Quanto è suggestiva e rilevante la memoria storica di una città, nel corso dei secoli, a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti?
Il volume La Certosa di San Cristoforo testimone di arte e architettura cartusiana in terra estense approfondisce la storia e l’evoluzione del complesso certosino – con una minuziosa analisi congiunta delle autrici Rita Fabbri – Elisabetta Lopresti – Giuliana Marcolini – nel suo percorso da monastero a cimitero monumentale della città di Ferrara.
La disamina parte dal 1452, anno in cui Borso d’Este diede vita al primo insediamento certosino estense.
Il monachesimo istituito da san Bruno di Colonia presentava un peculiare tipo di eremitismo, rigido nel suo isolamento, ma contemperato dall’integrazione nelle pratiche di vita comunitaria: celebrazione liturgica, pasto settimanale in comune in refettorio, passeggiata di gruppo anche fuori dai confini del monastero, riunioni in capitolo.
Anche a Ferrara, l’originario nucleo del complesso, comprendente la primitiva chiesa e le pertinenze, si articolava all’interno del desertum, l’area su cui insisteva il monastero, delimitata da muro che lo isolava dal resto del mondo.
Tuttavia, la volontà del fondatore era quella di rendere l’insediamento di Ferrara uno dei più ammirati per bellezza e ricchezza artistica. E lo stesso Borso, decidendovi sia la costruzione di un proprio palazzo, unito agli edifici del monastero, che un proprio mausoleo per esservi sepolto, intendeva assaporare la bellezza del cenobio e la riservatezza spirituale del luogo.
Dopo l’inserimento della Certosa nell’Addizione Erculea, si procedette, alla fine del ‘400, alla realizzazione della nuova chiesa, oggi ancora principalmente a servizio del cimitero.
Anche il nuovo tempio rappresentava un unicum fra le chiese certosine dell’Europa in quel periodo, con la sua navata centrale su cui si aprivano le cappelle, a cui potevano accedere anche fedeli esterni. Inusuale anche il posizionamento dell’altare maggiore fra la navata stessa e il coro retrostante.
La costruzione del nuovo tempio determinò inoltre lo spostamento di diverse funzioni e fabbricati, nella zona del palazzo che Borso aveva riservato a sé, a sud della chiesa primitiva.
Il libro ripercorre l’ulteriore evoluzione del complesso, al momento della soppressione napoleonica degli ordini religiosi, che segnò la fine del monastero certosino e il successivo temporaneo utilizzo del complesso come caserma.
Gli spazi a pianterreno furono predisposti per accogliere le stalle, mentre le celle e gli altri fabbricati ospitarono gli ambienti di alloggio e servizio delle truppe. Tra il 1801 e il 1811 questo utilizzo militare del monastero causò un impoverimento qualitativo degli spazi, principalmente dovuto all’utilizzo intensivo ed irriguardoso degli ambienti.
Il percorso giunge, alfine, all’ultima destinazione della Certosa, quale cimitero comunale per la città di Ferrara nel 1811. I provvedimenti francesi disposero l’impianto dei cimiteri pubblici al di fuori dai centri abitati, per ragioni di igiene pubblica.
Fu quindi necessaria una speciale autorizzazione del viceré affinché a Ferrara si potesse procedere all’insediamento del camposanto in tale zona, essendo essa compresa all’interno delle mura cittadine, anche se relativamente distanziata dall’abitato.
Le autrici evidenziano come l’architettura del cimitero abbia assorbito quella dell’antico complesso certosino, conferendole una monumentalità del tutto particolare e unica.
Scopo dello studio è stato anche delineare i tratti dell’antico monastero attraverso la lettura della riduzione a cimitero. In effetti le azioni di demolizione e adattamento delle strutture preesistenti hanno fatto meglio comprendere l’assetto dell’antico monastero, dando nuove informazioni su cos’era l’intero complesso immediatamente prima della trasformazione.
Quando, infatti, il progetto di Ferdinando Canonici di adattamento da Certosa a cimitero venne immaginato nel suo complesso e successivamente pubblicato, le prime demolizioni e i successivi adattamenti avevano già avuto luogo.
L’analisi effettuata nel testo è corredata da una ricca raccolta di tavole e note bibliografiche di riferimento.
E l’insieme di approfondimenti e nuove intuizioni presentate, frutto di accurate disamine di mappe, piante, alzati, iconografie, scritti storici, fondi archivistici editi e inediti, restituisce, ancor più vivido e compiuto, il ritratto di quello straordinario luogo di architettura, arte, silenzio e preghiera incarnato dalla Certosa di Ferrara.
La Certosa di San Cristoforo testimone di arte e architettura cartusiana in terra estense
Rita Fabbri – Elisabetta Lopresti – Giuliana Marcolini
Manfredi Edizioni – € 30,00
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