La DECADENZA delle concessioni cimiteriali

Premessa:

Il profilo giuridicamente più rilevante dei sepolcri interni al cimitero é quello della natura della concessione e del diritto di sepolcro. Mentre vi é 6consenso circa la natura di demanio comunale dei cimiteri (cfr. art. 824 c.c.), si é invece molto dibattuto sulla natura, costitutiva o traslativa, della concessione comunale di porzioni di manufatti o di aree cimiteriali, allo scopo di realizzarvi sepolcri (Ing. Daniele Fogli).

I caratteri generali della concessione cimiteriale sono:

-rapporto Pubblica Amministrazione/concessionario: dove quest’ultimo è assoggettato alla
supremazia (potestas imperii) della prima, la quale è comunque tenuta all’imparzialità;
– vincolo di destinazione alla funzione sepolcrale;
– temporaneità;
– onerosità;
– divieto di destinazione a scopo di lucro o speculazione
– limitazione del diritto d’uso a soggetti predeterminati o predeterminabili.

E’ora, opportuno meditare su questo pronunciamento giurisprudenziale: Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505: “La normativa regolamentare comunale di polizia mortuaria e sui cimiteri in tanto è legittima in quanto non viene a porsi in contrasto con la normativa regolamentare adottata dal Governo, in virtù di quanto previsto dall’art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile. La normativa comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è in contrasto con la disposizione di cui all’art. 93 del regolamento governativo approvato con D.P.R. n.803/1975 (il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 del D.P.R. 10.9.1990 n.285). Detta disposizione statale, dopo aver precisato che le concessioni cimiteriali rilasciate dopo l’entrata in vigore del regolamento, non possono avere una durata superiore ai 99 anni, salvo rinnovo, prevede per quelle anteriori, di durata superiore ai 99 anni, la facoltà di revoca da parte del Comune quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma e si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Consente poi al Comune, con l’atto di concessione, di imporre al concessionario determinati obblighi tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato, pena la decadenza della concessione. Con la conseguenza che nella normativa statale, per le concessioni di durata superiore ai 99 anni rilasciate anteriormente al D.P.R. n.803/1975, l’esercizio del potere discrezionale di revoca nell’interesse pubblico viene ancorato a due precisi presupposti (superamento di 50 anni dall’ultima tumulazione e grave insufficienza del cimitero), che debbono concorrere entrambi per la legittimità del provvedimento di revoca, mentre la decadenza viene consentita rispetto all’inosservanza di determinati obblighi a carico del concessionario da precisare con l’atto di concessione (o con la convenzione che sovente l’accompagna). Con l’entrata in vigore del D.P.R. n.803/1975, debbono ritenersi abrogate in parte qua le disposizioni regolamentari comunali che imponevano il rinnovo della concessione cimiteriale ogni trentennio.”

Il comune, quale titolare della demanialità dei cimiteri (art. 824, comma 2, c.c.), ha la facoltà di concedere a privati o ad enti l’uso di aree al fine della costruzione di sepolcri a tumulazione (e, certe condizioni, anche aree per impiantare campi ad inumazione), facoltà il cui esercizio, oltre che rimanere discrezionale, è subordinato alla preventiva espressa previsione della destinazione di tali aree a tale possibilità facoltativa dal piano regolatore cimiteriale (art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), in coerenza con le disposizioni che determinano il fabbisogno dei cimiteri (art. 58), da cui vanno, sempre, escluse le aree individuate dall’art. 59.
Se non vogliamo che aumenti, con progressione esponenziale, la quantità di sepolture abbandonate, in stato di profonda fatiscenza, diventa giocoforza impiantare un sistema di rilevamento che segua l’evoluzione dei diritti vantati sulle tombe e soprattutto la posizione di stato civile (decesso, rapporti di filiazione o coniugio…) degli intestatari delle stesse.

L’art. 63 del DPR 285/1990 contempla due casi di sepoltura privata abbandonata dagli aventi diritto:

a) per incuria;
b) per morte degli stessi

In genere il regolamento di polizia mortuaria comunale detta specifiche procedure di dettaglio al riguardo.
Come rilevato dalla giurisprudenza: TAR Piemonte, 3 aprile 1987 n. 130: “Per la sussistenza dello stato di abbandono di un’area cimiteriale ai fini dell’adozione del provvedimento di decadenza[1] della relativa concessione, debbono ricorrere precisi requisiti temporali ed oggettivi, nel senso che deve potersi dimostrare che da lungo tempo il titolare o chi per lui non si è recato in loco, ed oggettivi nel senso che l’area stessa deve risultare impraticabile e/o, comunque, il manufatto sulla stessa insistente gravemente deteriorato in seguito al lungo stato di abbandono…”.


Ai sensi dell’Art. 63 DPR 285/90 i concessionari debbono mantenere a loro spese per tutta la durata della concessione in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà.

Per l’individuazione delle responsabilità L’aspetto da chiarire preliminarmente è sia vi sia stata concessione di area con costruzione dei manufatti da parte del concessionario, dove l’obbligo di manutenzione spetta al concessionario, che può essere diffidato ad eseguire i lavori ecc. e, se non provveda entro il termine assegnato, puo’ essere dichiarato decaduto (e la sistemazione dei feretri, i lavori di ripristino e quanto altro rimangono oneri a carico dei concessionari, esecutibili anche forzosamente), oppure se alla costruzione abbia provveduto, a suo tempo, il comune con l’assegnazione del solo diritto d’uso dei posti a tumulazione.

Nei Regolamenti di polizia mortuaria del 1891, del 1892, del 1942, del 1975, del 1990, oltre – ovviamente – a considerare la normale sepoltura in ingressoinumazione in campo comune, cioè quella che determina l’obbligo per i comuni e il fabbisogno, si parla sempre e solo di ammissibilita’ (se previste dal Piano regolatore cimiteriale, a partire dal DPR 803/1975, oggi art. 91 dPR 285/1990 (prima era previsto che la deliberazione consiliare di concessione dell’area fosse trasmessa al Prefetto, con l’obbligo, per il consiglio comunale, di provare documentalmente il numero dei decessi negli ultimi 10 anni, della superficie occupata e disponibile, ecc.)) di concessione di aree.

Da nessuna parte (più o meno a partire dalla prima legislazione in materia Post-Unitaria) non si parla mai dell’ipotesi che sia il comune, quale titolare dell’area cimiteriale, a provvedere alla costruzione di loculi: l’istituto è del tutto assente (nelle norme sopra citate, ma non nella prassi).
L’incuria a sua volta può originare o meno pericolo di rovina di parte o dell’intero sepolcro in stato di degrado. Un’altra forma di negligenza corrisponde all’omissione delle necessarie manutenzioni ordinarie e straordinarie. Laddove sia così previsto nel contratto, il Comune, quale autorità cui, ai sensi dell’Art. 51 DPR 285/90, spetta la potestà di ordine e sorveglianza sui cimiteri, può pronunciare, nel rispetto delle modalità procedurali indicate dalla Legge 7 agosto 1990 n. 241, la decadenza della concessione per inadempienza ai patti contrattuali.
Il rapporto tra l’amministrazione cittadina ed il concessionario, trattandosi il cimitero di demanio comunale, è regolato dal combinato disposto tra norme contrattuali e da quelle del regolamento comunale.

Il regolamento di polizia mortuaria comunale dovrebbe prevedere al proprio interno un articolo in cui viene precisato che le disposizioni in esso contenute si applicano anche alle concessioni ed ai rapporti costituiti anteriormente alla sua entrata in vigore e che comunque il Regolamento comunale di polizia mortuaria precedente cessa di avere applicazione dal giorno di entrata in vigore del presente. Ora non è dato sapere se ciò viene previsto nel regolamento comunale dello scrivente Comune. Si veda l’art. 86 dello schema di regolamento di polizia mortuaria comunale tipo, pubblicato su Antigone 3/94. Seguendo le procedure previste in detto regolamento, chiunque ritenga di poter vantare la titolarità di diritti d’uso su sepolture private in base a norme del Regolamento precedente, può presentare al Comune gli atti o i documenti che comprovino tale sua qualità al fine di ottenerne formale riconoscimento
Se tale circostanza non e’ specificata ne’ nel contratto ne’ nel regolamento di polizia mortuaria del Comune, quest’ultimo, in qualità di ente concedente, può intervenire nei casi di pericolo con la rimozione di manufatti, previa diffida ai componenti la famiglia del concessionario (e ai suoi credi) anche, ove occorra, per mezzo di pubbliche affissioni, meglio se in concomitanza con la commemorazione dei defunti quando molto alto è l’afflusso di visitatori in cimitero (Se per l’intervento non c’è la massima urgenza l’azione sollecitatoria, inizialmente può esser costituita da un invito per il quale la forma scritta risulta essenziale.)

Una volta ultimati i lavori necessari, il Comune dovrà notificare ad ogni concessionario, una ordinanza di ingiunzione di pagamento, col relativo importo. Si può derogare dal rivolgere le sollecitazioni a tutti i concessionari solo se siano stati precedentemente individuati, con norma regolamentare o atto di designazione una o più persone quali rappresentanti della concessione nei confronti del comune.
Se il regolamento cittadino di polizia mortuaria non ammette l’istituto del subentro nella posizione del concessionario/fondatore del sepolcro si può determinare abbastanza facilmente il venir meno con la scomparsa fisica del concessionario di ogni figura di soggetto giuridicamente obbligato.
Alcune delle caratteristiche che deve presentare una tomba per essere considerata senza dubbio abbandonata possono essere, per esempio, la non leggibilità delle iscrizioni (obbligatorie la data di nascita, morte, nome e cognome), la mancanza di decoro causata da sporcizia, erbacce l’affaticamento delle strutture murarie o lapidee, il pericolo di caduta di pezzi di tomba con possibili danni ai frequentatori.
In genere le contromisure strategiche per arginare questi fenomeni di deterioramento del patrimonio cimiteriale sono scritte nel regolamento di polizia mortuaria comunale, ma è di fatto obbligatoria la strada delle ricerche anagrafiche per identificare gli eredi o verificare se si sia estinta la famiglia.

In quest’ultimo frangente, nemmeno poi tanto raro, qualora gli ultimi membri della famiglia originaria non abbiano provveduto alla destinazione del sepolcro per il tempo successivo alla loro morte incaricando, ad esempio, una fondazione di provvedere alla manutenzione della tomba, con comunicazione della decisione assunta al comune, si presume vi sia l’abbandono amministrativo e quindi si delibera la decadenza della concessione.
Se invece vi sono aventi titolo, il primo passaggio di tutto l’iter da istruire è rappresentato da una formale diffida e solo se gli interessati non si prendono cura della tomba, garantendone, in tempi ragionevoli il ripristino, si pronuncia la decadenza.
Bisogna, però distinguere dalla conservazione del sepolcro in buono stato le opere manutentive magari indispensabili per poter tumulare salme nella tomba attraverso la procedura di deroga ex Art. 106 DPR 285/1990 implementata dall’allegato tecnico di cui al paragrafo 16 della Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24. Ad esempio potrebbero essere consentite tumulazioni di urne cinerarie, ma non di feretri. Se il Comune non può consentire la tumulazione di nessun feretro senza dette opere la situazione resta ferma per tumulazioni di feretri fintanto che queste non siano state effettuate. A nulla rileva il fatto che vi siano diversi titolari di altre quote della tomba: è l’uso della tomba per tumulazione di feretro che viene impedito. Se invece le opere manutentive non svolte consentono egualmente la tumulazione nella tomba, questa viene effettuata secondo il principio che chi prima muore tra gli aventi diritto alla sepoltura è colui che ha diritto alla tumulazione, fino alla capienza massima della tomba. In assenza di regolamentazione locale la scelta di procedere alla decadenza di quote di sepolcro viene ritenuta impugnabile per carenza dei presupposti.

La decadenza non è una sanzione, o un atto ablativo; essa consta in un fatto giuridico determinato dall’abbandono e dall’inequivoco animus di bellissimanegligere il sepolcro, rispetto ai fini originari, nei confronti del quale va adottato un provvedimento avente natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, rientrante nelle funzioni e compiti di cui all’art. 107, commi 3 e seguenti, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con la precisazione che ogni ritardo nella sua adozione determina la responsabilità di cui all’art. 93 stesso D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. La dottrina, però, ancora dibatte sulla natura di questo atto: il Virga la ritiene appartenente agli atti di ritiro; di avviso contrario sono invece lo Zanobini ed il Sandulli, i quali non considerano la pronuncia di decadenza un procedimento di secondo grado, giacché essa non prevede un riesame dell’atto. La competenza e’ dirigenziale (esclusiva e non derogabile, vedi art. 107, comma 4 D. Lgs. 267/2000) sia per le demolizione quanto altro (lett.- g) sia per la decadenza (lett. f), costituendo quest’ultima il risvolto negativo della concessione.
Sulla ventilata possibilità di procedere con un unico provvedimento c’è parere favorevole della dottrina salvo il caso il Regolamento (comunale) di cui all’art. 48, 3 D. Lgs. 267/2000 non attribuisca le i due poteri a distinti uffici.
Diventa comunque indispensabile una ricostruzione anagrafica per risalire agli aventi causa[2] del fondatore o comunque ai soggetti onerati[3], bisogna, infatti, distinguere tra diritto ad essere sepolto nella tomba ed obblighi manutentivi della stessa. Il diritto di sepolcro, infatti è jure sanguinis, cioè dipendente dal rapporto di consanguineità col fondatore del sepolcro ed svincolato dalla quota[4] ereditata.
La proprietà di un bene che insista su suolo cimiteriale dato in concessione non sempre comporta l’aver acquisito diritti sulla stessa concessione cimiteriale stessa, primo dei quali lo jus sepeliendi.

Il cosiddetto jus sepulchri, cioè il diritto ad essere sepolti nella cappella funebre o in un campetto ad inumazione dato in concessione ex Art. 90 comma 2 DPR 285/90 costituisce un diritto personale e non patrimoniale, così, deceduto il concessionario-fondatore del sepolcro, esso si trasmette[5] unicamente ai suoi discendenti in linea diretta (mai collaterale, salva espressa diversa deroga posta dal fondatore del sepolcro nell’atto di concessione o prevista dal regolamento comunale vigente al momento della fondazione del sepolcro) e non agli eredi che non siano anche discendenti del fondatore del sepolcro, i quali possono subentrare unicamente negli obblighi derivanti dalla concessione, principalmente consistenti nell’obbligo di manutenzione in condizioni di costante utilizzabilità ai fini sepolcrali od altri stabiliti dall’atto di concessione.
Il vero problema cruciale consiste, allora, nel tipo di ricerche che la p.a. deve compiere prima di dichiarare la irreperibilità degli aventi titolo.
In effetti una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ.le, Sez. Unite, 9 marzo 1981) stabilisce come un semplice cartello appeso su una tomba, con il quale la p.a. invitava gli aventi titolo a presentarsi presso l’ispettorato del cimitero, senza altro aggiungere, non consegua il risultato di portare alla conoscenza degli interessati, dell’ingiunzione di eseguire opere di manutenzione e conservazione. Nemmeno con l’esposizione di tale ingiunzione all’albo pretorio, a giudizio della “Suprema Corte”, si sarebbe potuto dir assolto l’obbligo di comunicazione del provvedimento come previsto dall’art. 86 del regolamento comunale di polizia mortuaria del comune di Milano. La Corte di Cassazione confermava quindi il pronunciamento della Corte d’Appello di Milano, che aveva emesso sentenza di nullità verso il provvedimento con il quale il Sindaco aveva dichiarato decaduta la concessione.

“[…] Per conseguire quell’ideale coincidenza tra la conoscenza legale e quella effettiva della diffida, e conseguentemente evitare di porre in essere un atto di decadenza nullo, per violazione dell’obbligo di comunicazione, il procedimento che la p.a. dovrebbe adottare si sostanzia nello svolgimento di accurate e complete ricerche anagrafiche degli aventi titolo; qualora queste non sortissero i risultati sperati, il ricorso alle pubbliche affissioni appare l’ultima reale possibilità che ha la p.a. di adempiere all’obbligo di comunicazione”.

Qualora la p.a. non agisse in tal senso, sulla medesima graverebbe l’onere di provare l’avvenuta conoscenza del provvedimento da parte degli aventi titolo” (citazione tratta da Giurisprudenza: decadenza delle concessioni cimiteriali di Elisa Bertasi, La Nuova Antigone, 1/1997)
TNel caso di morte degli aventi diritto si procede a dar opportuna pubblicità dell’avvio della procedura di decadenza[6]. Si ritiene, inoltre, che il Comune abbia il potere, di inserire nel regolamento di polizia mortuaria comunale, anche ex novo, purché si lasci un congruo periodo di tempo a disposizione, norme che reprimano la colpevole trascuratezza delle sepoltura private, premiando, al contrario, un uso consapevole e responsabile delle tombe, anche al fine di rivalutare la funzione storica e sociale dei nostri cimiteri.
In seguito alla pronuncia di decadenza della concessione, la p.a. dovrebbe poi effettuare a proprie spese, traslazione, dei cadaveri, dei resti o delle ceneri negli appositi ambiti cimiteriali (campo inconsunti, ossario o cinerario comune), per dare luogo al restauro dei manufatti, o alla loro demolizione, in quanto beni ricadenti d’imperio, nella propria completa disponibilità.
Essendo intervenuta la decadenza, va ricordato che l’edificio costruito (cappella funeraria), i monumenti, le lastre tombali e gli accessori votivi divengono di proprietà del comune, per accessione (artt. 934 – 938 codice civile), producendo la contemporanea demanialità del manufatto stesso, per effetto dell’art. 825 codice civile.
Se la fattispecie della decadenza della concessione per estinzione della famiglia non è regolamentata attraverso il regolamento comunale, di cui si ribadisce la centralità, può esser utile ricorrere all'”accrescimento di fatto” delle quote degli intestatari che sono ancora in vita non potendo il Comune pronunciare la decadenza per estinzione della famiglia.
Occorre subito una precisazione: Il diritto di sepoltura nei sepolcri privati nei cimiteri che sorge da un contratto tra amministrazione comunale e concessionario è riservato sibi familiaque suae, secondo la celebre formula latina, ossia al concessionario ed ai componenti della di lui famiglia, la lettera della Legge (Art. 93 comma 1) esclude che possano trovarvi sepoltura le salme di altre persone. Ai sensi dell’Art. 93 comma 2 il concessionario, però, può avvalersi dell’istituto l’istituto della BENEMERENZA, consentendo la tumulazione o l’inumazione nella sepoltura familiare dei cadaveri di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei suoi confronti. I criteri possono essere i più disparati, purché regolamentati[7] a livello locale.
La definizione dell’ambito della famiglia[8] del concessionario va, od andrebbe, definita dal Regolamento comunale di polizia mortuaria, il quale dovrebbe altresì disciplinare il c.d. subentro nella concessione in caso di decesso del concessionario (fondatore del sepolcro).
Il regolamento municipale di polizia mortuaria potrebbe prendere in esame queste due distinte situazioni:
1. si deve far riferimento unicamente al concessionario anche post mortem
2. i suoi discendenti assumono, a loro volta, la posizione di concessionari (ipotesi che modifica, od amplia, la definizione di famiglia del concessionario).
In altre parole, sia la composizione del nucleo famigliare del concessionario sia gli effetti che si abbiano in conseguenza del decesso del concessionario (fondatore del sepolcro) sono rimessi alla fonte regolamentare locale.
Strettamente legato la caso 1 è l’innovativo istituto dell’abbandono amministrativo introdotto dalla Regione Emilia Romagna con l’Art. 4 comma 4 del regolamento regionale 23 maggio 2006 n. 4 studiato proprio per offrire una soluzione al problema della perpetuità (o della lunga durata) di concessioni cimiteriali. Difatti viene definito l'”abbandono amministrativo” di una tomba come quello stato di fatto che è determinato dall’essere trascorso almeno un ventennio dalla data della morte dell’ultimo concessionario avente diritto.

Tale situazione determina la possibilità per il Comune di pronunciare la decadenza della concessione e conseguentemente il recupero ed il riutilizzo del manufatto per nuove sepolture. Il regolamento comunale individuerà procedure per la traslazione di cadaveri, resti mortali, ceneri ed ossa in sepoltura comunale (che può anche essere individuata in campo comune, ossario e cinerario comune).

La problematica è di grande rilevanza per le notevoli implicazioni che ne derivano, tra le quali una chiara normativa regolamentare comunale per individuare il concessionario avente diritto (originario o quelli subentrati per effetto di successione legittima o testamentaria).
A determinate condizioni anche un estraneo rispetto ai rapporti di parentela con il fondatore del sepolcro potrebbe aver diritto di sepoltura in quel particolare sepolcro, sono indispensabili, però:

1) Una norma positiva in tal senso chiaramente enunciata dal regolamento comunale di polizia mortuaria.

2) L'”autorizzazione” dei membri della famiglia, che acconsentono liberamente ad una compressione del loro jus sepulchrii, ancorché inteso come mera legittima aspettativa, poiché lo jus sepulcrhi diviene un diritto soggettivo solo con la morte della persona che ne sia astrattamente titolare sino al raggiungimento della naturale capienza del sepolcro ex Art. 93 comma 1 DPR 285/90, all’esaurirsi della capacità ricettiva del sepolcro lo stesso jus sepulchri non può più esser forzatamente esercitato (lo spazio sepolcrale, però, si dilata se per spoglia del de cuius intendiamo non il solo feretro in cui il cadavere fu racchiuso il giorno del funerale, ma anche tutte le trasformazioni di stato del corpo umano dopo la morte, ossia: resti mortali, ossame e ceneri).

Troverebbero, in ogni caso, applicazione le norme di legge e regolamento in materia di procedimento amministrativo e di documentazione amministrativa (ad esempio, ricorrendo ad un’istanza sottoscritta da tutti gli interessati con l’osservanza dell’art. 38 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445[9]).

Anche il “non uso” può esser un inadempimento causa di decadenza, si pensi, ad esempio ad una “tomba prenotata” rimasta vuota anche dopo la morte dell’avente diritto ad esservi sepolto, il quale, ovviamente è stato sepolto in altro sito.

Capitolo a parte merita la ricostruzione o demolizione del sepolcro, fatta salva forse l’ipotesi del ricorso alla procedura di deroga ex Art. 106 DPR 285/1990, per riattare tombe non a norma con l’Art. 76 comma 3 DPR 285/1990 in quanto essa costituisce un adeguamento a norme e prescrizioni tecniche estranee ai soggetti del rapporto (comune, quale concedente da un lato e concessionario dall’altro): il comportamento illecito di terzi (non tanto la ristrutturazione, che in ogni caso richiede l’autorizzazione comunale ex Art.94 comma 1 DPR 285/1990, ma soprattutto la predisposizione di ulteriori posti salma, violando l’Art. 94 comma 2 DPR 285/1990 comporta una situazione di “inadempimento contrattuale” che determina la decadenza.

Un’eventuale alienazione, essendo vietato ex Art. 92 comma 4 DPR 285/1990 per atto di diritto privato, costituisce una violazione, un’inadempimento degli obblighi derivanti dalla concessione (la concessione è fatto ‘al fine’ della sepoltura delle persone del concessionario, fondatore del sepolcro, e dei membri della sua famiglia (a cui e’ riservata)), alterazione del fine che costituisce fattore di decadenza, la quale va solo dichiarata avendo effetto dal momento in cui risulti alterata la funzione per la quale il sepolcro e’ stato fondato.
la patrimonialità dei sepolcri, già largamente in discussione nel passato, e’ venuta meno dal 28/10/1941, data di entrata in vigore del libro III codice civile, anche se formalmente la norma positiva di divieto è stata introdotta solo con l’avvento del vecchio regolamento nazionale di polizia mortuaria DPR 803/1975 entrato in vigore il 10 febbraio 1976, per situazioni pregresse il comune con atto ricognitivo si limiterà a recepire agli atti lo status quo.

Nota dell’autore: ho volutamente corredato questo testo con immagini dure e provocatorie: non c’è nessuno spirito anticristiano, anzi, nella mia visione del mondo molto spirituale, l’abbandono di un Crocefisso (inteso anche e soprattutto come simbolo universale del dolore, della morte e della sue estrema dignità) trai i rifiuti lapidei ex DPR n.254/2003, è ben più di una semplice inadempienza in forza della quale invocare la decadenza.

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[1] Le deliberazioni possono essere dichiarate immediatamente eseguibili, oggi, a termini dell’art. 134, comma 3 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, essendo stata da questo abrogata la legge 8 giugno 1990, n. 142 (art. 274. comma 1, lettera q)). Tuttavia, va meditato se le concessioni cimiteriali competano alla giunta comunale o non rientrino piuttosto nei compiti e funzioni di cui all’art. 107, commi 3 e seguenti D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e, prima, all’art. 51 dell’abrogata legge 8 giugno 1990, n. 142.

[2] Di norma il sepolcro si trasforma in ereditario quando siano venuti meno i discendenti (tra le altre: Corte di Cassazione, Sez. II, sent. n. 5095 29/5/1990 e Sez. II, sent. n. 12957 del 7/3-29/9/2000). Fatte salve le previsioni del Regolamento comunale di polizia mortuaria concernenti la successione delle persone alla morte del concessionario in relazione alla concessione -Ne consegue che gli eredi, se ammesso dal Regolamento, subentrano al concessionario defunto, quando questi non abbia deciso in modo diverso con disposizione di ultima volontà o altrimenti con atto pubblico.

[3] Secondo una certa corrente della dottrina anche gli onerati potrebbero partecipare dello jus sepulcrhi il cui utilizzo è determinato dalla successione cronologica delle morti degli aventi diritto, altri studiosi, invece, limitano l’estensione dello jus sepulcrhi solamente ai consanguinei del concessionario.

[4] Cassazione civile, Sez. I, 7 febbraio 1961 n. 246 Il diritto primario di sepolcro rispetto ad una tomba gentilizia importa il diritto alla tumulazione in quella tomba e determina una comunione indivisibile fra tutti i titolari del predetto diritto primario, sicché resta escluso il potere di disposizione della tomba stessa da parte di uno o di alcuni solo tra i predetti titolari o aventi causa da essi. Il diritto secondario di sepolcro importa il diritto di accedere alla tomba per compiervi gli atti di culto e di pietà verso le salme dei propri congiunti o dei propri danti causa, ivi legittimamente seppellite nonché il diritto di impedire atti che turbino l’avvenuta tumulazione delle predette salme. Il diritto secondario di sepolcro si risolve in un ius in re aliena che grava sulla tomba e ne segue gli eventuali trasferimenti. Per la validità dell’atto di disposizione di una tomba, non è necessario il consenso anche dei titolari del diritto secondario di sepolcro rispetto a quella tomba. I predetti titolari però hanno il diritto di far dichiarare la nullità di quelle clausole, dell’atto di disposizione, che importino turbativa della sistemazione già data legittimamente alle salme dei propri parenti o danti causa o che ledano, comunque, il contenuto del proprio diritto secondario di sepolcro.

[5] In merito agli atti di disposizione sulle sepolture private bisogna ricordare come l’art. 71 R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880 consentisse la trasmissione dei diritti sulle sepolture private mediante atti inter vivos o mortis causa, previsione spesso presente anche in regolamenti comunali di polizia mortuaria ad esso successivi. Tuttavia, tale norma era comunque inapplicabile ed “abrogata” fin dal 21 aprile 1942 (cioè da ben prima l’emanazione e la successiva entrata in vigore dello stesso R. D. 1880/1942), data di entrata in vigore del codice civile attualmente vigente, che aveva volutamente affermato la demanialità dei cimiteri.

[6] L’estinzione sussiste solo nel caso di concessione a tempo determinato. Una concessione perpetua può solamente essere revocata, può decadere, ma nei precisi casi in cui ciò viene deliberato dal Comune.

 

[7] Occorrono norme piuttosto rigide e selettive per scongiurare compravendite mascherate di posti salma, vietate dalla norma (art. 92 comma 4 del DPR 285/90) e generalmente sanzionate dai regolamenti comunali con la decadenza della concessione stessa.

[8] La famiglia del concessionario è comunque da intendersi composta dagli ascendenti e discendenti, in linea retta e collaterali, ampliata agli affini, fino al sesto grado se ciò viene specificato nel regolamento di polizia mortuaria comunale. Per gli ascendenti e discendenti in linea retta il diritto alla tumulazione è stato implicitamente acquisito dal fondatore il sepolcro, all’atto dell’ottenimento della concessione. Per i rimanenti è il regolamento comunale che può estenderlo. In assenza di norma specifica nel regolamento, laddove si voglia consentire la sepoltura di collaterali ed affini, questa deve essere autorizzata di volta in volta dal titolare della concessione con apposita dichiarazione, facendo riferimento al 2° comma dell’art. 93 del DPR 285/90 (benemerenze).

[9] il diritto di sepolcro rientra tra i diritti personalissimi e che hanno riguardo ai c.d. diritti della personalità (per cui, forse, la c.d. scrittura privata non autenticata potrebbe ravvisarsi come non idonea).

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Carlo Ballotta

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67 thoughts on “La DECADENZA delle concessioni cimiteriali

  1. X Daniele,

    Immaginavo ci saremmo, prima o poi, imbattuti in questo famigerato pronunciamento del T.A.R Puglia, vera e propria testata d’angolo (o… pietra dello scandalo di evangelica memoria) di una nuova, emergente, giurisprudenza che pare, ancorché timidamente, scardinare il preesistente e conforme orientamento dei Giudici Amministrativi.

    In Realtà di tale “scomodo” avviso sarebbe anche Il T.A.R. Sicilia, secondo cui: “ la natura demaniale dei cimiteri sarebbe di ostacolo alla configurazione della perpetuità delle concessioni cimiteriali che, nella sostanza, in tal modo, finirebbero per occultare un vero e proprio diritto di proprietà su un bene demaniale».

    …Ma (detto provocatoriamente inter nos!) una sentenza – solo se passata in giudicato – non dovrebbe, ex Art. 2909 Cod. Civile, far unicamente stato tra parti in causa, senza esser immediatamente applicabile a casi analoghi? E’ uno dei principi fondamentali del diritto italiano.

    Da subito si reputa proficuo rammentare che la perpetuità delle concessioni cimiteriali, legittimata tanto dal Regio Decreto 11 gennaio 1891, n. 42, quanto dal Regio Decreto 25 luglio 1892, n. 448, poi dal regio decreto 21 dicembre 1942, n. 1880, non è più stata prevista dai successivi regolamenti statali di polizia mortuaria, emanati, rispettivamente con decreti del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803 e 10 settembre 1990, n. 285, i quali hanno stabilito che le concessioni”sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo” ed hanno prescritto che «Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni», rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del D.P.R. 803/1975, «possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero.».

    Benché il suddetto potere di revoca sia riconducibile alle sole concessioni “a tempo determinato”, l’estensione di questo atto sommamente ablativo alle concessioni perpetue, operata da alcuni comuni, ha comportato la necessità, per l’autorità giudiziaria, di valutarne la conformità sostanziale alla Legge.

    Si segnala che l’attuale giurisprudenza, sul punto, non appare omogenea né, tanto meno, strutturata su solide e condivise basi logiche.

    Secondo un primo filone, le concessioni perpetue eccedono l’ambito di stretta applicazione dell’art. 92, comma 2, primo periodo, del D.P.R. 285/1990 e, non essendo soggette alla procedura revoca ivi delineata, mantengono il carattere di perpetuità.

    Nel solco di tale corrente dottrinaria e giurisprudenziale, viene asserito che l’art. 92 del D.P.R. 285/1990 «non disciplina affatto le esistenti concessioni cimiteriali perpetue […]. La norma in oggetto si limita infatti a sancire che le future concessioni cimiteriali debbano essere ridotte a due tipologie a tempo determinato ( 99 anni) e non possano più, quindi, essere perfezionate concessioni per l’uso “sub specie aeternitatis” di aree o manufatti cimiteriali.

    Nessuna norma positiva, invece, decreta che le concessioni perpetue già in essere debbano trasformarsi in una delle due fattispecie atempo determinanto enumerate dal D.P.R. citato; esse, quindi, soggiacciono al regime giuridico sotto il cui imperio sono sorte, potendo, di conseguenza, essere modificate solo da espressa disposizione di legge (fonte primaria???), da novazioni consensuali o dal configurarsi dei rari casi di estinzione, per causa patologica o naturale, del rapporto concessorio (es: soppressione del cimitero, abbandono amministrativo, decadenza ecc.)».

    Un secondo orientamento incardina, invece, il proprio assunto sul disposto dell’art. 824 secondo comma, del Codice Civile, stante il quale i cimiteri sono vincolati all’assetto complessivo del demanio comunale – «i cui atti dispositivi non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo»- in questa teoria si rileva, innanzitutto, come la concessione cimiteriale, di natura traslativa (o secondo alcuni autori minori costituiva), generi, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale, personalissima e patrimoniale, opponibile agli altri privati con quest’ulteriore precisazione: nei confronti dell’amministrazione pubblica, tale diritto si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, qualora richiedano questa compressione esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero[12], indipendentemente dall’eventuale irrevocabilità o perpetuità del diritto di sepolcro[13].

    Sulla scorta di tali presupposti di diritto, parte della giurisprudenza ritiene legittime:

    – la revoca di concessioni rilasciate sine die, sempreché sussistano le condizioni –base enunciate dalla normativa speciale di settore;

    – una norma ad hoc, nel regolamento comunale, previa sua omologazione ex Art. 345 Testo Unico Leggi Sanitarie, che statuisca la trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni temporanee[16].

    In relazione al predetto mutamento di natura, quanto meno temporale, delle concessioni pregresse (cioè di quelle sino al 9 febbraio 1976 compreso, prima dell’entrata in vigore del DPR n. 803/1975, avvenuta appunto il 10 febbraio 1976), conviene riportare, in estratto, il giudizio formulato dal T.A.R. Sicilia il quale – ricordando che la giurisprudenza amministrativa ha, in passato, deciso in termini non univoci – ritiene che «la natura demaniale dei cimiteri sia di ostacolo alla configurazione della perpetuità delle concessioni cimiteriali che, nella sostanza, in tal modo, finirebbero per occultare un vero e proprio diritto di proprietà su un bene demaniale».

    Infatti – asserisce quel Giudice – un bene demaniale è, per sua natura, pubblico, cioè destinato a vantaggio dell’intera collettività. Tale carattere non esclude che il bene possa anche venire riservato (attraverso una concessione uti singuli) ad un uso limitato in favore di alcuni soggetti, «ma tale uso privato deve necessariamente essere temporalmente limitato e non perpetuo», atteso che, diversamente, il bene verrebbe definitivamente sottratto alla sua ontologica finalità pubblica.

    Il medesimo impianto argomentativo è stato, poi, ripreso dal T.A.R. Puglia[19], nella pronuncia da Lei citata nel quesito, dove il Giudice, ricordato che lo ius sepulchri, verso la potestas imperii della pubblica amministrazione concedente, costituisce un “diritto affievolito” in senso stretto, in quanto è sottoposto ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico, afferma solennemente che, a fronte di una concessione cimiteriale perpetua, l’amministrazione ha la facoltà di disporne unilateralmente la modifica, mediante la previsione di un termine di durata, oltre il quale la concessione deve essere eventualmente rinnovata.

    In conclusione, si consiglia al Comune di ponderare attentamente le determinazioni da assumere ed i percorsi di riforma del regolamento comunale da intraprendere, anche perché bisogna considerare come che la possibilità di operare davvero la trasformazione delle concessioni cimiteriali perpetue in concessioni temporanee, in relazione alla quale sono intervenute pronunce giudiziali non chiare, risulta, ad oggi, affermata solo da giurisprudenza amministrativa di primo grado… eventuali ricorsi sono ancora pendenti dinanzi ai supremi giudici amministrativi del Consiglio di Stato.

    Si predica, dunque, a ragione, la massima prudenza, anche per non ingenerare reazioni scomposte, quasi da isterismo di massa, nella cittadinanza o magari solo in chi, titolare di una concessione perpetua, si veda, sotto il profilo soggettivo, “scippato” di un diritto potenzialmente perfetto ed acquisito.

  2. Il TAR Puglia-Lecce, Sez 2, con sentenza del 31 gennaio 2014, numero 289, sembra però dare ragione ad un comune che ha modificato, mediante il regolamento comunale, la trasformazione delle concessioni da perpetue in concessioni temporanee di lunga durata soggetta a rinnovo.
    Questa sentenza sembra essere in contrasto con quanto affermanto enlla risposta che dette concessioni sono da consideraesi INTANGIBILI ?

  3. X Daniele, (che ci scrive dal mio “personalissimo” feudo funerario dell’Emilia-Romagna).

    Qui, come sempre, il problema si complica adorabilmente, perché nella normativa che regola il fenomeno funerario e cimiteriale, per noi dell’Emilia-Romagna, s’intersecano, con un complesso giuoco di rimandi e simmetrie ad andamento “carsico”, almeno i soliti due livelli di legislazione, (se accantoniamo, per un attimo la fonte regolamentare comunale che a sua volta è “terza”, con una propria legittimità non più di tanto comprimibile ) vale a dire quello statale (il caro e vecchio DPR n. 285/1990, per la parte residuale, così come confermato dall’Art. 6 del Reg. Reg. n.4/2006) e, appunto, l’ambito di competenza regionale (Il Reg. Reg. 23 maggio 2006 n. 4).

    Non si dimentichi come le concessioni cimiteriali, quale ne sia la tipologia o la specie sotto il profilo temporale, costituiscano sempre sepolcri privati nei cimiteri, con conseguente “sottrazione” del relativo spazio cimiteriale alla fruizione da parte della comunità locale, da cui consegue che non possano derivare, in alcun caso, oneri a carico del comune, neppure per quanto riguarda il necessario recupero delle spese gestionali cimiteriali.

    Si conviene, sconfinando nel merito, su questo fatto: le concessioni perpetue costituiscano evidentemente un fortissimo limite nella gestione cimiteriale, vincolo gravoso che non era stato percepito al momento originario del sorgere della concessione, probabilmente in ragione della (allora) ridotta incidenza quantitativa delle concessioni perpetue, ma anche di una visione miope per cui non si sarebbero potute soppesare le esigenze future.

    In primis, va ricordato come oggetto dell’atto concessorio, attorno al quale gravitano i diritti di sepolcro, attivi, passivi e di mera gerenza possa esser:

    1) il diritto di superficie, o secondo altra parte della dottrina il semplice diritto d’uso se ad esser concessa è stata la sola area, con il fine di erigervi una tomba a sistema di tumulazione.
    2) il solo diritto d’uso sul manufatto sepolcrale (potrebbe trattarsi di sepolcro monoposto o anche pluriposto) se a provvedere alla sua costruzione è stato direttamente il comune o comunque il gestore del camposanto.

    Siamo in presenza di una concessione perpetua? Se sì, questa non é suscettibile di essere modificata, quanto meno non unilateralmente da parte del comune (inadempienza contrattuale? violazione del principio civilistico di affidamento… alias bona fides?), essendo essa da considerarsi per giurisprudenza costante INTANGIBILE; costituiscono , comunque, una pregevole eccezione queste ipotesi, invero piuttosto rarefatte, ma significative, per le quali una concessione a tempo indeterminato viene meno

    a)Abbandono amministrativo (= estinzione del concessionario primo, della di lui famiglia e dei suoi aventi causa – fattispecie nuova introdotta proprio dal recente regolamento regionale, con l’Art. 4 comma 4)

    b) decadenza-sanzione pronunciata dal comune per effetto di inosservanza da parte del privato delle norme contenute nell’atto di concessione ex Art. 92 comma 3 DPR n. 285/1990.

    c) rinuncia (atto personale e non ricettizio) da parte del concessionario o degli aventi causa a lui subentrati.

    d) smantellamento del cimitero ai sensi del Capo XIX DPR n. 285/1990.

    e) revoca ai termini dell’Art. 92 comma 2 DPR n.285/1990 (Nello spirito del DPR n. 285/1990 si tratta de facto di un “mission impossible” siccome quasi mai concorrono condizioni dettate dal regolamento statale affinché s’attivi la procedura di revoca) ed in subordine revoca per interesse pubblico (questo istituto per esser attuato necessita di norma ad hoc nel regolamento municipale, non essendo contemplato dalla vigente legislazione regionale).

    In relazione, inoltre, alle previsioni del Reg. reg. (Emilia-Romagna) 23 maggio 2006, n. 4, il cui art. 4 commi 4 e 5 richiama, facendolo salvo, l’art. 92, 2 dPR 10/9/1990, n. 285, sempre sul regime delle revoca della lett. e), si osserva come tale rinvio sia, nel caso, inapplicabile, poichè potrebbero esserne potenzialmente interessate unicamente le concessioni, di durata determinata ma superiore a 99 anni, mentre qui siamo in presenza di concessioni perpetue.

    Del resto, anche gli altri presupposti imprescindibili e concorrenti (avvenuto decorso di 50 anni dall’ultima tumulazione, grave insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno (laddove il “fabbisogno” altro non é se non la disponibilità di una superficie destinata alle sepolture ad inumazione in campo comune e dimensionata secondo i criteri di cui all’art. 58 (ed escluse le aree considerate all’art. 59) dPR 10/9/1990, n. 285, non sussistendo, in alcun caso, obblighi in capo al comune di assicurare una disponibilità di posti a sistema di tumulazione), impossibilità di provvedere alla realizzazione di un nuovo cimitero o all’ampliamento dell’esistente, sarebbero del tutto assenti.

    Nel solo caso di soppressione del cimitero, deliberata dal comune, la concessione perpetua, non è sottoposta a soli effetti caducativi, bensì si “trasforma”, nelle sua intima natura temporale.

    In tale evenienza, infatti, i concessionari, sempreché vi sia regolare atto di concessione, ex Art. 98 DPR n. 285/1990, hanno titolo ad ottenere, nel nuovo cimitero, un posto corrispondente (in superficie, e, quindi, non un ulteriore vano a sistema di tumulazione (il riferimento al solo lotto di terreno é collegato al fatto che, formalmente, sono previste unicamente concessioni di aree ai fini della costruzione, da parte dei concessionari, di sepolcri a sistema di tumulazione) nel nuovo cimitero, nonché alla traslazione dei feretri n dal cimitero soppresso al nuovo.

    La nuova concessione – nell’ipotesi – sarebbe per 99 anni per le concessioni perpetue o comunque eccedenti i 99 anni (mentre per le concessioni a tempo determinato, per la durata residua).

    Sia l’assegnazione della nuova area nel nuovo cimitero sia la traslazione dei feretri, é gratuita, mentre è a titolo oneroso per i concessionari la costruzione o riadattamento di costruzioni e/o manufatti, così come eventuali interventi sui feretri, che possano, eventualmente, essere richiesti al fine di assicurarne la perfetta tenuta o le condizioni per la traslazione ex Art. 88 DPR n. 285/1990.

    Non sembrerebbe, ad un’attenta lettura del quesito, esservi provvedimento comunale che abbia disposto o sancito la soppressione del cimitero, la quale richiederebbe, in ogni caso, l’avvenuta e preliminare realizzazione, e collaudo, di un nuovo cimitero, é, pertanto da escludere che le concessioni cui si fa riferimento possano essere oggetto di “ri-allocazione” in altro sito nel medesimo cimitero, fatta salva l’ipotesi che i concessionari, retrocedendo la concessione precedentemente posta in essere (e spogliandosi, così del “privilegio della perpetuità) non richiedano, del tutto spontaneamente, una nuova concessione, corrispondendo le tariffe attuali, domandando altresì il trasferimento dei feretri nella nuova concessione, con corresponsione delle relative tariffe ed assunzione a totale loro onere di ogni altro intervento che si renda eventualmente necessario ai fini della traslazione

    Il trasferimento, invece, di monumenti ed arredi funerari ogni onere é a carico dei concessionari, e, dette spese, non possono essere riversate neppure in parte, a carico del bilancio comunale, a pena di danno erariale e un simile comportamento così disinvolto da parte del pubblici amministratori determinerebbe il sorgere della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 93 T.U.E.L. _ di cui al D.Lgs n. 267/2000) (oggetto di segnalazione alla procura della Repubblica presso la sez. reg. della Corte dei Conti, ricordando come l’omessa segnalazione, o il suo ritardo, determini corresponsabilità nel danno patrimoniale).

    Quando il rapporto concessorio cessa e spira (per causa fisiologica o disfunzionale, qui poco importa) si procede d’ufficio all’estumulazione, altrimenti avremmo un’occupazione abusiva e “sine titulo”, ovvero illegittima, di un sepolcro privato.
    Come ha notato l’Agenzia delle Entrate con propria risoluzione n. 149/E dell?8 luglio 2003 il computo del termine di una concessione cimiteriale, se non diversamente disposto dal regolamento comunale o dall’atto di concessione, decorre dalla stipula del contratto di concessione. Tuttavia, non va dimenticata, ove espressamente indicata nel Regolamento comunale di polizia mortuaria, la possibilità che il conteggio degli anni cominci dal momento in cui inizi il materiale utilizzo della tomba (ad esempio: sepoltura) o, per talune fattispecie, anche quando si sia provveduto al versamento del canone concessorio stabilito perché si faccia luogo alla concessione stessa.

  4. Le perpetuità concesse prima del 1975, vengono convertite in concessione a 99 anni?
    In caso positivo, i 99 anni iniziano dalla data della tumulazione?
    Le concessioni perpetue, anche di loculi singoli, possono essere revocate passati 50 anni dalla tumulazione ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune?
    Con la decadenza della concessione occorre provvedere all’estumulazione giusto?
    ( Regione Emilia Romagna )

  5. X Nicola,

    quanti problemi, forse ingenerati da una cattiva politica cimiteriale, soprattutto negli anni passati!

    1) alla scadenza della concessione, max 99ennale, almeno a far data dal 10 febbraio 1976, quando, cioè, entrò in vigore il “vecchio” regolamento nazionale di polizia mortuaria di cui al DPR n. 803/1975, il rapporto concessorio può esser certamente rinnovato e ricostituito ai sensi dell’Art. 92 comma 1 DPR n.285/1990, si tratta, agli effetti concreti, di stabilirne uno del tutto nuovo, avente, però, come oggetto fisico, lo stesso manufatto sepolcrale. Alcuni comuni, invece, ragionano in termini di semplice proroga del precedente contratto di concessione.
    Ex Art. 337 Testo Unico Leggi Sanitarie il fabbisogno cimiteriale che ogni comune è tenuto a garantire alla propria popolazione è rappresentato da almeno un reparto, di idonee proporzioni, a sistema di inumazione. Le tumulazioni tutte, quindi, cellette ossario comprese, si configurano sempre come sepolcri privati nei cimiteri, e sono, allora, sepolture che il comune può facoltativamente concedere, senza alcun obbligo, purchè previste dal piano regolatore cimiteriale ex Art. 91 DPR n. 285/1990.
    2) Ai sensi della Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10, e soprattutto dell’Art. 3 commi 5 e 6 DPR n.254/2003 un feretro estumulato può esser alternativamente: a) ri-tumulato nello stesso loculo o in altra cella sepolcrale, b) cremato o c) inumato nel campo indecomposti di cui all’Art. 58 comma 2 DPR n. 285/1990. Stop! Altre soluzioni più fantasiose non sono ammesse dalla Legge.
    3) In parallelo con il punto 2) si rileva come le ossa provenienti da operazioni cimiteriali di esumazione/estumulazione possano solo esser: a) cremate ( —> con successiva destinazione delle ceneri) b) raccolte in cassetta ossario di cui all’Art. 36 DPR n. 285/1990 per esser tumulate ex Art. 85 DPR n. 285/1990 , C) disperse in ossario comune, di cui all’Art. 67 DPR n.285/1990. Le ossa, di conseguenza, nemmeno temporaneamente, possono esser inumate, in attesa di decidere sulla loro sistemazione.
    La tumulazione illegittima, ossia senza un titolo concessorio o, comunque, scaduto è tecnicamente un “ab-uso”, da sanare quanto prima, perchè con essa si ha un’occupazione “uti singuli” dei loculi, tra l’altro a titolo gratuito, ancorchè provvisorio, quando è notorio come le concessioni cimiteriali tutte siano sempre a titolo oneroso giusta il combinato disposto tra gli Artt. 95 e [retroattivamente] 103 DPR n. 285/1990.
    A tal proposito ben vedrei la individuazione di una norma transitoria, contenuta nel regolamento comunale di polizia mortuaria da pubblicizzare opportunamente, che preveda un giusto lasso di tempo (ad es. 3-4 anni) entro il quale regolarizzare le posizioni pendenti. Decorso tale termine il diritto d’uso sui sepolcri cessa davvero e definitivamente e quindi si attivano le procedure per il rientro dei loculi nel pieno possesso del comune, il quale, poi provvederà a riassegnarli nuovamente sulla base di un formale e legittimo atto di concessione ex Art. 98 DPR n. 285/1990. Attenzione: le eventuali modifiche al regolamento comunale, per riuscire efficaci, sono, pur sempre, sottoposte all’Omologazione Ministeriale ex Art. 345 Testo Unico Leggi Sanitarie.

  6. Gentile Carlo
    la ringrazio per la risposta competente e chiara.
    L’unico dubbio che resta è l’inerzia del Comune.
    Gli eredi in passato, non tutti, si sono presentati presso gli uffici competenti, ma non hanno potuto mai rinnovare perchè non c’erano loculi liberi in cimitero, condizione necessaria prevista dal regolamento, nè tantomeno ossari per tumulare le ossa.
    Il Comune non si è neanche pensato di poter inumare temporaneamente i resti ossei, rimandando ad anni futuri le eventuali scelte da fare.
    Gli eredi in questione rimarcano la faccenda.
    La situazione è chiaramente ricostruibile da atti dell’amministrazione, ma del dialogo o delle risposte con gli utenti, ovviamente non c’è carta scritta…

    che ne pensa?
    grazie, nicola

  7. X Nicola,

    L’estumulazione si effettua legittimamente all’esaurirsi del rapporto concessorio, per causa naturale o disfunzionale qui poco importa, la Legge Nazionale(DPR n.285/1990) non fissa per il comune nessun obbligo di comunicazione (quanto mai opportuna al fine di prevenire il sorgere di possibili contenziosi), se mai nel suo silenzio, dinanzi all’agire d’ufficio della pubblica amministrazione concedente, per prevalenti ragioni d’interesse pubblico, come l’ordinata gestione ed il buon governo del cimitero, si invertono le posizioni e sono i signori concessionari a doversi attivare, su proprio impulso, presso gli uffici della polizia mortuaria per stabilire una nuova destinazione delle spoglie mortali in via di estumulazione ordinaria e sostenere i relativi costi.

    Il disinteresse in caso di tumulazione in scadenza potrebbe configurarsi come:

    a) irreperibilità del concessionario o dei congiunti del de cuius (mancanza di congiunti oltre il sesto grado di parentela, estinzione della famiglia, abbandono amministrativo della tomba…)
    b) animus inequivocabile e pervicace degli stessi, seppur presenti, di non voler proprio provvedere con oneri a proprio carico alla sistemazione della tomba scaduta e dei resti mortali estumulati da essa, in tal caso data la facilità d’imputazione delle spese di gestione cimiteriale, in capo a soggetti facilmente determinati, determinabili o individuabili (c’è, comunque, un atto di concessione attraverso cui risalire agli obbligati) per vincere eventuali, pretestuose ed irragionevoli resistenze, si consiglia di ricorrere agli usuali strumenti civilistici di ripetizione/recupero coattivo del credito o alla procedura d’iscrizione a ruolo di cui al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, come modificato con D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 326 e si veda, anche. il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, come modificato dal già citato D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 326

    Per il termine di prescrizione della responsabilità contabile: Art. 93 T.U.E.L. – di cui al D.Lgs n.267/2000 – (ricordando come l’omessa, o ritardata, segnalazione al Procuratore della Repubblica c/o la sez. reg. della Corte dei Conti importi responsabilità in solido).

    Per i periodi ormai perenti, si i ricordano i termini di prescrizione – art. 2948, comma 1, n. 3 – (per analogia) Cod. civile, in tema di mancata riscossione del canoni concessori cimiteriali.

    Salvi i lassi temporali caduti in prescrizione, forse la strategia più logica sarebbe quella di applicare, pro rata annuale (vedi il criterio, di portata generale, dell’art. 4 DM 1/7/2002), le tariffe vigenti nei singoli anni di ‘occupazione’ illegittima del manufatto, oltre agli intessi al saggio legale ( artt. 1277 e 1284 Codice Civile).

    Sull’individuazione del debitore, va seguito il criterio delle persone che hanno/avevano titolo a disporre della salma, cioè il coniuge, in difetto i parenti nel grado piu’ prossimo e in caso di pluralita’ tutti (in termini di solidalita’ ex Art. 1292 Cod. Civile), per gli atti di disposizione sui resti mortali estumulati, mentre le spese necessarie a riattare il sepolcro (estumulazione e conseguenti operazioni comprese) sarà posta in carico al concessionario o suoi aventi causa, eventualmente subentrati nella titolarità della concessione.

    Ovviamente, non va omessa la segnalazione alla sez. reg. della Corte dei Conti.

    A fronte della lacuna legislativa esistente (L’Art. 1 comma 7-bis Legge 28 febbraio 2001 n. 26 rapporta l’onerosità generalizzata del servizio cimiteriale alle sole pratiche di cremazione ed inumazione) e delle correlate difficoltà di una sua corretta decodifica, si suggerisce, pertanto, al Comune di disciplinare, nel proprio regolamento di polizia mortuaria, la questione dell’onerosità o meno delle operazioni conseguenti alle estumulazioni ordinarie; in ultima istanza, dopo questo dettagliato esame, prescinderei persino dall’art. 1 comma 7-bis L. n. 26/2001, e dall’analogia legis sin qui invocata, perché un simile principio sussisteva, implicitamente, anche prima di tale norma positiva. Infatti, trattandosi le tumulazioni tutte di sepolcri privati, ogni onere altro non può essere se non a carico dei familiari/concessionari, siccome non si può proprio ammettere che tale tipologia di sepoltura privata comporti oneri a carico del bilancio comunale (Art. 93 D.Lgs n.267/2000?); mai e in nessun frangente. A fortiori ratione oggi sono, pertanto, (ma erano così già prima), a titolo oneroso le estumulazioni, le spese di pulizia e sanificazione del loculo, la sostituzione della lapide (in maniera che, dal giorno successivo alla scadenza possa esservi assegnazione a terzi), l’onere dell’inumazione post-estumulazione, l’eventuale cremazione, incluse le operazioni di collocamento nell’ossario comunale, quando possano lecitamente eseguirsi (Art. 87 D.P.R. 285/90 ed Art. 410 Cod. Penale, ma anche, per converso, Cass. Penale Sent. n.958/1999) L’onere grava sul concessionario per le prime, mentre per le seconde sul coniuge o, se manchi, sui parenti nel grado più prossimo e, nell’eventualità di pluralità, tutti solidalmente sono obbligati. Non si dimentichi come le concessioni cimiteriali, quale ne sia la tipologia e la specie, costituiscano sempre sepolcri privati nei cimiteri, con conseguente “sottrazione” del relativo spazio cimiteriale alla fruizione da parte della comunità locale, da questo dato oggettivo consegue come non possano derivarne, in alcun caso, oneri a carico del comune, neppure per quanto riguarda il necessario recupero delle spese gestionali cimiteriali.

  8. Gentile Carlo, lavoro in un comune del veneto e in merito alla risposta del quesito https://www.funerali.org/cimiteri/la-decadenza-delle-concessioni-cimiteriali-915.html/comment-page-1#comment-20692, relativamente alla prescrizione sulle concessioni, vorrei capire come potersi comportare in situazioni in cui le concessioni sono scadute anche da più di 10 o 20 anni…

    come ha già spiegato chiaramente nel caso di concessione trentennale scaduta e mai rinnovata, se gli eredi intendono estumulare i resti dovrebbero accolarsi le spese dell’operazione cimiteriale. dovrebbero anche pagare il periodo di occupazione “illecita” del loculo, sebbene si possa provare l’inerzia del Comune a non attivarsi mai per sistemare la situazione.
    domande:
    1. questo deve succedere anche in casi di disinteresse?
    2. Può il comune decidere di prescrivere una parte del credito agli eredi, facendogli pagare solo 5 annualità retroattive dalla data odierna? O la prescrizione ai sensi dell’Art. 2948 C.C. estingue completamente dopo 5 anni ogni eventuale richiesta di pagamento?

    note:
    1. nel regolamento comunale non si cita nulla a riguardo
    2. Il comune non ha mai effettuato azioni dirette di avviso ai parenti o ai concessionari

    la ringrazio sentitamente.
    nicola

  9. X Manuela,

    il rinnovo della concessione in scadenza è un’opzione esperibile, per prolungare nel tempo il rapporto concessorio prossimo ad esaurire i propri effetti, vale a dire che trattasi sempre di una semplice facoltà e non di un obbligo, di cui il concessionario, se vuole, può avvalersi o meno, a sua completa discrezione.

    Se non si procede alla proroga della concessione (rifiuto, disinteresse manifesto o silenzio del concessionario oltre il termine ultimo stabilito dal regolamento comunale di polizia mortuaria) il comune provvederà d’ufficio all’estumulazione imputando (questo sì è corretto ed anzi doveroso) i relativi costi dell’operazione al concessionario stesso. Le cellette a sistema di tumulazione, infatti, si configurano sempre come SEPOLCRI PRIVATI nei cimiteri e tutti gli oneri per liberare la nicchia, sanificarla, rimuovere la lapide, affinché si possa dal luogo poi, ad una nuova concessione dello stesso manufatto, gravano ordinariamente ed in modo inevitabile, sul concessionario, salvo diverse disposizioni o clausole contenute nell’atto di concessione.

  10. Buona sera, domanda banale ma non tanto…
    A un mio collega, è stata recapitata una RR da parte del comune dove sono sepolti i suoi bisnonni. Premetto che sono sepolti in ossario/cellette.
    (per completezza, Comune di Borgomanero, provincia di Novara, Piemonte)

    Venendo al dunque…il suddetto comune, richiede il rinnovo per la suddetta celletta , per un contratto stipulato dal nonno del ragazzo il 19-9-1984 (scadenza 19-9-2014).

    Il nonno, è defunto nel 1999, il padre nel 2014.

    Resta solo lui, inconsapevole addirittura del posizionamento e dell’esistenza di suddetta celletta. (nato nel 1991 e vive a circa 200 km dal comune dove sono sepolti i resti dei bisnonni)

    Ora io ho consigliato di sentire il Comune per avere informazioni, ma a grandi linee…
    Che “diritto” ha il Comune di imporre il tacito rinnovo della cessione, se il ragazzo non ha possibilità economiche , interesse nel rinnovare eccetera (non entriamo nei dettagli spirituali, ognuno crede in ciò che vuole)…??

    So di altri comuni che in questi casi procedono alla estumulazione “d’ufficio” e ripongono le ossa in ossario comune…possibile che non vi sia una “legge” STATALE e non COMUNALE, che obblighi questo per chi non può/vuole procedere al rinnovo?!?!?

    Premetto che leggendo di sfuggita la notifica, si evince che vi è possibilità di rinuncia…previo pagamento di una somma che, pare essere pure superiore al rinnovo trentennale…

    Consigli?

    (sfogo personale per questo povero ragazzo che prende 700 euro al mese con moglie in cassa integrazione e una bimba di 2 anni…in casa non di propietà… …certo che l’italia sotto un certo punto di vista…..fa propio pena…se fosse obbligato a pagare, potrei prestarglieli io…anche a fondo perduto…ma possibile che non vi sia una soluzione?!?)

    Grazie mille….
    Manuela

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