clausura.
La particolare regola della clausura impone alle religiose di non lasciare mai il convento, neppure dopo la morte e quindi neppure per rendere omaggio ad altri defunti (anche consorelle) seppelliti fuori dall’area del Monastero.
Sebbene per un periodo le suore siano state seppellite nel cimitero comunale della località di S. Giacomo in Veglia, a seguito istanza presentata in data 15.4.1969 dall’allora Madre Abbadessa, sulla base del parere favorevole espresso dall’amministrazione comunale di Vittorio Veneto e nonostante le perplessità inizialmente sollevate, il Medico Provinciale di Treviso rilasciava in data 30.6.1969 l’autorizzazione alla sepoltura delle consorelle decedute nel volume edificando ed incorporato alla chiesetta esistente (“Cappella Gentilizia funeraria privata nell’ambito dell’area libera della clausura”).
Da tale data tutte le suore successivamente decedute sono state seppellite nella cappella interna al Monastero.
In data 26.9.2006, tuttavia, il Comune notificava alla Madre Abbadessa l’avvio del procedimento di decadenza dall’uso della cappella funeraria.
Con tale comunicazione, l’amministrazione rendeva edotta la destinataria dell’avvenuto accertamento della situazione di fatto relativa all’ambito circostante il monastero e la cappella funeraria, presso la quale sino ad allora erano state seppellite le suore ivi residenti, ed in particolare l’insussistenza delle condizioni per la costruzione e la permanenza delle cappelle private, così come stabilite dall’art. 104 del D.P.R. n. 285/1990, recante il regolamento di polizia mortuaria.
Nella specie veniva rilevata l’insussistenza nel raggio di 200 metri dalla cappella funeraria di terreni di esclusiva proprietà del Monastero, gravati da un vincolo di inalienabilità ed inedificabilità, come richiesto dalla normativa citata.
In considerazione di tali circostanze, veniva comunicato l’avvio del procedimento per la pronuncia della decadenza dal diritto all’uso della cappella, assegnando alla destinataria termine per presentare le proprie controdeduzioni.
Contestualmente, si disponeva, sempre in applicazione della norme del regolamento di polizia mortuaria, che, nelle more della definizione del procedimento, nessun nulla osta poteva essere rilasciato per altre sepolture nella cappella in questione.
La situazione rimaneva immodificata sino alla data del 18.12.2007, nella quale decedeva una delle consorelle, Suor Maria Stefania.
Informato il Sindaco dell’avvenuto decesso, la Madre Abbadessa chiedeva l’autorizzazione a seppellire la consorella all’interno del Monastero.
Con provvedimento del 19.12.2007 il Dirigente U.O. Servizi Demografici – Servizi Cimiteriali comunicava l’impossibilità di accogliere la richiesta di sepoltura all’interno del Monastero e con successiva ordinanza n. 217 del 20.12.2007, il Sindaco – richiamato quanto già espresso nella comunicazione di avvio del procedimento del settembre 2006 circa il divieto di disporre ulteriori sepolture – metteva a disposizione, a titolo provvisorio e sempre nelle more della definizione del procedimento finalizzato alla dichiarazione di decadenza dall’uso della cappella funeraria, un loculo sito nel cimitero di San Giacomo in Veglia, accollando al Comune ogni operazione in merito.
Avverso i provvedimenti così assunti, nonché avverso la comunicazione di avvio del procedimento risalente al 2006, con il ricorso introduttivo del giudizio, notificato in data 15.2.2008, parte istante ha dedotto le seguenti censure:
– Violazione di legge per violazione delle norme sul procedimento amministrativo – art. 2 L. n. 241/90 – Eccesso di potere – Carenza di istruttoria. Violazione di legge ed eccesso di potere per assenza dei presupposti di fatto e di diritto.
Dopo la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla pronuncia di decadenza dall’uso della cappella funeraria, risalente al settembre del 2006, il Comune non ha assunto alcun provvedimento conclusivo, benché parte ricorrente avesse svolto nei termini le proprie controdeduzioni.
Ne deriva che il predetto avviso e soprattutto la prescrizione in esso contenuta circa il divieto di disporre ulteriori inumazioni, doveva considerarsi decaduto e con esso il potere comunale di provvedere in merito.
Da ciò l’illegittimità degli atti impugnati, in quanto aventi come presupposto un procedimento ormai esauritosi per non essere stato portato a conclusione.
– Violazione di legge- eccesso di potere – carenza di istruttoria.
Relativamente al parere dell’Azienda Sanitaria Locale n. 7, favorevole all’inumazione della consorella, l’amministrazione non pare averne tenuto conto; diversamente, nell’ipotesi in cui detto parere non sia stato acquisito, il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo per mancata acquisizione di un parere obbligatorio, nonchè per difetto di istruttoria.
– Violazione di legge – eccesso di potere per illogicità manifesta – sviamento . Violazione dell’art. 104 D.P.R. n. 285/1990, indicato nella premessa dell’ordinanza n. 217/2007.
Pur confermando che il Monastero non è mai stato titolare della proprietà delle aree circostanti la cappella funeraria, parte istante evidenzia come l’autorizzazione alla sepoltura delle suore sia stata rilasciata dall’amministrazione comunale nel lontano 1969 in ragione di una specifica deroga, per le particolari esigenze connesse alla regola monacale della clausura.
– Violazione di legge sotto altro profilo ed eccesso di potere per sviamento e difetto dei presupposti. Illegittimità derivata.
Anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere ancora pendente il procedimento diretto alla declaratoria di decadenza dal diritto di sepoltura all’interno del Monastero, comunque i provvedimenti impugnati risultano affetti da illegittimità.
L’ipotesi contemplata dall’art. 104 del regolamento di polizia mortuaria presuppone, infatti, che la decadenza sia determinata dalle mutate condizioni di fatto e di diritto che a suo tempo avevano consentito il rilascio dell’autorizzazione.
Nel caso di specie la situazione, dal 1969 alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, non è mutata.
– Violazione delle norme sulla notificazione – carenza.
Il provvedimento del 19.12.2007 non è stato debitamente notificato alla Madre Abbadessa e quindi non è in grado di esplicare i suoi effetti.
– Violazione di legge ed eccesso di potere sotto ulteriore profilo – Contraddittorietà – eccesso di potere per sviamento.
Tutti i provvedimenti contestati hanno, in realtà, un contenuto ed una finalità ritorsiva nei confronti del Monastero, che rappresenta un ostacolo alla realizzazione del progetto comunale di costruzione di un imponente complesso pubblico nell’area circostante il convento.
Parte istante ha quindi concluso chiedendo l’annullamento degli atti impugnati ed il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno patito per effetto dei dinieghi opposti dall’amministrazione comunale.
Nelle more del giudizio, in data 15.5.2008, decedeva altra consorella, Suor Maria Carmine.
Ancora una volta il Comune, reso edotto del decesso di un’altra suora all’interno del Monastero, con nota del dirigente dei Servizi Cimiteriali, confermava il divieto di sepoltura all’interno del convento, così come anticipato nella comunicazione del 2006.
A fronte di tale nota il Monastero chiedeva al Tribunale l’adozione di misure cautelari provvisorie : con decreto n. 366/08, in accoglimento della richiesta cautelare veniva disposta la sospensione dei provvedimenti impugnati (il che consentiva la sepoltura della consorella all’interno del Monastero).
In data 29.5.2008 il Comune di Vittorio Veneto provvedeva infine a notificare al Monastero l’intervenuta adozione del provvedimento dirigenziale di decadenza dal diritto d’uso della cappella funeraria adiacente al convento per carenza dei presupposti e delle condizioni richieste dalla normativa di cui all’art. 104 del regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. n. 285/90).
Avverso il provvedimento così assunto venivano depositati motivi aggiunti, con i quali sono state sostanzialmente riformulate le doglianze già esposte nel ricorso introduttivo, in ragione delle quali anche il provvedimento finale doveva ritenersi illegittimo in via derivata.
In particolare, la difesa istante ha sottolineato la posizione di affidamento ingenerata per effetto dell’autorizzazione rilasciata nel 1969, tale per cui si doveva considerare acquisito, dopo quarant’anni, il diritto a seppellire le suore di clausura all’interno della cappella funeraria.
In ogni caso, anche a voler seguire la tesi comunale, nel caso di specie si sarebbe dovuto adottare un provvedimento di annullamento dell’autorizzazione in precedenza concesso e non un provvedimento di decadenza.
Parte istante osserva inoltre come risulti del tutto illegittimo il provvedimento nella parte in cui ignora la disciplina in materia dettata dalle norme del diritto canonico, che consentono agli istituti religiosi di avere un proprio cimitero.
Viene, altresì, denunciata l’illegittimità del provvedimento impugnato per incompetenza, trattandosi di materia riservata alla Regione e non al Comune.
Alla prima e non al secondo competeva, quindi, il potere di intervenire con l’adozione dell’atto contrario a quello originariamente rilasciato.
Il Comune di Vittorio Veneto si è costituito in giudizio, opponendosi all’accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti successivamente notificati.
In via preliminare, la difesa resistente ha eccepito l’irricevibilità del ricorso proposto avverso il diniego di tumulazione del 19.12.1997, trattandosi di atto direttamente consequenziale al divieto di nuove sepolture contenuto nella comunicazione di avvio del procedimento de 26.9.2006, prescrizione già immediatamente lesiva, ma non tempestivamente impugnata da parte ricorrente.
Parte resistente eccepisce altresì l’improcedibilità delle censure sollevate con il ricorso introduttivo avverso gli atti con esso impugnati, stante la sopravvenuta adozione del provvedimento definitivo di decadenza del 29.5.2008, ciò in quanto tutto l’interesse di parte ricorrente necessariamente deve essere orientato all’annullamento del provvedimento finale che, in via definitiva, ha dichiarato l’insussistenza dei presupposti per proseguire nella sepoltura delle monache all’interno del Monastero.
Ciò premesso, la difesa del Comune ha controdedotto sotto ogni profilo in ordine alle doglianze sollevate avverso gli atti impugnati, rilevando l’assoluta legittimità degli atti assunti ed in particolare del provvedimento finale di decadenza.
Il Comune rileva in particolare come l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione sia stato determinato da ragioni del tutto particolari, che comunque non hanno dato luogo alla titolarità in capo al Monastero di alcun diritto in merito, diritto non supportato neppure delle invocate disposizioni del diritto canonico, la cui vigenza non esclude l’applicazione delle norme statali in materia di igiene e sanità per quanto attiene alla sepoltura dei defunti.
Superate le eccezioni formali circa la regolarità della costituzione in giudizio, la difesa comunale ha quindi concluso chiedendo la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti, nonché della richiesta di risarcimento del danno.
All’udienza del 26 febbraio 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in oggetto il Monastero dei Santi Gervasio e Protasio, ospitante l’ordine delle monache cistercensi di clausura, rivendica la legittimità della pretesa a seppellire le monache defunte nella cappella funeraria privata, sita all’interno dello stesso convento, incorporata all’esistente chiesetta.
La possibilità di seppellire le consorelle all’interno del Monastero, così rispettando anche dopo la morte la regola della clausura, era stata concessa dal Medico Provinciale di Treviso con provvedimento risalente al 30 giugno del 1969, con il quale la Madre Abbadessa era stata autorizzata a costruire una “…Cappella Gentilizia funeraria privata all’interno dell’area libera della clausura, incorporata alla già esistente chiesetta…”.
A partire da tale data (in precedenza le monache defunte erano state seppellite nel cimitero comunale) le consorelle avevano avuto sepoltura nella Cappella funeraria così realizzata.
Con avviso del 30.6.2006 è stata data comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione della decadenza dal diritto d’uso della cappella funeraria privata sita all’interno del Monastero, in ragione dell’avvenuto accertamento della mancanza delle condizioni prescritte dall’art. 104 del D.P.R. n. 285/1990 per la costruzione e l’uso delle cappelle private.
L’avvio del procedimento era stato determinato dall’incremento dell’attività edificatoria nelle immediate vicinanze del Monastero, per effetto del quale era stato accertato che il Monastero non era proprietario di fondi in un raggio di 200 metri dal luogo di sepoltura ed che sulle aree poste a tale distanza non era stato imposto alcun vincolo di inalienabilità e di inedificabilità, così come richiesto dalla normativa richiamata, contenuta nel regolamento di polizia mortuaria.
Già mediante la comunicazione del 30.6.2006 l’amministrazione aveva altresì provveduto ad inibire in via immediata – nelle more della definizione del procedimento – la sepoltura delle monache.
Detta eventualità si è verificata in epoca successiva, precisamente il 19.12.2007, data in cui è venuta a mancare una monaca.
A fronte della richiesta avanzata dalla Madre Abbadessa di procedere comunque alla tumulazione, nonostante quanto in precedenza comunicato dall’amministrazione, è intervenuto il provvedimento comunale di diniego del 19.12.2007, oggetto del ricorso introduttivo, seguito dall’ordinanza sindacale n. 217/2007, parimenti impugnata, con la quale, ribadita l’impossibilità di dare corso alla richiesta, è stata data la disponibilità per la sepoltura nel cimitero comunale (peraltro accettata).
Nelle more del giudizio così instaurato, è sopravvenuta la morte di un’altra monaca, per la quale, grazie al provvedimento di sospensione dei provvedimenti impugnati concesso dal Tribunale (decreto 366/08), è stato possibile seppellire la religiosa all’interno del Monastero.
La questione ha trovato infine conclusione con l’adozione del provvedimento n. 966 del 29 maggio 2008, impugnato con i motivi aggiunti, con il quale viene definitivamente dichiarata la decadenza del Monastero dal diritto d’uso della Cappella privata.
Riassunta in questi termini la sequenza dei provvedimenti assunti dall’amministrazione comunale, ritiene il Collegio di poter aderire all’eccezione di improcedibilità, sollevata dalla difesa resistente, del ricorso principale, proposto avverso gli atti assunti dall’amministrazione nelle more della definizione del procedimento amministrativo conclusosi con il provvedimento di decadenza.
Invero, pur rilevandosi oggettivamente i profili di irricevibilità per tardiva impugnazione della comunicazione di avvio del procedimento nella parte in cui già conteneva il divieto di procedere ad ulteriori inumazioni, le censure rivolte avverso tali atti sono comunque divenute improcedibili, non conseguendo parte ricorrente alcuna utilità dall’annullamento degli atti cui le doglianze sono state rivolte.
La sopravvenuta adozione del provvedimento definitivo di decadenza assorbe, infatti, ogni precedente statuizione, da cui la perdita di interesse all’annullamento degli atti che lo hanno preceduto nelle more della sua emanazione, interesse che ora è pertanto rivolto all’annullamento del provvedimento del 29.5.2008.
Passando quindi alla valutazione della fondatezza delle censure mosse avverso tale atto, il Collegio osserva in primo luogo che la stessa parte ricorrente non contesta la circostanza di fatto per cui il Monastero non è proprietario delle aree poste alla distanza di 200 metri dal luogo di sepoltura e che quindi su tali terreni non è stato apposto alcun vincolo di inalienabilità e di inedificabilità.
Quindi, oggettivamente, non sussistono le condizioni richieste dal regolamento di polizia mortuaria per autorizzare la sepoltura nelle cappelle private.
La situazione venutasi a creare per effetto dell’autorizzazione rilasciata nel 1969 è quindi stata determinata dalla volontà di consentire la sepoltura in un ambito privato, in deroga alle norme generali in materia sanitaria, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle distanze dai luoghi di sepoltura.
A tale riguardo, è necessario chiarire che per effetto della rilasciata autorizzazione al Monastero è stata consentita un’attività comunque soggetta a valutazione da parte dell’amministrazione e quindi soggetta all’applicazione di norme di azione, come tali ingeneranti posizioni di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Erra, pertanto, la difesa istante, là dove afferma che per effetto di tale atto sia sorto in capo al Monastero un diritto soggettivo alla sepoltura delle monache all’interno del convento, trattandosi di un’attività il cui esercizio è soggetto ad autorizzazione, che, come tale, può, sussistendone i presupposti, essere soggetta a decadenza, come avvenuto nel caso di specie, in cui è stata dichiarata la decadenza dal “diritto d’uso” della cappella funeraria privata.
Ciò premesso, le doglianze di parte ricorrente sono tutte rivolte a contestare l’applicabilità nel caso di specie della disciplina di cui all’art. 104 del D.P.R. 285/90, invocando al riguardo l’applicazione delle disposizioni contenute nel codice di diritto canonico, il quale prevede che anche gli istituti religiosi possano avere un cimitero privato.
Sulla base di tale premessa normativa, si sostiene l’illegittimità del provvedimento di decadenza, in quanto l’amministrazione non avrebbe potuto applicare le norme statali in materia di cimiteri, non essendo il caso del Monastero riconducibile all’utilizzo di una Cappella privata o gentilizia.
Osserva preliminarmente il Collegio come la stessa autorizzazione rilasciata nel 1969 facesse testuale riferimento alla possibilità di seppellire le monache all’interno del Monastero nella Cappella Gentilizia privata.
Quindi, anche in base all’autorizzazione di cui si è avvalso il Monastero per anni, la sepoltura è stata effettuata in quella che è stata definita (e non contestata dall’interessato) come una Cappella gentilizia privata.
Ciò premesso, il Collegio ritiene che il provvedimento di decadenza assunto dal Comune di Vittorio Veneto sia immune dai vizi denunciati, in quanto correttamente (sulla base di una situazione di fatto e di diritto incontestata) è stata rilevata l’assenza delle condizioni richieste per effettuare la tumulazione della salme in un ambito diverso dal cimitero.
A tale riguardo non può rivelarsi utile il richiamo alle disposizioni dettate dal diritto canonico in materia di cimiteri.
A tale riguardo il Capitolo V del Codice di Diritto Canonico – “De coemiteriis”- al canone 1240, stabilisce che i luoghi deputati alla sepoltura dei fedeli debbano appartenere alla Chiesa o comunque debbano essere previsti ambiti nei cimiteri civili riservati ai fedeli, previa benedizione secondo il rito.
Merita di essere sottolineato al riguardo che, secondo il diritto canonico, il cimitero è luogo sacro, qualità che viene acquisita per effetto della dedicazione o della benedizione.
Prosegue il canone 1241 stabilendo che le parrocchie e gli istituti religiosi possono avere un cimitero proprio, così come le altre persone giuridiche o le famiglie, purchè l’area a ciò destinata venga benedetta a giudizio dell’Ordinario del luogo.
Precisa, infine, il canone 1242 che la sepoltura all’interno delle chiese è di per sé vietata, fatta eccezione per il caso in cui si tratti di seppellire il Romano Pontefice oppure, nella propria chiesa, i Cardinali o i Vescovi diocesani anche emeriti.
La disciplina così riportata mira a regolare il regime giuridico delle aree destinate alla sepoltura dei fedeli defunti ed ha quale finalità propria quella di garantire il rispetto della sacralità del luogo in cui ciò avviene.
In questo senso, secondo l’ordinamento canonico, anche gli istituti religiosi possono avere un cimitero proprio, purchè sia garantita la sacralità del luogo, attraverso la benedizione e la dedicazione.
Tuttavia, se questo è l’ambito di applicazione della disciplina dei cimiteri secondo il diritto canonico, altro è il profilo della presenza dei cimiteri secondo il diritto statale.
Le leggi civili richiedono il rispetto di una serie di prescrizioni, volte in primo luogo a garantire l’igiene e la salubrità dei luoghi circostanti i cimiteri, pubblici o privati che siano.
In base al diritto canonico, quindi, è consentito che anche gli istituti religiosi abbiano un loro proprio cimitero, a condizione che vengano rispettate le norme di diritto particolare dettate per conservare e proteggere la dignità sacra che il cimitero acquista con la benedizione : invero, anche i cimiteri degli istituti religiosi, essendo beni ecclesiastici, devono essere preventivamente benedetti, onde acquisire il carattere di luogo sacro.
Altro è il profilo inerente alla disciplina civile dei cimiteri, che secondo l’ordinamento italiano è dettata dal più volte richiamato D.P.R. n. 285/1990.
La vigilanza in materia è attribuita all’autorità comunale e tale è stata mantenuta anche successivamente all’entrata in vigore del D.lgs. n. 112/98 e del D.lgs. n. 96/99, in base ai quali le funzioni in materia di edilizia di culto continuano ad essere esercitate dai Comuni.
In base all’art. 104 del regolamento di polizia mortuaria anche le cappelle private costruite fuori dai cimiteri debbono rispondere a tutti i requisiti prescritti dal medesimo regolamento per le sepolture private all’interno dei cimiteri.
In particolare, al secondo comma è stabilito che la costruzione e l’uso delle cappelle private esterne ai cimiteri è ammessa solo “…quando siano attorniate per un raggio di metri 200 da fondi di proprietà delle famiglie che ne chiedano la concessione e sui quali gli stessi assumano il vincolo di inalienabilità e di inedificabilità”.
Venute meno le suddette condizioni di fatto così previste, i titolari delle concessioni decadono dal diritto di uso delle cappelle.
La disciplina dettata dal richiamato regolamento, cui rimanda l’art. 341 del R.D. n. 1265/1934 (Testo Unico in materia sanitaria), vale anche per le ipotesi di cimiteri di appartenenza delle parrocchie o degli istituti religiosi, così come previsto dal canone 1241, per i quali è garantito il rispetto della sacralità del luoghi (esigenza primaria ed indefettibile prevista, come sopra precisato, dal diritto canonico), vincolando detti luoghi alla sola sepoltura ed all’esercizio del culto dei defunti, ma al tempo stesso, sotto il profilo sanitario, è richiesta l’osservanza delle prescrizioni contenute nel regolamento.
Quindi, la costruzione di cappelle private, anche utilizzate da istituti religiosi, come nel caso di specie, è contemporaneamente soggetta sia alle norme del diritto canonico che a quelle del diritto civile statale : per l’effetto, anche i cimiteri privati di proprietà di istituti religiosi debbono sottostare alle condizioni di salubrità ed igiene stabilite dal regolamento di polizia mortuaria.
Non esiste quindi un conflitto fra le due normative, tale per cui una possa escludere l’altra, bensì è consentito, nel rispetto dei principi del diritto canonico (soprattutto quanto alla sacralità del luogo), realizzare anche cimiteri privati, purchè ciò avvenga con l’osservanza delle norme stabilite nel D.P.R. n. 285/90.
Ritenuto quindi che nel caso di specie debbano trovare applicazione le disposizioni del regolamento di polizia mortuaria e incontestata la circostanza per cui il Monastero non è proprietario delle aree circostanti la cappella funeraria per un raggio di 200 metri, sulle quali pertanto non è stato apposto un vincolo di inedificabilità e di inalienabilità, il provvedimento assunto dal Comune risulta rispettoso della normativa specifica della materia.
Proprio il tenore della norme induce a ritenere, peraltro, che la pronuncia di decadenza abbia carattere declaratorio o ricognitivo, non residuando alcun margine di apprezzamento da parte dell’amministrazione comunale in ordine all’assunzione del provvedimento, a fronte dell’accertata insussistenza delle condizioni richieste per la prosecuzione nell’utilizzazione della cappella privata.
Già la norma ha valutato come incompatibile l’utilizzo della cappella in assenza delle prescritte condizioni, per cui il provvedimento di decadenza deriva de iure e quindi opera automaticamente, senza alcun margine di discrezionalità e obbligo di bilanciamento fra interessi pubblici e privati coinvolti.
Indubbiamente, nello specifico caso in esame, l’originaria autorizzazione alla sepoltura all’interno del Monastero presentava, per le ragioni testè espresse, profili di illegittimità : tuttavia, e non è questa la sede per contestare quanto avvenuto in passato e le motivazioni, pur apprezzabili sotto il profilo umano e religioso, che hanno sorretto il rilascio dell’autorizzazione rilasciata nel 1969.
Certo è, tuttavia, che il mutamento della situazione di fatto (con particolare riguardo all’incremento edificatorio venutosi a determinare nelle immediate vicinanze del Monastero e quindi della cappella funeraria), non poteva essere ignorato dall’amministrazione.
In tal senso, quindi, è stato assunto il provvedimento di decadenza, con il quale, pur dandosi implicitamente atto dell’autorizzazione in precedenza concessa per la sepoltura della monache all’interno del Monastero, rilevata l’assenza delle condizioni di cui al secondo comma dell’art. 104, è stata sostanzialmente disposta la cessazione di ogni ulteriore attività di sepoltura all’interno della cappella privata.
Per tali considerazioni, ritenuta la legittimità del provvedimento di decadenza impugnato, i motivi aggiunti proposti avverso tale provvedimento vanno respinti.
Merita, tuttavia, di essere precisato che detto provvedimento, proprio in quanto basato su esigenze sopravvenute che hanno indotto l’amministrazione a rivedere la situazione di fatto così come venutasi a determinare per effetto di un’autorizzazione dalla medesima in precedenza rilasciata (sulla quale comunque parte ricorrente aveva fatto affidamento, pur essendo a sua volta ben consapevole del carattere derogatorio della stessa rispetto alle prescrizioni in materia), produrrà il solo effetto di vietare le ulteriori sepolture, senza incidere su quelle ormai effettuate all’interno della cappella.
In conclusione, dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo, vanno respinti i motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento, n. 966 del 29.5.2008, di decadenza dal diritto d’uso della cappella funeraria privata .
Appare equo disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni altra domanda o eccezione, lo dichiara in parte improcedibile ed in parte lo respinge.
Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, addì 26 febbraio 2009.

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