La rappresentazione della morte dell’animale domestico: un significato d’amore dal passato per il gatto

L'articolo è parte 5 di 5 nella serie Morte nell’Arte
Navigazione nella Serie di articoli<< Il lutto e la morte nell’arte: scene di crimine al Louvre

La creazione di urne o sepolcri per accogliere i corpi o le ceneri di animali defunti, la realizzazione di sculture o immagini dipinte dedicate al loro ricordo, sono opere realizzate da esseri umani mossi da sentimenti che li hanno determinati a lasciare delle concrete testimonianze d’amore.
Questo testo si propone come breve riflessione sull’evidenza che anche in passato il dolore per la morte dell’animale domestico non è stato sottovalutato, ed è dedicato a tutti coloro che possiedono animali, li hanno avuti e perduti, li desiderano e decideranno di accoglierli.

Il popolo dell’Antico Egitto venerò gli animali considerandoli molte volte personificazioni delle divinità sulla terra, tanto da preoccuparsi che ricevessero anch’essi le premurose cure post mortem; l’imbalsamazione, l’inserimento in appositi sarcofagi e il seppellimento in necropoli a loro riservate.
Tra tutti, colui che occupa un ruolo di rilievo nel cuore degli egizi fu il gatto, un abile cacciatore sacro, guardiano immerso nel silenzio dei due mondi: il terreno e quello dell’aldilà.
Nell’antica cultura egizia si credette che il gatto fosse in grado di affrontare le forze del male e del caos, era simbolo di protezione, fertilità, prosperità e benessere.
In tale civiltà le dee e gli dei furono raffigurati in due forme: antropomorfa con sembianze soltanto umane, o zoomorfa con il corpo umano e la testa di animale.
Già nel periodo arcaico il gatto, animale stanziale, fu tra gli animali adorati, e nel Nuovo Regno (1550-1069 a.C.) visse a stretto contatto con gli umani proprio come nella nostra società contemporanea.

Bastet, o Bastit, tra le più importanti e venerate divinità dell’Antico Egitto, venne considerata sacra per due millenni e nel corso dei secoli rappresentata con il corpo da donna e la testa da gatta.
Tra le immagini di Bastet:
– una scultura in bronzo e argento con un Collare (Collana) Usekh e una testa di leonessa in mano come simbolo protettivo.
L’iscrizione sulla base indica il nome del donatore della statuetta.
– una scultura in bronzo fuso cavo, raffigurante un gatto seduto con dettagli incisi, uno scarabeo sulla testa e uno alato sul petto; un disco solare in argento intarsiato e un pettorale come amuleto protettivo con l’Occhio della dea Wedjat che corrisponde all’Occhio di Horus, simbolo religioso di protezione, prosperità, potere regale e buona salute (orecchini e anelli per il naso dorati; codoli nella parte inferiore).

In una località situata a Est del Delta del Nilo venne fondata in onore della dea Bastet la città di Par-Bastet – definita Bubasti dai greci, oggi attuale Zagazid.
Qui, secondo lo storico greco antico Erodoto – detto di Alicarnasso o di Thurii (Alicarnasso, Turchia, 448 a.C. – Thurii, Calabria, Italia, 425 a. C.), si sarebbero svolti festeggiamenti periodici in onore della dea con riti e processioni di barche sacre.
A Par-Bastet sono presenti i resti di una necropoli di gatti sacri mummificati e un grande tempio per il quale venne realizzata una statua della dea, rinvenuta nei primi anni del 1900 dall’archeologo egiziano Labib Habachi.
La città attirò anche un gran numero di mercanti di ogni genere, mentre gli artigiani produssero migliaia di statue e amuleti raffiguranti Bastet o gatti, anche in bronzo, da vendere ai devoti.

Sembrerebbe che proprio in questo mese, il mese di Ottobre, migliaia di fedeli provenienti da diverse aree del regno partecipassero alle solenni celebrazioni organizzate per festeggiare la dea.
Il gatto, fu ritenuto magico, misterioso e divino: il maschio venne associato al Sole e a Osiride, la femmina alla Luna e a Iside.
Numerosissimi sono stati i ritrovamenti di mummie feline nelle tombe egizie.
Ad esempio, in un sistema di catacombe situate nell’area archeologica di Saqqara in una vasta necropoli che copre un territorio di circa 7 x 1,5 km. a 30 km. a sud dalla città contemporanea del Cairo, la maggior parte delle mummie di gatto ritrovate erano custodite in contenitori di terracotta.
È soprattutto per merito di questi particolari sarcofagi che sono giunte sino a noi in un ottimo stato di conservazione.

Quando i gatti delle persone più abbienti morivano avevano diritto a una sepoltura relativamente solenne e onorevole.
Un esempio emblematico sono le onoranze funebri che il principe ereditario Thutmose (fl. 1360 a. C.) primogenito di Amenhoteph III (faraone della XVIII dinastia) dispose per la morte della propria gatta Myt, sepolta nella necropoli di Menfi in un piccolo sarcofago di pietra oggi conservato al Museo del Cairo.

Su un lato del sarcofago Myt è ritratta con un fiocco al collo.
È un’immagine bellissima, affettuosa e commovente, tanto da portarmi a pensare di quale colore potesse essere stato il suo magnifico fiocco.
Le iscrizioni geroglifiche a decorazione del sarcofago, descrivono la trasformazione della gatta in un’Osiride, come si credeva avvenisse per tutte le persone defunte.
Inoltre riportano ciò che la dea Iside avrebbe esclamato accogliendo Myt nell’aldilà: «Io stendo le mie braccia dietro di te per proteggerti.» (Bresciani Edda, Sulle rive del Nilo, Bari, Laterza 2000, p.116.)

All’interno del sarcofago, oltre alla mummia dell’animale vi era anche una piccola statua: ushabti, che significa “quelli che rispondono”.
Gli ushabti erano piccole statue che costituivano un elemento integrante e indispensabile al corredo funebre di ogni essere umano.
Una forza della pratica magica destinata a prendere magicamente vita se il defunto avesse superato la psicostasia, o pesatura dell’anima, eseguita per valutare i suoi meriti e accedere nell’aldilà.
Nel Capitolo 125 del Libro dei morti, o Libro per uscire dal giorno, si narra di una cerimonia dell’antica religione egizia, con la raccolta di formule magico-religiose di protezione e aiuto durante il viaggio verso la Duat – l’aldilà.
Il defunto, una volta superata la forma del giudizio divino, avrebbe vissuto felicemente nell’aldilà senza alcuna preoccupazione perché ushabti avrebbe svolto, per lei o per lui, ogni mansione e lavoro provvedendo a tutte le necessità della vita ultraterrena.
In questo caso specifico l’ushabti fu inserita nel sarcofago di Myt con la funzione di aiutare la gatta nelle faccende quotidiane nel mondo dei morti.
Un’inequivocabile interpretazione dell’esatta misura della sofferenza del Principe Thutmose per aver perduto l’amatissima gatta Myt.

Jean Louis André Théodore Géricault (Rouen, Francia, 26 Settembre 1791 – Parigi, Francia, 26 Gennaio 1824) nel secondo decennio dell’Ottocento, si allontanò dal classicismo osservando le opere di vari maestri e giungendo inconsapevolmente a precorrere il realismo.
Egli fu un grande realista poiché il vero realismo è antinaturalistico consistendo nell’estrazione da sé, e senza scelta, di tutto ciò che è dentro chi crea e non è più possibile trattenere.
Il motivo dominante della sua poetica è l’energia, la spinta interiore; la follia, come dispersione ultima dell’energia oltre la ragione, e la morte come improvviso arresto del flusso dell’energia.
Le opere di T. Géricault assumono significati che vanno oltre la rappresentazione, poiché tutta la realtà si rivela illuminata drammaticamente nella sua atrocità.
Gatto morto, senza data, può urtare la sensibilità di chi guarda.


Quest’opera, come un dipinto profondamente classico, possiede una tensione plastico luministica che rispetta le leggi dei quadri classici e ne mantiene le caratteristiche.
Vi è un solo protagonista, un gatto bellissimo, solenne anche nella morte, con una posa corrispondente al suo stato (raramente la morte di un animale avrebbe trovato un’espressione più dignitosa), tuttavia vi è molto di più del puro fatto.

Il realismo per T. Géricault è anche l’ostilità tra l’uomo e la natura, e l’incombere della morte nella vita.
Egli esprime in questo corpo d’animale la precarietà della vita attraverso un realismo che non è imitazione della natura.
L’artista dipinse momenti che caratterizzano la fine della vita di un essere umano o di un animale, come se si svolgessero realmente davanti agli occhi di chi stesse osservando.
La rappresentazione della morte per Géricault doveva essere realtà di fronte a chi sta guardando, come se stesse accadendo realmente nel luogo in cui le persone fossero state presenti.

Sopra un essenziale piano di posa stabile di legno, una superficie piatta inserita nello spazio, giace in totale solitudine il piccolo corpo esanime del gatto, analizzato in tutta la sua nuda verità.
La rigidità della morte è visivamente percepibile, vediamo l’abbia già colto, poiché il muso è contratto e assottigliato nella tragica smorfia.
Non c’è sofferenza e il dolce abbandono della testa, caduta oltre l’appoggio, evidenzia un corpo non più in azione che con tutto il suo peso aderisce a quel piano.
Anche le zampe anteriori sporgono abbandonate dalla superficie su cui giace, la destra proietta la sua ombra sul piano ortogonale.
Lo sfondo è scuro e il corpo, da quel fondo scuro, è come uscisse illuminato da una luce radente, un artificio affinché emerga e acquisti rilievo plastico.

La realtà è illuminata da una luce che ha il solo scopo di evidenziare il triste realismo drammatico per il vero e per il fatto, offerto nell’altissima qualità pittorica della straordinaria maestria tecnica nel valore della massa.
La morte ha interrotto una vita, uno stato esibito non a imitazione di ciò che è accaduto, ma con la precisa funzione di evidenziare l’atmosfera del dramma in cui sta tutta la grandezza del dipinto.

Di Théodore Géricault esiste una Maschera Mortuaria e un bellissimo dipinto eseguito da Charles Émile Callande de Champmartin (Bourges, francia, 2 Marzo 1797 – La Neuville en Hez, 15 Luglio 1883) amico e seguace dell’artista, identificato come il ritratto di Théodore Géricault sul letto di morte.

Opere:
– Bastet, 300 – 250 a. C., bronzo con argento ed elettro, Al. 12,3 cm. Walters Art Museum, Baltimora USA.
– Il gatto Gayer Anderson, periodo tardo 664 – 332 a. C., bronzo, argento, oro, Al. Totale 42 cm. Luogo del ritrovamento Saqqara (Memphis), Giza (Governatorato), Egitto, Africa. Donato dal Maggiore – Robert Grenville Gayer Anderson, British Museum, Londra, Inghilterra.
– Sarcofago della gatta Myt, calcare bianco. Luogo del ritrovamento nei pressi della città di Mit Rahineh sul sito dell’antica Menfi capitale dell’Antico Regno e una delle metropoli più importanti dell’antico Egitto. Anno del ritrovamento: 1892.
– Théodore Géricault, Gatto morto, XIX Secolo, olio su tela, Al. 61 x La. 50 cm. Dipartimento di Pittura, Museo del Louvre, Parigi, Francia.
– Charles Émile Callande de Champmartin, Théodore Géricault sul letto di morte, 1824, olio su tela, Al. 45,6 x La. 55,6 cm. Art Institute Chicago, Chicago, USA.

Tutte le opere sono di pubblico dominio.

Lascia un commento

Quando inserisci un quesito specifica sempre la REGIONE interessata, essendo diversa la normativa che si applica.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
Per quesiti complessi ci si riserva di non dar risposta pubblica ma di chiedere il pagamento da parte di NON operatori professionali di un prezzo come da tariffario, previo intesa col richiedente
Risposta a quesiti posti da operatori professionali sono a pagamento, salvo che siano di interesse generale, previa conferma di disponibilità da parte del richiedente.