“Per svolgere l’attività funebre, oltre alle autorizzazioni di cui all’articolo 115 di PS e all’autorizzazione al commercio, non alimentare, occorreranno: a) disponibilità continuativa di almeno un’autofunebre e della rimessa; b) un direttore tecnico, responsabile dell’attività funebre; c) 3 dipendenti, con la qualifica di necroforo; d) disponibilità continuativa della sede nel quale si chiede l’autorizzazione alla trattazione degli affari; e) adeguata formazione professionale”. “Queste le caratteristiche dell’impresario funebre del duemila”. Con queste parole – Fogli (SEFIT) – ha annunciato la vera rivoluzione del settore funebre italiano, che dopo i grandi progressi degli ultimi anni, potrà finalmente fare il salto verso una professione riconosciuta dalla società italiana. “E’ un percorso che parte da lontano, almeno dal convegno internazionale di Torino del 1992, dove vennero gettate le basi per la qualificazione della categoria. Già allora, venne stimato che la polverizzazione del settore era il vero freno allo sviluppo di una imprenditoria all’avanguardia e che occorresse, attraverso processi di fusione, consorzializzazione, integrazione, portare le imprese funebri a non più di 1500 – 2000 soggetti, contro gli oltre 6000 attuali.” Ciò vuol dire spingere la capacità operativa di una impresa funebre da una media italiana di poco meno di 100 servizi all’anno a valori che siano fra i 250 e i 300 all’anno, cioè la soglia economica capace di produrre redditività e al tempo stesso di far emergere dal “nero” parte dell’economia funebre. L’idea che si sta consolidando – sempre secondo Fogli – fortemente voluta dalle Associazioni di categoria, è quella di un impresario funebre che sia un interlocutore preparato e affidabile, che rifugga fin dall’inizio dalla tentazione di dare la caccia al morto, dovendo essere, invece, i familiari a scegliere solo in funzione della qualità ed economicità del servizio, delle strutture di cui dispone, dai mezzi funebri agli impianti (rimessa, sala del commiato, ecc.). All’interno di un mercato trasparente ne guadagnerà innanzitutto il dolente, ma anche l’imprenditore. Le imprese pubbliche del settore funerario sono le prime ad augurarsi che si possa giungere presto a questi traguardi. “Per procedere ad un riassetto di tale portata, avremo bisogno dei tempi necessari, quindi di anni, ma soprattutto di investimenti considerevoli sia sul fattore lavoro che in attrezzature ed immobili, e ancora di intese ed accordi che aumentino la massa critica del sistema italiano. Il rischio, se non si è rapidi nello sfruttare le opportunità aperte, è che queste vengano colte soprattutto da competitori stranieri, che già stanno saggiando il mercato italiano e si preparano ad esportavi i modelli di business americano.
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