Chiese cimiteriali o chiese-cimitero?

La chiesa di St. Joseph, di fattura e di gusto prettamente neo-gotico, molto diffuso in Germania, risale all’ultimo decennio del XIX secolo ad opera di Franz Langenberg e si distingue, da altre realizzazioni, invece a pianta centrale, per una caratterizzazione longitudinale a tutta altezza del grande ambiente – la sua campata – ripartita in navate con pilastri nervati e coperture ad ogiva; la preminente illuminazione diretta diffusa dal telaio fenestrato (cleristorio) delle pareti esterne ha comportato una notevole dissimiglianza nell’approccio adeguativo e modificativo, qui centrato su una sorta di programma topografico per la disposizione dei colombari-cinerario e sull’enfatizzazione metaforica di un percorso figurale.
La caratteristica fondamentale del suo originario impianto, ancora ben presente, è il linearismo, che consiste nell’esaltazione, fors’anche esasperata, delle linee, soprattutto ascensionali.
Ciò si evidenzia particolarmente nell’architettura da cui questo tipo di arte prese l’avvio. Le cattedrali gotiche, infatti, si differenziano da quelle di epoche precedenti per la notevole ampiezza degli spazi, per lo slancio vertiginoso verso l’alto e per la maggiore luminosità.

Questo tipo di costruzione, in cui ogni elemento concorre ad accentuare il senso della fantastica scalata verso l’assoluto, (con evidenti richiami neoplatonici), il verticalismo e la luminosità, si sviluppò di pari passo con la spiritualità dell’epoca caratterizzata da un diverso rapporto con la Divinità. insita sia nella natura, secondo il messaggio di S. Francesco, quanto nelle opere umane.
La nuova “autocomprensione” del topos chiesastico attraverso la ricerca di una forma appropriata entro cui ricavare le cellette per urne” (così, Tino Grisi, ne “Evoluzione contemporanea nell’architettura funeraria, volume curato da Luigi Bartolomei, C.S.O. edizioni, Bologna 22 marzo 2012) si fonda sul tracciamento di un solco, alveo artificiale di un rivolo d’acqua sorgiva che corre per tutta la lunghezza della navata posta in pendenza verso l’originario fonte battesimale riposizionato, in seguito, di fronte al presbiterio.
L’acqua corrente è parte di uno schema allegorico riferito al fluire della vita – durante il rito delle esequie le ceneri del cremato sono appunto poste davanti al punto evocativo del fonte battesimale – ed a un tentativo di ri-naturalizzare lo spazio, per cui sul piccolo fiume interno si affacciano rive ghiaiose a modellare e plasmare l’ideale collocazione dei campi di sepoltura.

Questa struttura spigolosa, ma ben ritmata, in cui i diedri con i loro passaggi chiaroscurali di piano creano un movimento squadrato, quasi scolpito e dirozzato nella sua rigida articolazione formale, è di forte impatto scenico, e si dipana a mo’ di labirinto (dalle grandi fascinazioni classiche), così nel suo grembo profondo s’insediano man mano piccole parti e sezioni della nuova conformazione funebre di St. Joseph.
Una selva (… oscura e di dantesca memoria, laddove per poco il cor non si spaura, giusto per non citare il Leopardi?) di stele in cemento polito assume un assetto a meandri nelle navate, perpendicolarmente all’asse, mentre ognuno di questi blocchi murari mostra un medesimo disegno scomposto ad insenature dove in posizione sempre angolare si possono deporre le urne, per la loro definitiva tumulazione.
La prima fase di ristrutturazione ha prodotto oltre 900 avelli per le ceneri nelle navate minori, tuttavia si è già trascorsi alla crescita esponenziale, ma ordinata, dei monoliti su due lati della navata centrale, mentre l’ultimo settore di espansione è previsto nella zona del portale maggiore al di sotto della cantoria sopraelevata e sorretta da tre arcate.
Appare evidente come il logos, il principio progettuale ed informativo dei valenti architetti che hanno atteso al restauro abbia mirato in St. Joseph ad una soluzione tutta interna al pensiero di un originale luogo di riposo per i defunti.
Punto di partenza della concezione dello spazio della chiesa sepolcrale è stata innanzi tutto la ricerca ragionata di un alto profilo rituale idoneo sia alla funzione più propriamente sepolcrale, sia alla foggia dell’urna.

L’enorme volume delineato dal ripetersi possente, quasi ossessivo dei moduli costruttivi, e dal loro convergere verso un immaginario ed immaginifico punto di fuga, ravvisabile nel presbiterio non è più leggibile come chiesa parrocchiale, ma dinnanzi alla mancanza di un regolare impiego liturgico ha bisogno di un energico impulso spirituale che vi localizzi conseguentemente la nuova destinazione del fabbricato.
La ricerca figurativa si spinge all’introduzione di un elemento scultoreo appeso alle volte, un lamellare scafo o scheletro gigante traslucido inteso a infondere materialità corporea alla luce naturale che, filtrando libera, attraversa uno spazio totalizzante, inverando quella ricomposizione polare tra vita e morte perdurante nella spiritualità “atemporale” ed eterna della chiesa, con il suo messaggio salvifico.
Questo sottile drappo di ossa stilizzate che, con i suoi panneggi voluttuosi, s’impone ed incombe sinuosamente, con moto curvilineo, anche sulla più ardite architetture, nella sua vertiginosa ascensione verso pinnacoli e chiavi di volta trasforma l’intera chiesa in un esile involucro di malinconica e prorompente energia, trattenuta, a fatica, dalla sola, intangibile sacralità del tempio.
Se il verticalismo di quasi trasparenti ed impercettibili diaframmi murari abbinati a gracili sostegni a polistilo deve suscitare una sensazione di estatico rapimento anagogico verso il cielo immateriale e la beatitudine celeste, le spigolose geometrie dei cinerari, in cui sono murate le urne, ci richiamano, ossessivamente, a quell’orizzonte di tragica fisicità in cui si esauriscono i nostri affanni terreni.

St. Joseph è una chiesa-cimitero dove la sofferenza di chi si è perso, il silenzio del ricordo e la passione per la vita si inverano, ma in una dimensione privata, nascosta dal resto del mondo, in cui ognuno di noi cerca consolazione, e dove chi è fuori non può entrare nelle sue segrete stanze.
Un grandioso edificio accoglie discretamente i cinerari lasciando spazio solo al sole di entrare grazie alle sue maestose finestre.
L’addensarsi, ben scandito, dei cinerari lungo le navate indica una immagine prettamente neo-medioevale del “paesaggio” funerario, perché lo spazio benedetto che accoglie nelle sue segrete celle le sepolture riveste maggior importanza semantica del singolo monumento o edicola “personalizzata”, così diffusi, invece, nel microcosmo borghese degli ultimi due secoli, in cui, sostanzialmente, il cimitero era riproduzione – in scala – dell’habitat dei vivi e del suo ascensore sociale, anche nel post mortem.

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Carlo Ballotta

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