Il Settecento: riforme, igiene pubblica e nascita del cimitero suburbano

L'articolo è parte 5 di 5 nella serie Breve storia del cimitero in Italia dal IV secolo ad oggi
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Il XVIII secolo segna una rottura di paradigma. La sepoltura esce progressivamente dalle chiese e dai chiostri per approdare in spazi suburbani appositamente progettati.
La spinta è doppia: da un lato motivazioni igienico-sanitarie (aria, falde, gestione delle epidemie), dall’altro razionalizzazione amministrativa tipica dell’Illuminismo.
La morte diventa oggetto di politiche pubbliche: si pianifica, si norma, si controlla.

La cornice riformatrice: Asburgo e Toscana

Maria Teresa d’Austria (dal 1770) e Giuseppe II (1784) avviano una politica coerente: divieto di sepolture intra moenia, recinti cimiteriali fuori dall’abitato, standard tecnici (profondità, calce, drenaggi), gestione vigilata da autorità civiche e sanitarie. L’obiettivo è ridurre miasmi, contaminazioni delle acque, affollamenti nelle navate.
In Italia, Pietro Leopoldo di Toscana (dal 1775) anticipa e sistematizza: cimiteri extraurbani, aree recintate, accessi regolati, distanze dagli abitati, registro dei sepolti tenuto con criteri uniformi. Nasce il modello di cimitero moderno: unità funzionale distinta dal luogo di culto, ma integrata nella geografia urbana.

Napoli laboratorio: il “Cimitero delle 366 fosse”

Nel 1762 la capitale borbonica introduce una soluzione inedita: 366 fosse numerate, una per ogni giorno dell’anno.
Ogni giorno si apre una fossa, si richiude e non si riutilizza per dodici mesi.
Sistema semplice ma potente: garantisce rotazione, igiene, tracciabilità minima e dignità anche ai poveri.
È un dispositivo tecnico che risponde a tre necessità: prevedibilità (una fossa al giorno), isolamento temporale (riposo minimo), controllo pubblico (sorveglianza e registrazione).

Un solo recinto, status diversi

Per la prima volta ricchi e poveri sono nello stesso cimitero. Cambia l’unità di luogo, non l’uguaglianza sociale.
La tipologia della sepoltura continua a esprimere differenze:

  • Cappelle e recinti gentilizi per élites cittadine e famiglie patrizie, con concessioni pluriennali e manutenzioni a loro carico.
  • Fosse comuni e campi a rotazione per indigenti, senza rete familiare, assistiti da confraternite o da carità civica.

Questa coesistenza, pur diseguale, introduce un principio destinato a durare: il cimitero è servizio collettivo, non spazio privato della singola parrocchia.

Governance: dalla parrocchia alla città

Le riforme illuministe scardinano il monopolio ecclesiastico sulla gestione concreta delle sepolture.
La Chiesa mantiene il ruolo liturgico, ma il controllo passa a magistrature civiche (sanità, lavori pubblici, polizia urbana).
Cambia la documentazione: ai registri parrocchiali si affiancano, e poi sostituiscono, registri civili standardizzati, preludio alle anagrafi moderne.
Si afferma una catena decisionale chiara: pianificazione dell’area, regole di esercizio, tariffe e diritti, manutenzione e vigilanza.

Standard tecnici e criteri igienici

I nuovi cimiteri adottano requisiti costruttivi:

  • distanza minima dall’abitato e da pozzi/falde;
  • muri di cinta, cancelli, orari;
  • profondità e dimensioni delle fosse, uso di calce, periodi di riposo del terreno;
  • ossari per i resti riesumati, con tracciabilità;
  • percorsi separati per cortei e per attività di scavo/manutenzione.

Si afferma un lessico: rotazione, risanamento, ventilazione, decoro.
Il cimitero è anche opera pubblica: serve progetti, capitolati, bilanci.
La riforma produce tre effetti durevoli:

  • Secolarizzazione della gestione: le autorità civiche fissano regole uniformi per tutti i culti presenti.
  • Democratizzazione spaziale: un recinto comune per l’intera comunità, pur con gerarchie di tipologia.
  • Nuova percezione del lutto: dal “dentro la chiesa” al luogo dedicato, pensato per visita, processione, memoria.
  • Il cimitero prende sembianze come parte della città, con alberature, viali, cappelle: un paesaggio.

Le innovazioni del Settecento preparano il terreno alle codificazioni ottocentesche (standard edilizi, registri civili, cimiteri extra moenia generalizzati) e, più tardi, alla differenziazione tipologica (campi a sistema, colombari, aree confessionali o laiche).
La logica resta: tutela della salute, parità di accesso, amministrazione trasparente.

In sintesi, l’Illuminismo trasforma la sepoltura in politica urbana: il cimitero non è più un’appendice della chiesa, ma un’istituzione cittadina regolata, pianificata e aperta a tutti.
Da qui discende gran parte dell’architettura e dell’amministrazione cimiteriale che conosciamo oggi.

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