Concessioni cimiteriali ed istituto del c.d. “mutamento del rapporto concessorio”- 3/3

L'articolo è parte 3 di 3 nella serie Mutamento rapporto concessorio
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Il percorso non è ancora completo. Nulla è stato detto rispetto al fatto che, a seguito della rinuncia [A], il manufatto sepolcrale, venendo a essere acquisito al demanio cimiteriale, costituisce un fattore negativo per quest’ultimo, dal momento che (salvi i casi di saturazione, avvenuta o prossima) un elemento che può indurre a questa scelta viene ad essere, in moltissimi casi, quello per cui il manufatto sepolcrale sia tutt’altro che in condizioni di … buon stato di conservazione.
Neppure nulla è ancora stato considerato attorno al tema, non secondario, degli oneri cui venga interessata la nuova concessione, a tempo determinato, i quali possono costituire altro elemento di valutazione per la scelta del ricorso all’istituto del c.d. “mutamento del rapporto concessorio”.
Se questa acquisizione sia presente, in via generale, già in tutti i casi di scadenza delle concessioni cimiteriali, in questa ipotesi non si ha l’effetto, fisiologico, di una durata a suo tempo determinata, rispetto a cui non vi sono molte alternative, ma consente una ponderazione tra differenti posizioni e interessi.
Se sia oggettivamente vero che con tale effetto, l’onere della conservazione del manufatto sepolcrale viene a porsi a carico del comune, è anche vero che questi potrebbe (molto dipende dalle singole situazioni) anche optare per una trasformazione del manufatto sepolcrale dalla funzione di accoglimento di feretri a quella dell’accoglimento di cassette ossario od urne cinerarie, magari recuperando un numero di posti per queste ultime nettamente superiore a quelli che potrebbero costituire gli orizzonti di fabbisogno di chi divenga concessionario/fondatore del sepolcro della nuova concessione cimiteriale, a tempo determinato, per cui quest’ultima potrebbe essere contenuta nella capienza di questi orizzonti, assegnando ad altri quelli eccedenti, cosa che potrebbe richiedere anche una serie di accordi con gli interessati all’intera operazione, cosa che sarebbe sempre apprezzabile dato momento che spesso un colloquio, una trattativa equilibrata e reciprocamente rispettosa, senza pretese o patti leonini, potrebbe essere raggiungibile.
Le concessioni a terzi, fermi restando i principi che reggono la tariffazione, potrebbero (condizionale di rigore, ovviamente, essendo tutto fortemente condizionato dalla singola situazione) costituire risorse impiegabili, nel breve, a copertura degli oneri connessi all’intervento sul manufatto sepolcrale.
Non senza escludere eventuali ipotesi di compartecipazione, più o meno ampia, dei “nuovi” concessionari, specie quando terzi, agli oneri derivanti dagli interventi caso per caso necessari.

Tariffazione della nuova concessione, a tempo determinato: in primis, deve ricordarsi come non si possa prescindere dai principi posti dall’art. 26 D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, anche se questi possono essere valutati sotto una luce più “ricca”.
Dal momento che con questa operazione il comune viene comunque ad acquisire al demanio cimiteriale un manufatto sepolcrale esistente, a volte con caratteri di pregio, di una qualche rilevanza architettonica, artistica, storica, di memoria locale, per quanto, come visto, anche con fattori di passività, si ritiene ammissibile che la regolazione della tariffazione della nuova concessione cimiteriale, a tempo determinato possa essere valutata non in termini astratti, ma anche con modalità “di favore”, i.e.: prevedendo una qualche aliquota di riduzione rispetto alle tariffe stabilite da tipologie di manufatti abbastanza comparabili, oppure da una pluralità di aliquote parametrate secondo criteri che salvaguardino i principi di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 1 Cost.), oppure altre differenziazioni, fino all’ipotesi estrema di una nuova concessione, a tempo determinato, non soggetta a tariffazione, fermo restando che debbano essere corrisposte le somme per le c.d. “spese contrattuali”, cioè quelle non comprimibili quali imposte di bollo e/o di registro, diritti di segreteria, ecc., se ed in quanto dovute/i.
Quest’ultima ipotesi di lavoro può giustificarsi con l’apparente (dato che tra le due concessioni vi è una netta cesura) continuità nella titolarità del sepolcro rispetto alla medesima famiglia.

Va anche detto come l’istituto qui considerato possa prestarsi in molti casi per affrontare le criticità discendenti dalle numerose situazioni derivanti dalla presenza di concessioni a suo tempo date in perpetuo.
Molte di queste sono frequentemente sature e, per questo, inutilizzabili: quando a questa situazione si aggiunga la “distanza affettiva” (es.: vi siano stati accolti bisnonni, trisnonni, lontani prozii o altre persone di cui non vi sia più “memoria affettiva familiare”, ma vi sia notizia della loro esistenza solo per il fatto di risultare nominati nelle iscrizioni presenti sul sepolcro) è anche comprensibile come non vi sia molta propensione ad una diligente osservanza degli obblighi derivanti dall’art. 63 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. che frequentemente sono sproporzionati rispetto alla “memoria affettiva familiare”.
Tal volta essa risulta ridotta anche dal fatto di risentire di lontananze fisiche, come in tutte quelle situazioni in cui una famiglia, e i suoi rami, un tempo insediati in una determinata località (dove vi è il sepolcro), oggi si sono distribuiti in altri comuni per i più diversi motivi (che non rilevano punto) ed in diversi tempi, spesso lontani e rispetto a cui il comune in cui si trova il cimitero non rappresenta ormai più alcunché se non un nome.
Ma questi manufatti spesso sono di ostacolo a programmi di ristrutturazione del cimitero, portando all’esigenza di nuove collocazioni.
Ecco che l’istituto qui considerato può divenire uno strumento per un “interscambio”, i.e. proponendo l’opzione [A] (rinuncia), con l’assegnazione di un numero di posti corrispondente alla capienza in termini di feretri di cellette ossario, in altra localizzazione cimiteriale (magari meglio esposta, maggiormente prossima agli ingressi, ecc.), eventualmente anche con la fornitura, gratuita, della cassetta di zinco, assegnazioni low cost, quando non anche previa corresponsione delle sole “spese contrattuali”, consentendo così di poter intervenire sui risalenti manufatti, a suo tempo dati in perpetuo, che costituiscono impedimenti o limiti alla programmazione cimiteriale e, a volte, comprimono l’attuazione del piano regolatore cimiteriale.
Si tratta si riuscire a costruire valutazioni “singolari”, nel rispetto di criteri generali, ponendo avanti tutto quelle visioni che rispondono a logiche dell’interesse della comunità locale.

Visto che in particolare da ultimo è stato affrontato il tema delle criticità conseguenti alle concessioni (a suo tempo), date in perpetuo, sia permessa una “narrazione”, che può consentire di dare un senso al fatto della perpetuità.
Dopo la L. 20 maggio 1985, n. 222 “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”, un Istituto diocesano per il sostentamento del clero ha proceduto ad una ricognizione dei propri cespiti.
In quest’occasione, è accaduto che sia emerso come una comunità di certa area di un comune montano, da decenni soppresso, avesse deliberato (nel 1560!) di assumere l’onere del pagamento (non importa molto l’importo; vi sarebbero anche problemi di rapportabilità e di tentativi, inutili, di comparazione in termini di costo della vita) in perpetuo per la celebrazione in un dato oratorio di 2 messe all’anno.
Dalla ricognizione era emerso che questi pagamenti si erano rarefatti e di seguito cessati, almeno dal 1829 (secondo le risultanze della ricognizione): conseguentemente l’Istituto chiedeva al comune (anzi al comune che era subentrato a quello soppresso) di pagare le somme insolute, unitamente agli interessi maturati. Effettuando ricerche d’archivio (cantina …) è stato reperito il volume, con una copertina in pelle di pecora col pelo, tutto riccio, all’esterno, redatto con grafia ormai di difficile intelligenza, con le deliberazione dell’epoca (1560, si ripete).
Ne sono seguiti colloqui con l’Istituto pervenendo, non subito, ad una soluzione transattiva, “convincendo” (il dialogo paga sempre) l’Istituto a rinunciare alle pretese, in relazione al tempo decorso.
Per mera notizia, nel medesimo volume “Libro de le conte era possibile leggere: “… manza a lo magistrato per auer lo decreto de la sale … , segno che certe pratiche sono tutt’altro che moderne.
Portando una situazione consimile, per le tempistiche, all’ambito delle concessioni cimiteriali date in perpetuo, come potrebbe essere affrontata una avente, non tanto queste durate, ma anche durate inferiori, poniamo a 150-200-250 anni?
Lasciamo la risposta a lettrici e lettori.

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Sereno Scolaro

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