Cremazione di spoglie mortali – 2/2

Ovviamente, con l’eccezione della constatazione di avvenuto completamento della mineralizzazione, accertamento che consente di fare ricorso (sotto il profilo sostanziale) ad operazioni nettamente analoghe a quelle già viste con riguardo all’art. 85.
Nell’esecuzione delle estumulazioni operano i limiti e divieti posti dal successivo art. 87. Ma anche la tumulazione non è illimitata nel tempo (trascuriamo, intenzionalmente, i residui casi di concessioni date in perpetuo), dato che l’art. 88 consente, alle condizioni ivi indicate, anche una certa quale movimentabilità (e dopo qualsiasi periodo) dei feretri (c) destinati ad essere trasportati in altra sede (a condizione che, aperto il tumulo, il coordinatore sanitario constati la perfetta tenuta del feretro e dichiari che il suo trasferimento in altra sede può farsi senza alcun pregiudizio per la salute pubblica), dove l’”altra sede” può essere sia altra tumulazione , sia la cremazione, sia l’inumazione (anche qui con le variabili del medesimo cimitero, di altro cimitero del medesimo comune, si altro comune, ecc.).
Si tratta di operazioni che spesso, per quanto impropriamente (se non erroneamente) sono spesso chiamate “estumulazioni straordinarie”.
In tutti i casi, prima o poi le spoglie mortali sono destinate alla collocazioni nell’ossario comune (o nel cinerario comune quando vi sia stata in qualche tempo la cremazione).
Questo quadro di riferimento va integrato con le disposizioni che riguardano i “resti mortali”, quali definiti dall’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 (emanato su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio (usando la terminologia dell’epoca)), di concerto con il Ministro della salute), i cui “trattamenti” sono individuati nei commi successivi.
Tra questi, il comma 6 prevede che per la cremazione di resti mortali non è necessaria la documentazione di cui all’art. 79, commi 4 e 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
È noto che prima di questa disposizioni definizioni di “resti mortali” erano state date con le circolari del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993 e n. 10 del 31 luglio 1998, definizioni non esattamente sovrapponibili e da non considerare non avendo le circolari natura normativa.
Ad un osservatore minimamente attento non sfugge come il richiamo all’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. appaia fonte dubbia in quanto l’oggetto di rinvio sembra ignorare le previsioni dell’art. 3, comma 1 L. 30 marzo 2001, n. 130.
In punto è semmai altro e la ragione di questo rinvio è ipotizzabile, in via interpretativa, nel fatto che alla data di formulazione del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 non erano ancora state emanate le modifiche al Regolamento (nazionale) di polizia mortuaria, previste dall’incipit dell’appena citato art. 3 L. 30 marzo 2001, n. 130.
È comunque noto che queste modifiche, così come altre disposizioni di tale legge, non sono ancora intervenute). Ma tra i “principi” per tali modifiche, merita citarsene anche altro, quello della lett. g).
Si tratta di un punto esposto ad equivocità, nel senso che tra la definizione di “resti mortali”, presente nell’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 e gli “oggetti” considerati dalla lett. g) (per quanto formalmente antecedente) intercorre una differenza sostanziale: se i termini di durata dell’inumazione, oppure della tumulazione siano i medesimi, nel D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254 si considerato i (possibili) effetti conservativi, mentre alla lett. b) questi non sono minimamente considerati assumendosi quale fattore di rilievo unicamente il periodo temporale, differenziato in relazione alla pratica funeraria antecedente.
Non si tratta di una differenza di poco, per cui anche testi (in norme regionali) che fanno applicazione della lett. g), per quanto maldestri, possono scontare l’indulgenza dell’improprietà, e talora erroneità, delle formulazioni risultanti sui B.U.R.

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