L’uso illegittimo di cadavere

L'articolo è parte 4 di 4 nella serie Reati contro i defunti
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Forse può essere già nota la L. 10 febbraio 2020, n. 10 “Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica”.
E anche il suo Regolamento di attuazione (previsto dall’art. 8 della legge) adottato con D.P.R. 10 febbraio 2023, n. 47 “Regolamento recante norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica”.
Magari anche solo per il fatto che l’art. 10 della legge ha abrogato l’art. 32 del T.U.LL.I.S. (testo unico delle leggi sulla istruzione superiore), R.D. 31 agosto 1933, n. 1592.
Ad esso faceva rinvio l’art. 40 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., regolante la consegna alle sale anatomiche universitarie dei cadaveri destinati, all’insegnamento ed alle indagini scientifiche.

Condotta antigiuridica inserita nel Titolo IV del Libro secondo del Codice penale, e precisamente nel Capo II (intitolato ”Dei delitti contro la pietà dei defunti“), è l’uso illegittimo di cadavere.
Questo delitto, così tipizzato dal Legislatore, mira a reprimere la realizzazione di condotte di dissezionamento, spezzamento o di altro utilizzo improprio di cadavere, per finalità scientifiche o didattiche, compiute al di fuori delle ipotesi espressamente prevedute dalla legge.
Con riferimento alla tematica della consegna dei corpi umani alle sale di anatomia operanti presso gli Atenei universitari, si potrà leggere quanto disposto dagli artt. da 40 a 43 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (”Approvazione del regolamento di polizia mortuaria“, pubblicato in G.U. 12 ottobre 1990, n. 239).
Tali norme sono in particolare contenute nel Capo VI, dedicato al ”Rilascio di cadaveri a scopo di studio“.

Si ribadisce come l’art. 40 D.P.R. cit. sia stato profondamente novellato dalla L. 10/02/2020 n. 10, la quale diviene oggi il principale parametro procedurale per valutare la liceità di determinate operazioni di polizia mortuaria a fine necroscopico.
L’art. 413 cod. penale, dunque, punisce con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 Euro chiunque dissezioni o altrimenti adoperi un cadavere, o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge.
Il reato presuppone il mancato rispetto delle condizioni previste da esplicite disposizioni di legge che consentono di disporre liberamente di un cadavere per fini scientifici e didattici.
L’art. 40, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, legittima la consegna alle sale anatomiche universitarie dei cadaveri destinati, a norma dell’art. 32 T.U delle leggi sulla istruzione superiore, approvato con R.D. 31 agosto, 1933, n. 1592, e mod., all’insegnamento ed alle indagini scientifiche.
Essa deve avvenire dopo trascorso il periodo di osservazione prescritto.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una parte di esso, che il colpevole sappia essere stato da altri mutilato, occultato o sottratto.
Nuove fattispecie incriminatrici riconducibili all’uso illegittimo del cadavere sono previste dalla L. 2 dicembre 1975, n. 644, che disciplina i prelievi di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico.
Oggi risulta abrogata dalla più recente L. n. 91/1999.

Le fattispecie criminose vanno dal reato di colui che acconsente al prelievo dopo la sua morte di parti del proprio corpo, già in passato, ex art. 19, L. 2 dicembre 1975, n. 644 (C. M. D’ARRIGO, Il contratto e il corpo: meritevolezza e liceità degli atti di disposizione dell’integrità fisica, in Familia, 2005, 4-5, 777).
Per arrivare a quello di chi effettua operazioni di prelievo in violazione delle disposizioni della L. 644/1975 o interventi chirurgici di trapianto in ospedali o istituti non autorizzati, ex art. 21, L. 2 dicembre 1975, n. 644.
Scopo del legislatore è colpire gli abusi nell’uso scientifico dei cadaveri.
Il bene giuridico oggetto di tutela è il corretto utilizzo dei cadaveri a scopo scientifico o didattico.
Infatti, la norma sanziona la condotta di chi dissezioni o comunque adoperi un cadavere, nei casi non consentiti dalla legge.

È inoltre necessario che l’utilizzo improprio del cadavere sia attuato a scopi scientifici o didattici, configurandosi altrimenti il più grave delitto di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411).
Viene richiesto il dolo generico, consistente nella volontà di dissezionare un cadavere per scopi scientifici, nella consapevolezza di operare al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
Per il colpevole può comunque essere esclusa la punibilità quando, per errore sulla legge extrapenale (art. 47), ha agito nella convinzione di agire nei limiti del consentito.
Alcune leggi regionali sulle attività funerarie, nel determinare le funzioni della c.d. casa funeraria individuano, senza dubbio, la custodia e l’esposizione rituale delle salme a cassa aperta.
Ma pure, con formula alquanto generica, l’esecuzione di non meglio precisati trattamenti igienico-conservativi.

Per la Legge Italiana l’unico metodo sempre ammesso per impedire il tumultuoso sviluppo degli sgradevoli fenomeni da tanatomorfosi, legati ai processi della decomposizione cadaverica, è la refrigerazione, ottenuta con particolari apparecchi o addirittura con la cella frigorifera.
Invero vi sarebbe sempre la siringazione cavitaria, tuttavia molti Regioni disapplicano ormai l’obbligatorietà della puntura conservativa stabilita dal regolamento nazionale di polizia mortuaria all’art. 32.

La formalina, difatti, è una sostanza biocida molto pericolosa per chi ne entri in contatto.
È dichiaratamente cancerogena e, non da ultimo, inibisce profondamente la naturale degradazione della materia organica, non solo per il tempo necessario allo svolgimento delle esequie, ma anche durante il periodo legale di sepoltura, impedendo così la completa mineralizzazione dei cadaveri.
Praticare o meno la siringazione cavitaria, è una decisione affidata ormai dal Legislatore Regionale alla discrezionalità medico necroscopo.
Ossia all’ultimo sanitario che visiona le condizioni effettive della salma, ma nei casi di comprovata necessità, sempre però tassativamente entro la casistica a numero chiuso dell’art. 32 D.P.R. n. 285/1990.

Si ribadisce come l’eventuale trattamento antiputrefattivo non sia eseguibile, quindi, su semplice istanza dei dolenti, ma solo su precisa disposizione di un sanitario, per di più nell’esercizio di una pubblica funzione, quale è appunto la necroscopia.
Della formalina non si dovrebbe mai abusare, fuori dei casi contemplati dall’art. 32 D.P.R. n. 285/1990, per le ragioni di sicurezza di cui sopra, ad es. prolungare oltre modo la veglia funebre non sarebbe un motivo valido per intervenire sulla salma con procedura invasiva.
Eppure, in dottrina c’è chi rileva una velata possibilità, non tanto per espressa norma, non ancora emanata, quanto nella prassi instauratasi con l’avvento delle case funerarie, di procedimenti, sì irreversibili, ma a bassa intensità, per migliorare principalmente l’aspetto delle salme.

Il make-up funerario, ovvero la tanatocosmesi, è sempre ammesso, dunque sarebbe sempre possibile igienizzare esternamente i corpi ed imbellettarne viso o parti scoperte.
Vi sono, tuttavia, azioni preliminari alla vestizione vera e propria ed all’incassamento, come ad esempio chiusura di occhi e bocca, tamponatura degli orifizi.
Qualcuno si spinge oltre e riterrebbe addirittura legittima l’aspirazione dei fluidi corporei che ristagnano nelle cavità dell’addome, così da interromperne definitivamente la possibile e rischiosa fuoriuscita, almeno quando i dolenti rendono omaggio al defunto nella camera ardente.
Qui ci si avventura in un campo inesplorato, in una sorta di zona grigia della copiosa produzione di norme nel settore funerario italiano.
Queste azioni, secondo un’interpretazione molto formale della legge penale non dovrebbero esser ancora consentite.

Fare vera didattica di tolettatura mortuaria applicata a casi concreti, e non solo di pura teoria, diventa molto difficile alle volte per mancanza di…”materia prima”, ossia di salme da vestire e sistemare davvero.
Per aggirare il problema si ricorre magari a qualche surrogato, come un manichino snodato.
È una buona simulazione, ma nulla di più.
Perché se la manipolazione degli arti, con i giusti movimenti, può esser facilmente riprodotta su un modello, quanto più realistico possibile, è – invece – notorio come le spoglie umane senza vita presentino, nella loro singola unicità, elementi di notevole criticità, non facilmente replicabili a tavolino.

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