Le differenze tra “sepolcro di famiglia o gentilizio” e “sepolcro ereditario”

Spesso vi possono essere discussioni ed approfondimenti tra due tipologie di sepolcri: il “sepolcro di famiglia o gentilizio”, da un lato, e il “sepolcro ereditario”, dall’altro.
Il primo è, in via generale, anche presunto, mentre il secondo richiede elementi fattuali che lo connotino.
Un intervento in proposito si ha con l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. III Civ., 7 gennaio 2025, n. 190, cui merita darsi lettura (per gli Abbonati PREMIUM e LITE Norme l’ordinanza è reperibile alla Sezione SENTENZE).
La pronuncia ha anche precedenti, conformi, della medesima Corte di Cassazione, in sede Civile, con le pronunce della Sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957, nonché della Sez. II, 8 maggio 2012, n. 7000.
Qui era stato affermato che nel sepolcro ereditario lo “ius sepulchri” si trasmette nei modi ordinari, per atto “inter vivos” o “mortis causa”, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia.
Nel sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo “ius sepulchri” è attribuito, in base alla volontà del testatore, in riferimento alla cerchia di familiari destinatari del sepolcro, acquistandosi dal singolo “iure proprio” sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, “iure sanguinis” e non “iure successionis“.
Con ciò determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o “mortis causa”, imprescrittibilità e irrinunciabilità.
Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione “mortis causa”. (v. Cass., n. 12957/2000; Cass., n. 700/2012).
Per inciso, in quest’ultima pronuncia, si era avuta una “cessione” operata ricorrendo ad una scrittura privata, costituendo ciò un vizio di nullità.
Si tratta di pronunce giurisprudenziali che, per altro, non affrontano alcuni aspetti, non altrimenti superabili.
Il “sepolcro” (quale ne sia la natura, cioè se di famiglia o, gentilizio) presenta la caratteristica di concorso di due fattori.
Risulta una concessione di porzione di area cimiteriale, su cui viene (o è stato, successivamente a questa concessione superficiaria) edificato un manufatto sepolcrale, oggetto di proprietà. Tanto che il concessionario (e suoi aventi causa, nel tempo) è tenuto, per l’intera durata della concessione al suo mantenimento in buono stato di concessione.
Ma questo “nasconde” un ulteriore aspetto: quello se, e quanto, l’eventuale cessione del manufatto sepolcrale comporti il trasferimento del diritto d’uso e, prima, del rapporto giuridico di concessione (“cedibile” o traslabile, quale ne sia la denominazione).
La questione può sollevarsi visto che il sepolcro ha la sua funzione propria (quella sepolcrale), all’origine riferita al fondatore e ai componenti della famiglia di questi, che costituisce anche la finalità dell’originaria concessione di una porzione di area.
Per questo motivo una successiva “cessione” metterebbe in discussione il fine originario.
Nel passato (fino al 9 febbraio 1976), vi era una regolazione abbastanza precisa di queste situazioni, incluse le salvaguardie a pro dei concessionari originari.
Normative ora venute meno, anche se – qui o là – sembra che tali cambiamenti non siano divenuti patrimonio di un “sentire” comune.

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