L’Ottocento: dal decreto di Saint-Cloud al cimitero comunale moderno

L'articolo è parte 6 di 6 nella serie Breve storia del cimitero in Italia dal IV secolo ad oggi
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Nel XIX secolo il sistema funerario europeo – e italiano – cambia struttura, regole e linguaggio.
La svolta arriva con il Décret impérial sur les sépultures del 12 giugno 1804 (cosiddetto decreto di Saint-Cloud), inserito nell’orbita del Codice napoleonico: per la prima volta si afferma in modo organico che la sepoltura è materia d’interesse pubblico, da regolare con criteri uniformi e non più come appendice dei singoli luoghi di culto.
Da qui nasce il modello del cimitero comunale suburbano.

Il quadro napoleonico: principi e implicazioni operative

Il decreto fissa tre pilastri che segneranno l’intero secolo:

  • Extra moenia obbligatorio. I cimiteri devono essere fuori dai centri abitati, in siti idonei sotto il profilo sanitario (distanze da pozzi e falde, ventilazione, pendenze).
    Vengono introdotti criteri di progettazione e polizia sanitaria: profondità delle fosse, uso della calce, recinzioni e controlli.
  • Uguaglianza giuridica dei defunti. Cade il privilegio della sepoltura in chiesa. La parità davanti alla morte si traduce in regole uguali per tutti all’interno del medesimo recinto, con differenziazioni solo tipologiche (campo comune, sepolture individuali, cappelle familiari).
  • Separazione funzioni civili/rituali. La Chiesa continua a presiedere il rito, ma cessa il controllo amministrativo dei seppellimenti: la governance passa a autorità civiche e a un nascente Stato civile che registra nascite e morti con criteri laici e standardizzati.
  • Per i territori italiani allora sotto influenza francese, ciò significa l’introduzione di una catena di responsabilità: Comune (programmazione, manutenzione, tariffe), uffici di sanità (vigilanza), parroci e clero (funzioni liturgiche), confraternite in progressiva integrazione come operatori di servizio.

    Dalla teoria alla città: il cimitero come opera pubblica

    Il cimitero ottocentesco diventa infrastruttura urbana.
    Si progettano recinti con percorsi gerarchizzati (viali principali per cortei, carrabili di servizio, camminamenti), campi di inumazione a rotazione, ossari per i resti esumati, aree per tombe individuali e cappelle gentilizie disciplinate da concessioni.
    L’ingegneria igienica dell’epoca introduce regole su drenaggi e aerazione; l’architettura elabora porticati, gallerie, logge e “quadriportici” che ospitano epigrafi e monumenti.

    Nel nuovo assetto si collocano anche i grandi cimiteri monumentali: non solo luoghi di sepoltura, ma spazi della memoria civica dove arte, epigrafia e storia locale si intrecciano; al contempo, i campi comuni – gratuiti e regolati – assicurano un diritto universale alla sepoltura dignitosa.

    Un caso emblematico: la Certosa di Ferrara

    Tra i primi esempi di pianificazione cimiteriale in chiave moderna spicca la Certosa di Ferrara, riconfigurata dall’architetto-ingegnere Ferdinando Canonici.
    Il complesso monastico, posto fuori città, viene trasformato in cimitero suburbano: i chiostri diventano spazi per tombe e lapidi sotto portici (destinati ai ceti abbienti), mentre i campi interni ai chiostri sono organizzati per l’inumazione dei poveri.
    Il progetto coniuga tre esigenze: igiene (ventilazione naturale, rotazione), ordine (percorsi e lotti), decoro (continuità con la monumentalità monastica).
    È la sintesi di quanto le riforme chiedono: un recinto unico, tipologie differenziate, regole chiare.

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