Le norme, che non sono norme, ma sono norme

Non si tratta di uno scioglilingua, ma, posta così, la questione appare maggiormente “veicolabile”, il senso da dare a quanto si andrà a vedere.
Generalmente, quando si usa la parola norme ci si riferisce a quelle che sono tali giuridicamente, cioè alle c.d. fonti del diritto, richiamate dall’art. 1 Disposizioni generali sulla legge (c.d., in forma abbreviata, Preleggi, fonti tra le quali sussiste una gerarchia, principalmente data dalle norme di rango primario (leggi propriamente dette ed atti aventi forza di legge) e dalle norme di rango secondario (regolamenti), gerarchia rispetto a cui vi sono “norme” sovra ordinate, in primis la Costituzione, ma anche gli Statuti comunali (che, alla luce dell’art. 114, comma 2 Cost., la Corte di Cassazione ha qualificato quale fonte “pre-primaria”).
A queste tipologie dovremmo aggiungere anche gli atti dell’Unione europea, aspetto che evitiamo per non appesantire più di tanto l’analisi.

Fino a qui nulla di novo, né particolarmente rilevante. Solo che, nelle pratiche operative, vi sono anche norme, che non rientrano nei contesti sopra indicati.
Intendiamo riferirci alle c.d. “norme tecniche”, definite dai c.d. organismi/enti di normazione (o, meglio, di “normalizzazione”), aventi un carattere di <standard.
Si citano gli enti denominati, a seconda dell’ambito di operatività, come ISO (International Organization for Standardization), CEN (Comité européen de normalisation in francese, oppure, in inglese European Committee for Standardization, ente normativo che ha lo scopo di armonizzare e produrre norme tecniche europee (ENs, European Norms; singolare = EN, European Norm in collaborazione con enti normativi nazionali e sovranazionali), UNI (Ente Nazionale italiano di Unificazione), enti che generalmente (senz’altro per quanto riguarda UNI) hanno la natura di un’associazione di carattere privato, che elabora norme tecniche per tutti i settori industriali, commerciali e del terziario.

Anche se queste “norme” non hanno il carattere delle norme in senso giuridico, né quello della cogenza e siano adottate da soggetti sostanzialmente privati (e non dalle amministrazioni pubbliche dotate di potestà normativa), di fatto, comportano effetti decisamente prossimi a quelli che si hanno per le norme propriamente dette.
Pensiamo solo alla norma tecnica sui formati della carta, (es.: UNI A4, UNI A3; giusto per citare un quid ampiamente conosciuto), il cui stabilimento ha comportato, di fatto, che i diversi dispositivi (stampanti, fotocopiatrici, ecc.) ormai siano progettati per questi formati, salve alcune applicazioni del tutto speciali.

In questo contesto, non può prescindersi dal considerare lo standard UNI EN CEN 15017:2019, recepito da UNI il 7 novembre 2019 (e il fatto che sia stato recepito in Italia da UNI nel corso del medesimo anno, in cui è stato adottato a livello EN CEN evita passate improprietà di citazione cui era stata interessata la precedente versione, a volte richiamata come “2005”, altre volte come “2006”, a secondo che si facesse riferimento allo standard EN CEN, oppure a quello UNI. Il 17 luglio 2020 ne è stata rilasciata la traduzione in lingua italiana (store.uni.com/catalogo/uni-en-15017-2019?josso_back_to=http://store.uni.com/josso-security-check.php&josso_cmd=login_optional&josso_partnerapp_host=store.uni.com).

Si tratta di uno standard importante, dato che definisce comportamenti, prassi, ma anche individua aspetti che altrimenti resterebbero esposti a definizioni (o alla mancanza di definizione) che sono, operativamente comuni in tutti Paesi parti del CEN, cioè i 27 Paesi dell’Unione europea, Regno Unito, Macedonia del Nord (o: Repubblica ex Jugoslava di Macedonia), Serbia, Turchia, nonché i Paesi dello S.E.E. (Islanda, Norvegia, Svizzera). Si fa solo un esempio: lo standard prevede una sezione (Education), in cui individua i requisiti formativi, distinti per figure professionali e per le durate dei percorsi formativi) unificati, uniformi, la cui applicazione consentirebbe si risolvere le diverse previsioni che in materia sono state introdotte nella realtà italiana, con differenze decisamente significative. Ma molti altri istituti trovano nello standard UNI EN CEN 15017:2019 elementi non solo unificanti, ma altresì chiarificatori, rendendo non certe differenziazioni, incongruità, ecc. presenti nel contesto italiano.
Ma neppure vanno trascurati gli Annexe (Allegati, in italiano), tra i quali si cita quello che recepisce all’interno dello stesso standard il Codice etico della ICF (International Cremation Federation), di essenziale, ma anche pratica, importanza.

Per altro, nello standard vi sono istituti poco o nulla presenti in Italia, come (es. il “tempo di pace”, inteso come un periodo di tempo in cui una sepoltura, in precedenza utilizzata, deve rimanere inutilizzata prima di un reimpiego.
Ma l’elemento che rappresenta una criticità, per le impostazioni presenti in Italia, è la non distinzione tra la pratica funeraria dell’inumazione e quella della tumulazione, solo se si considerino le differenze di modalità di esecuzione, i differenti “apparati” (es.: tipologie di casse, durate, queste in funzione di svolgimento degli ordinari processi cadaverici trasformativi, ecc.
Si tratta di aspetti non certo di lieve spessore, ma, in ogni caso, ogni riferimento allo standard risulta “arricchente”, oltre che “unificante”, rispetto al contesto dei Paesi parte del CEN.
Ed, infine, non può sottacersi come sia stato adottato, col voto favorevole di una larghissima maggioranza (1 solo voto di astensione, che, in ambito CEN, vale come voto sostanzialmente favorevole), cioè con una (quasi) unanimità. Anche questo elemento va tenuto presente.

Vi è, infine, la convinzione che la conoscenza ed approfondimento di questo standard possa essere uno strumento di crescita non solo professionale, ma anche culturale per quanti, pur nei diversi ruoli, svolgano la propria attività, imprenditoriale o meno che sia, in questo settore. Insomma, da conoscere ed approfondire.

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Sereno Scolaro

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