Rinascimento e prima età moderna (XVI–XVII secolo): monumentalizzazione, welfare confraternale e prime istanze igieniche cimiteriali

L'articolo è parte 3 di 3 nella serie Breve storia del cimitero in Italia dal IV secolo ad oggi
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Nel lungo passaggio tra Umanesimo e Barocco, la sepoltura in Europa – e nella Penisola italiana in particolare – subì una trasformazione profonda. La memoria individuale e familiare divenne un obiettivo esplicito: il sepolcro non fu più solo approdo liturgico del rito funebre, ma dispositivo di autorappresentazione. Famiglie nobiliari e ceti urbani emergenti investirono in cappelle gentilizie, arredi, epigrafi e sculture, legando alla tomba un progetto identitario e dinastico di lunga durata
In parallelo, si consolidò un welfare funerario gestito da confraternite laicali che, accanto alla cura dei vivi, garantivano un funerale “minimo” a poveri, pellegrini e giustiziati
Sullo sfondo, epidemie ricorrenti e città sempre più dense resero evidente l’insufficienza degli spazi e dei metodi tradizionali; le autorità civiche iniziarono a parlare il linguaggio, allora nascente, dell’igiene pubblica.

La tomba come progetto di memoria: cappelle, immagini, diritti

La “monumentalizzazione” rinascimentale non fu solo estetica. Dietro le cappelle gentilizie stava un assetto giuridico e patrimoniale: ius patronatus sulla cappella e ius sepulchri per il gruppo familiare, fondazioni pie a copertura di messe anniversarie e manutenzioni, contratti con artisti e maestranze per la realizzazione di apparati duraturi. Tre elementi meritano rilievo operativo:

  • Topografia selettiva. La prossimità agli altari e ai luoghi di culto più prestigiosi accreditava socialmente i committenti. All’interno delle chiese, una vera “mappa gerarchica” stabiliva chi potesse riposare nelle navate principali, chi nelle cappelle laterali, chi nei chiostri.
  • Linguaggi della memoria. Epigrafi con genealogie, stemmi, iconografie del transito e della resurrezione componevano una retorica visuale della continuità familiare. La tomba parlava ai contemporanei e ai posteri: ricordava virtù civiche, carriere pubbliche, beneficenze.
  • Rendite dedicate. Lasciti e capitali dotali, spesso vincolati con precisi oneri liturgici, costituivano una base economica per la manutenzione della cappella e la celebrazione di suffragi. Il sepolcro, insomma, era anche una istituzione economica.

Questa monumentalità, pur producendo straordinari esiti artistici, accentuò la distanza simbolica tra chi poteva permettersi segni durevoli e chi, privo di risorse, restava affidato a segnalazioni effimere o all’anonimato.

Confraternite laicali: un “servizio pubblico” parallelo

Accanto alla via “nobiliare” della memoria, la prima età moderna vide il consolidarsi di confraternite che svolgevano, di fatto, funzioni parastatali: assistenza ai malati, trasporto dei defunti, sepoltura dei poveri, cura dei condannati a morte e delle loro famiglie.
Le Misericordie toscane, le compagnie del Gonfalone a Roma, le confraternite della Buona Morte in molte città operarono con statuti, rendiconti, turni di servizio, dotazioni materiali (bare, teli, lanterne), formando personale addestrato.

Operativamente, questo sistema aveva quattro pilastri:

  • Universalismo minimo. Nessuno doveva restare insepolto: anche chi era privo di rete familiare trovava una garanzia di sepoltura (talora in fossa comune, talvolta in spazi confraternali propri).
  • Sostenibilità economica. Le confraternite mischiavano offerte, lasciti e piccoli proventi di servizi; tenevano contabilità e, in non pochi casi, gestivano patrimoni immobiliari di sostentamento.
  • Standard di rito. Pur ridotti all’essenziale, i funerali “dei poveri” rispettavano un minimo liturgico (veglia breve, esequie, processione) che riaffermava l’eguaglianza sacramentale.
  • Integrazione con l’autorità ecclesiastica e cittadina. Le confraternite agivano in un ecosistema istituzionale condiviso: parroci, ordini religiosi, magistrature civiche di sanità, ospedali.

Questo welfare confraternale, per molti versi “pubblico” ante litteram, diede forma a una rete di prossimità che garantiva l’accesso ai riti di passaggio anche agli ultimi, pur entro limiti di risorse e con esiti memoriali spesso anonimi

Disuguaglianza nello spazio funerario: estetica, accesso, durata

La contrapposizione tra cappelle monumentali e fosse comuni non fu solo visiva. Tre livelli di disuguaglianza si sovrapponevano:

  • Estetica e visibilità. La tomba monumentale “parlava” nel tempo; la croce lignea deperibile silenziava il defunto dopo pochi anni.
  • Accesso e prossimità. Interno chiesa/esterno sagrato segnalavano status; chiostri e cimiteri adiacenti fungevano da zone intermedie spesso consolidate per corporazioni o comunità professionali.
  • Durata giuridica. I diritti delle famiglie su cappelle e sepolcri resistevano nei secoli; le fosse comuni erano per definizione rotative, con successivo trasferimento dei resti in ossari.

Il risultato fu una geografia morale della città: camminare in chiesa significava leggere, tra pietre e iscrizioni, una storia del potere locale; passare nel sagrato rimandava a una memoria collettiva più fragile.

Densità urbana, epidemie e prime politiche igieniche

Tra XVI e XVII secolo, le grandi pestilenze (1575–77, 1630–31, 1656–57) resero evidente l’insostenibilità di molte pratiche. L’abitudine di aprire fosse nei pavimenti delle chiese e nei chiostri monastici generava fetori, infiltrazioni, sovrapposizioni eccessive di strati. Le magistrature di sanità – organismi cittadini dedicati alla prevenzione e al controllo – emisero bandi e regolamenti: limiti stagionali agli scavi, profondità minime, uso della calce, restrizioni ai funerali affollati, separazione temporanea per i morti “contagiosi”.

Queste misure non abolirono subito la sepoltura intra moenia, ma introdussero una razionalità tecnica che prefigurava l’extra moenia sette-ottocentesco: più aria, maggiore distanza dagli abitati, spazi dedicati e rotazione regolata. Nelle fasi acute, si ricorse a lazzaretti e terreni esterni alle mura, con grandi fosse coperte e ossari di deposito.

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