Capire le linee di confine

Allorquando si consulta una mappa, una carta geografica, un atlante o qualsiasi rappresentazione geografica, si vedono i confini, generalmente del tutto irregolari, in quanto determinati sulla base di elementi fisici (es.: corsi d’acqua, sistemi montani, ecc.), anche se non mancano confini rappresentati da linee diritte, segno che si tratta di cartografie realizzate “a tavolino”, senza conoscenza delle caratteristiche del territorio, come è stato in molti casi come effetti di logiche coloniali, oppure di logiche che partivano dal presupposto che il territorio interessato fosse res nullius, da delimitare a posteriori, salvi i pochi casi di interventi artificiali, come si è avuto nel caso di opere di bonifica del territorio.
Vi è stata una pronuncia di TAR (che non si cita per evitare la riconoscibilità della situazione locale coinvolta), per altro scontata, in cui la questione di “capire” quali siano le linee di confine è emersa con evidenza.
Ora, non interessa formulare giudizi di valore, ma piuttosto cercare di comprendere i “percorsi logici”, i criteri assunti ad argomento di date prese di posizione o, se si vuole, gli argomenti che hanno indotto a dare una data interpretazione.
In una data realtà, persona avente titolo ha richiesto l’estumulazione di un feretro al fine di procedere alla sua cremazione, altrettanto richiedendone l’autorizzazione. Nella situazione di specie, veniva autorizzata l’estumulazione, nonché il trasporto in comune terzo, ma non la cremazione.
L’argomento addotto quale ostativo per quest’ultima è stato il richiamo all’art. 3, comma 1, lett. g) L. 30 marzo 2001, n. 130, non essendo ancora decorso il periodo temporale, differenziato per pratiche funerarie, indicato da questa disposizione.

Questa linea interpretativa (il “confine” da cui si è partiti) sembra essere sorta sulla base del convincimento che, una volta avvenuta la tumulazione (ma vale sostanzialmente altrettanto se fosse stata richiesta l’inumazione), il feretro divenisse, per così dire, “intoccabile”, orientamento che porterebbe, come conseguenza, che, in questi casi, la cremazione sarebbe ammissibile solo decorso quel periodo di tempo, variabile in relazione alla pratica funeraria, previsto.
Si ha qui un equivoco, consistente nel fatto che la disposizione sopra richiamata è una disposizione che non si colloca nel contesto della regolazione, e delle procedure, per la cremazione dei cadaveri, individuate dallo stesso art. 3, comma 1, lett. a) e b) L. 30 marzo 2001, n. 130 (le successive lett. c) e d) attengono alla dispersione delle ceneri, la lett. e) all’identificazione delle urne e alle loro possibili “destinazioni”, mentre la lett. f) al trasporto delle urne cinerarie.
Non si richiamano le ultime due lettere in quanto irrilevanti ai presenti fini). La lett. g) non riguarda la “cremazione dei cadaveri”, quanto una fattispecie del tutto diversa (un altro “confine”), al punto che non trova applicazione quello che è il principio centrale ai fini della cremazione dei cadaveri, quello del rispetto della volontà espressa, dalla persona defunta o dai suoi familiari (con le modalità stabilite), ma la volontà è sostituita (nelle condizioni temporali considerate) da un assenso dei familiari (o, come noto, in caso di loro irreperibilità, decorso un termine (“cimiterialmente” brevissimo!) dalla pubblicazione di uno specifico avviso).
Si tratta di un procedimento previsto ad azione d’ufficio e dove l’”assenso” stia a provare proprio il fatto che non vi sia stata alcuna espressione di volontà, ma assume la natura di riconoscere ai familiari (quali persone aventi titolo a disporre delle spoglie mortali) una legittimazione ad opporsi a questo “trattamento” delle spoglie mortali (in sostanza riconoscendo loro la “legittimazione ad opporvisi”, proprio in quanto titolari del diritto di disposizione circa le spoglie mortali).
Ma questa previsione (della lett. g)) non si applica, sempre e comunque, prima del decorso dei termini temporali indicati dalla norma, dal momento che non vi è un’esclusione a che un feretro, una volta tumulato, oppure inumato, non possa essere oggetto di cremazione.
Solo che, prima del decorso di quei termini, la cremazione dovrà avvenire in termini di “cremazione dei cadaveri” e, quindi, non solo con la certificazione di cui alla lett. a) ma, altresì, anche “nel rispetto della volontà espressa”, nei termini e modi della lett. b).

Che la cremazione dei cadaveri già tumulati, oppure inumati possa avvenire (nei termini della “cremazione dei cadaveri”) anche prima dei 20 o dei 10 anni è dato da disposizioni del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., non interessate dall’entrata in vigore della L. 30 marzo 2001, n. 130.
Si tratta, per il caso di tumulazione, dell’art. 88, il quale – invero – non fa cenno all’istituto della cremazione, presentando la formulazione “per essere trasportato in altra sede”, in quanto “altra sede” può essere altro sito di tumulazione nel medesimo cimitero, oppure in altro cimitero, oppure in altro comune, oppure in inumazione, anche qui nel medesimo cimitero oppure in altro comune (caso nel quale va rammentato altresì l’art. 75, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), ma anche l’impianto di cremazione, anche quando questo sia presente nello stesso cimitero di estumulazione.
Per il caso di inumazione, si tratta dell’art. 83 in cui, al comma 1, si parta di “trasporto in altre sepolture” (senza precisazioni se a sistema di inumazione, oppure di tumulazione) e – espressamente – “per cremarle”.
Il sistema cimiteriale italiano è tutt’altro che orientato verso l’”intoccabilità” dei defunti e delle sepolture.
Viene da ricordare una pronuncia della CEDU, molto risalente (Elli Poluhas Sodsbo vs. Sweden, Sez. II, proc. 61564/00 del 17 gennaio 2006) e relativa ad una vicenda avvenuta in Svezia in cui si parlava di intangibilità delle sepolture, in cui la vertenza aveva riguardo ad un coniuge superstite che, trasferita altrove la propria residenza, voleva far traslare il feretro del coniuge nel luogo di sua nuova abitazione.
Tuttavia, concludendo e fatta sempre salvo il rispetto della volontà del defunto (quando espressa), le sepolture non presentano un carattere di permanenza tali da renderle intoccabili: cosa che è provata da tutti gli istituti che riguardano la durata delle sepolture.
Ma quello che appare di maggiore rilievo è il fatto che quando si debba operare in via d’interpretazione non possa evitarsi di avere ben chiaro come “cogliere i confini” tra le diverse fattispecie regolate dalle norme che, concorrendo, vanno tenute in conto.

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Sereno Scolaro

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