Gli adottati sono parenti?

Può accadere che quando si parli dell’istituto dell’adozione sia facile farsi l’idea che sia un istituto in qualche modo unitario, come del resto lo era originariamente.
Quando nei fatti, in particolare dopo la L. 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia” (e, al solito, e s.m.): basterebbe considerare che il C.C., nel suo testo originario, abbia ri-denominato “adozione” con l’espressione “adozione di persone maggiori di età” (art. 58 e ss. legge appena citata).
Con tale legge si sono previste le “adozioni” (in via generale, riferite a minorenni), ma anche le “adozioni nei casi particolari”, le adozioni internazionali”.
Queste, a loro volta, distinte in “adozioni di minori stranieri”, “adozioni di (minori) cittadini italiani all’estero”.
Non senza trascurare la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (resa esecutiva e ratificata dall’Italia con L. 31 dicembre 1998, n. 476 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri”.
Non è qui scopo di illustrare i diversi, e differenti (specie per gli effetti) istituti adottivi, quanto enuclearne gli effetti.
Infatti, alcune “adozioni” producono effetti che, un tempo, si chiavano “legittimanti” (in alcuni ordinamenti si parlava di “adozione piena”).
Oggi prevedendosi che “Per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome”, in luogo della precedente formulazione di “figli legittimi” e/o “figli naturali” è stata introdotta la formulazione di “figli nati nel matrimonio” oppure “figli nati fuori del matrimonio”.
Ricordando, per inciso, la L. 10 dicembre 2012, n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” con relativi atti di adeguamento a numerose disposizioni precedenti.
Con il D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219” il termine “potestà genitoriale” è stato sostituito dal termine “responsabilità genitoriale”.
Ne è conseguito anche che vi sia stata la modifica dell’art. 74 C.C., il cui testo attuale risulta: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo.
Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti
.
Aspetto non secondario se solo si consideri come anche l’adozione nei casi particolari non produca effetti sulla parentela.
Quest’ultima affermazione va, per altro, contrastata per il fatto che l’attuale formulazione dell’art. 74 C.C., supera la posizione, antecedente per cui nell’adozione nei casi particolari non si determinava rapporto di parentela, limitandolo (ora, per il 2° periodo) ai soli casi di “adozione di persone maggiori di età”.
Ma, per richiamare l’impertinenza di parlare di “eredi” in materia di appartenenza alla famiglia (ai fini dello ius sepulchri), deve (puo?) farsi riferimento all’art. 74, 2° periodo C.C., va ricordato l’art. 536, comma 2 C.C. “scoprendo” che gli adottati, pur se nel caso non parenti, sono equiparati … ai figli!
La questione della parentela può assumere rilievo in relazione alle disposizioni di cui all’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m..
Per quanto riguarda il diritto d’uso delle sepolture private concesse a persone fisiche (trascuriamo volutamente il caso delle concessioni fatte ad enti, per estraneità) è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari.
Il termine “riserva” comporta una situazione nella quale vi sia una posizione soggettiva che costituisce titolo e, contemporaneamente, si abbia un’esclusione per quanti non si trovino nella situazione soggettiva stabilita per il sorgere del diritto d’uso.
Di qui l’occasione per porre la questione nei termini esposti nella titolazione.
La questione, per come posta nella titolazione, è del tutto mal posta, dal momento che lo ius sepulchri non va considerato sotto il profilo della sussistenza di un rapporto di “parentela”, ma anzi sotto un profilo di ben diverso aspetto, cioè sotto il profilo dell’”appartenenza” alla famiglia.
Tra l’altro, non mancano indicazioni (sic!) secondo cui si confonde “appartenenza alla famiglia” con la posizione di “eredità”, improprietà che, anche se presente qui è là, porrebbe l’esigenza di avere sempre presente come la qualifica di “erede” attenga agli ambiti successori, principalmente a carattere patrimonialistico.
Mentre quella di “appartenenza alla famiglia” rileva sotto il profilo dei diritti della personalità, in cui ben si può cogliere la differenziazione.
E il diritto d’uso di un sepolcro è – in primis – un diritto della persona, anche nel quadro dei c.d. diritti personalissimi.
Ovviamente, questo impianto ha riguardo ai sepolcri di famiglia, o gentilizi (termini costituenti sinonimi) e non ai sepolcri ereditari, i quali ultimi si hanno o quando tali costituiti dal concessionario/fondatore del sepolcro oppure, successivamente, quando lo siano divenuti per avvenuta, e comprovata, estinzione della famiglia.
Dato che la natura di sepolcro di famiglia, o gentilizio, va presunta, salvo (ovvio) il contrario non sia comprovato altrimenti.
La formulazione, ricordata, dell’art. 93, comma 1 D.P.R. settembre 1990, n. 285 e s.m. (…. è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari …) appare del tutto chiara, nel senso di riportare all’esigenza di una quale definizione di quali persone siano da qualificarsi quali “familiari del concessionario.
Si tratta di una qualificazione che conta su un’unica, ed esclusiva, fonte, normativa, anche se di rango secondario, cioè nel Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Unicità ed esclusività che sottolinea l’importanza di questo strumento regolamentare.
Basterebbe formulare il solo esempio delle persone legate da vincoli di affinità (art. 78 C.C.) per cogliere come possano qualificarsi familiari del concessionario anche gli affini, oppure escludersi dall’ambito di appartenenza alla famiglia.
Oppure, ancora, limitare l’appartenenza alla famiglia a costoro entro determinati limiti, di norma facendo riferimento ai gradi (computati secondo i medesimi criteri della “parentela”.
Ma il Regolamento comunale di polizia mortuaria potrebbe anche operare scelte diverse, adottando criteri diversi.
Come nota finale si ricorda come la qualificazione di “familiare” del concessionario possa essere codificata in modo sia uniforme, sia differenziato, tenendo conto della tipologia di sepolcro, della sua capienza, della sua durata o di altri parametri.
Ad esempio, un sepolcro pluri-posto (e, magari, di una certa durata) potrebbe essere valutato diversamente rispetto ad un sepolcro mono-posto, magari destinato all’accoglimento di particolari tipologie di spoglie mortali.
Accanto all’accoglimento di feretri, potrebbero essere differenziati i criteri quando il sepolcro sia destinato, magari solo per ragioni di “capienza” all’accoglimento di altre tipologie di “soglie mortali” (es.: cassette ossario, urne cinerarie).
In questo caso, solitamente, non si pone la questione di eventuali ri-utilizzi, ma quella di conoscere quali persone possano essere coinvolte al momento della scadenza della concessione di quel dato sepolcro.

Lascia un commento

Quando inserisci un quesito specifica sempre la REGIONE interessata, essendo diversa la normativa che si applica.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
Per quesiti complessi ci si riserva di non dar risposta pubblica ma di chiedere il pagamento da parte di NON operatori professionali di un prezzo come da tariffario, previo intesa col richiedente
Risposta a quesiti posti da operatori professionali sono a pagamento, salvo che siano di interesse generale, previa conferma di disponibilità da parte del richiedente.