Son questi tempi cupi. Dove la morte sembra prevalere sulla vita.
Quando l’ingiustizia sembra fregarsene di ogni regola.
Dove il più forte, il potente, sembra prevaricare chi è nel giusto.
Perché affronto questo argomento proprio oggi?
Perché questo è uno spazio web in cui si discute di morte, del morire, delle regole e dei fatti che lo riguardano.
E così, in questo giorno in cui è palese il prevalere della prepotenza nei confronti della speranza, non posso non ricordare l’origine di questa mia avventura (in Antigone, n.1 del 1989).
Ricordo ancora con emozione, dopo oltre trentacinque anni, l’editoriale scritto dall’amico e direttore, ora defunto, Guido Bianchini.
Un grido di libertà contro le angherie di ogni tipo, a difesa della richiesta di giustizia da qualunque parte essa provenisse.
E il simbolo stesso era il nome della prima rivista italiana in materia funeraria: “Antigone”.
In cui il contenuto dell’editoriale del primo numero era dedicato a ciò che fece Antigone: seppellire le spoglie mortali del fratello Polinice, che era stato dichiarato nemico della città di Tebe e condannato a non ricevere una sepoltura degna, contro l’ordine del re Creonte.
Antigone trasgredisce la legge, l’ordine di Creonte, per rispetto dei riti religiosi e per legame fraterno.
Per chi non conoscesse la tragedia greca di Sofocle riporto un breve commento della sola parte d’interesse.
Dopo che Antigone ha confessato senza imbarazzo a Creonte di aver gettato polvere sul cadavere insepolto del fratello Polinice e di aver fatto la rituale libagione funebre, il re di Tebe procede col suo interrogatorio incalzante,
appoggiato dal giudizio del Coro.
Creonte, angosciato dal timore di lasciarsi vincere da una donna, conclude con una condanna non solo di Antigone “anche se è figlia di mia sorella” (vv. 486-489) — aveva precisato —, ma pure di Ismene.
Antigone però non si lascia intimorire dalle sue parole, ma sostiene decisamente il suo punto di vista e le ragioni del suo comportamento.
Quando Creonte le fa notare, fra l’altro, che “L’uomo perbene non è uguale al malvagio nell’ottenimento degli onori funebri” (v. 520), Antigone ribatte con una domanda, la cui risposta è implicita:
“Chi sa se nel mondo di sotto queste cose sono conformi alla volontà divina?”
… omissis …
Al che Creonte emette una sentenza ultimativa: “Mai un nemico, neppure se sia morto, è amico»
(NdR: che ricorda tanto quel che sta succedendo in tante guerre che si combattono in questo mondo)
A questa sentenza di Creonte Antigone contrappone un verso, divenuto famoso per la sua enigmaticità:
Οὔτοι συνέχθειν, ἀλλὰ συμφιλεῖν ἔφυν
che possiamo tradurre come:
NON PER ODIARE SONO NATA, MA PER AMARE
tratto da “La sorella e lo zio di Polinice: l’invito di Antigone a Creonte” di G. Arrigoni
Anche oggi, ricordando queste parole e quella scelta di campo, non posso che ribadire che chi è nel giusto non deve temere di sostenerlo.
Che occorre contrastare categoricamente chi irride coloro che credono in un mondo migliore e che cercano di cambiarlo.
Che non si deve aver paura di sostenere le proprie idee!
Ecco il testo dell’editoriale di Guido Bianchini, nel n. 1/89 di Antigone