TAR Campania, Napoli, Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 562

TAR Campania, Napoli, Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 562

MASSIMA
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 562
In materia di fascia di rispetto cimiteriale, come chiarito da costante e condivisa giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, e TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 18 ottobre 2019, n. 4978) la fascia cimiteriale di inedificabilità si impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, a prescindere da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, che non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sull’esistenza o sui limiti di siffatti vincoli. Per questo, il vincolo, di natura conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica.
NORME CORRELATE
Pubblicato il 05/02/2020
N. 00562/2020 REG.PROV.COLL.
N. 03893/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3893 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Antonio B., rappresentato e difeso dall’avvocato Sabino Antonino Sarno, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Loreto in Napoli, via Giordano Bruno n.169, con il seguente recapito digitale: avv.sabino.sarno@legalmail.it;
contro
Comune di Portici, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Irene Coppola, Rosanna Russo, con i seguenti recapiti digitali: irenecoppola@pec.comuneportici.it; rosannarusso@pec.comuneportici.it;
per l’annullamento
A) quanto al ricorso introduttivo:
dell’ordinanza n.164 (prot. n. 29179), notificata il 23 maggio 2016, con la quale l’amministrazione comunale di Portici ha ingiunto la demolizione di opere edilizie realizzate abusivamente.
B) quanto al ricorso per motivi aggiunti:
dell’ordinanza dirigenziale n. 469 (prot. n. 71743), notificata il 14 dicembre 2016, con la quale l’amministrazione comunale di Portici ha ingiunto la demolizione di opere edilizie realizzate abusivamente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Portici;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019, il dott. Gianmario Palliggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Col ricorso introduttivo, notificato il 19 luglio 2016 e depositato il successivo 6 settembre, B. Antonio ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 164 notificata il 23 maggio 2016.
Con tale ordinanza, l’amministrazione comunale di Portici aveva ingiunto al ricorrente, in qualità di comproprietario e committente dei lavori, la demolizione, ai sensi dell’art. 33 d.p.r. 380/2001, di opere abusive nell’unità immobiliare sita alla Via San Gennariello n. 8.
Le opere riscontrate consistevano esattamente in:
– sul lato corto prospiciente il giardino, diminuzione della superficie del manufatto di circa mq. 12,00 rispetto alla planimetria catastale;
– sulla facciata prospiciente il giardino, esecuzione di una modifica delle bucature e precisamente trasformazione del varco finestra centrale in vano di passaggio nonché dell’ultimo vano di passaggio a sinistra in vano finestra;
– nello spiazzo antistante il fabbricato prospiciente il giardino, realizzazione, per una superficie di circa mq. 60,00 di un massetto di cemento;
– all’interno dell’unità immobiliare, diversa distribuzione degli ambienti interni con demolizione e spostamento di pareti.
2.- Precedentemente alla notifica dell’odierno ricorso introduttivo, perveniva all’amministrazione comunale nota prot. n. 40467 del 7 luglio 2016 dell’avv. Sarno, procuratore del ricorrente, con allegata perizia tecnica di parte, nella quale si evidenziava l’errore commesso dagli accertatori dell’Ufficio tecnico e della Polizia municipale nell’individuare l’immobile interessato.
Sull’area infatti insistono due distinti manufatti, benché uniti da una tettoia, entrambi a forma di “L” e posti in successione sul vialetto esterno privato con ingresso da Via San Gennariello n. 8.
L’ordinanza n. 164/2016 si riferisce erroneamente al manufatto individuato al catasto al Foglio 1, particella 675, sub 1, mentre quello interessato avrebbe dovuto essere il manufatto retrostante, individuato al catasto alla sub-particella 2, medesimi Foglio 1 e particella 675, sub 2, edificato su area di corte.
L’esigenza di accertare la legittimità di quest’ultimo manufatto, benché non esattamente chiarito da alcuna delle parti in causa, sorge con tutta probabilità dal riscontro cartografico condotto dall’amministrazione comunale a seguito della presentazione, ad iniziativa dello stesso ricorrente, di planimetria catastale dell’unità immobiliare in questione, acquisita al protocollo dell’Agenzia del Territorio al n. NA0269618 del 1° luglio 2016.
Per questo, con nota prot. n. 48295 del 31 agosto 2016, il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale invitava il ricorrente a fornire “documentazione attestante la liceità del manufatto oggetto di contestazione”.
Nel frattempo, con relazione prot. n. 48923 del 5 settembre 2016, il Responsabile dell’ufficio tecnico comunale, nel rilevare l’equivoco a fondamento dell’ordinanza n. 164/2016, ne proponeva la revoca al Dirigente Politiche del Territorio.
In risposta alla richiesta dell’amministrazione prot. n. 48295/2016, il ricorrente inviava nota prot. n. 57844 dell’11 ottobre 2016, con allegata planimetria catastale e copia della revisione del 1955 dell’estratto di mappa di zona, documenti dai quali, a suo avviso, si ricaverebbe la preesistenza del manufatto almeno sin dal lontano 1955 e, comunque, anteriormente al 1967.
3.- L’amministrazione comunale, tuttavia, al contrario delle affermazioni del ricorrente, non deduceva la pregressa esistenza del manufatto, e pertanto:
– con ordinanza n. 321 (prot. n. 49759) dell’8 settembre 2016, disponeva la revoca dell’ordinanza n. 164/2016;
– con relazione tecnica prot. n. 60873 del 21 ottobre 2016, riferiva circa gli esiti del nuovo sopralluogo e degli accertamenti svolti nell’unità immobiliare alla Via San Gennariello;
– con nota prot. n. 60873 del 24 ottobre 2016, comunicava al ricorrente, ai sensi dell’art. 8 L. n. 241/1990, l’avvio del procedimento volto alla demolizione del manufatto, cui seguivano osservazioni scritte prot. n. 66301 del 17 novembre 2016 e prot. n. 66959 del 21 novembre 2016, reputate tuttavia non satisfattive;
– con ordinanza n. 469 del 13 dicembre 2016, ingiungeva, in questo caso ai sensi dell’art. 31 d.p.r. 380/2001, la demolizione dell’intero manufatto riscontrato, in quanto privo di titolo edilizio.
4.- Avverso quest’ultima ordinanza, B. Antonio ha proposto ricorso per motivi aggiunti, notificato il 10 febbraio 2017 e depositato il successivo 7 marzo.
Resiste in giudizio il Comune di Portici; con memoria depositata il 19 settembre 2019, ha illustrato le ragioni per i quali il ricorrente sarebbe addirittura carente d’interesse per mancanza di legittimazione attiva in quanto l’area ed i manufatti di Via S. Gennariello 8 sarebbero di proprietà del comune stesso.
Al riguardo, nel ricostruire la complessa vicenda, l’amministrazione resistente riferisce che, con ordinanza n.77 del 7 marzo 2002, prot. 20443, al fine di proseguire i lavori di ampliamento del civico cimitero e di cui ai Decreti di esproprio n.168/78 e 22/1980 e successivi atti di cessione volontaria, ordinava ad horas a Izzo Maddalena – madre dell’odierno ricorrente – lo sgombero dell’abitazione alla Via S. Gennariello n.8, dalla medesima occupata senza titolo, liberandola di persone e cose.
Avverso detta ordinanza, Izzo Maddalena proponeva ricorso davanti a questo TAR, iscritto al R.G. n. 5798 del 2002, per l’annullamento.
Con Ordinanza cautelare n. 3000/2002 la Quinta Sezione del TAR rigettava la domanda di sospensione del provvedimento impugnato ritenendo, altresì, sotto il profilo del fumus boni juris, l’infondatezza dell’usucapione vantata dalla ricorrente. L’ordinanza era confermata in sede di appello innanzi al Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare n. 3311/2002.
Il giudizio davanti al TAR, per inerzia della ricorrente Izzo Maddalena, in seguito deceduta nonché del figlio, odierno ricorrente, nella qualità di erede, veniva dichiarato perento con Decreto presidenziale n. 4905/2013.
Per l’effetto delle pronunce innanzi riferite, l’area ed i manufatti di Via S. Gennariello 8 risulterebbero quindi di proprietà del Comune di Portici, in ragione del riferito procedimento di esproprio per pubblica utilità e per la consolidata efficacia del provvedimento di sgombero, ragion per cui il ricorrente, erede di Izzo Maddalena, perseverebbe nell’occupazione senza titolo in danno dell’amministrazione.
Peraltro, riferisce sempre il comune, l’odierno ricorrente, con atto pubblico notarile dell’11 novembre 201, ha donato alla moglie le sue proprietà che dichiara pervenutegli “per maturata usucapione in forza di possesso pacifico, ininterrotto, pubblico ed animo domini da oltre il ventennio”, pur a fronte di provvedimenti giudiziari che ne avrebbero accertato l’infondatezza e, dunque, l’inesistenza dei presupposti per l’usucapione (cfr richiamati ordinanza TAR Campania, Napoli, n. 3000/2002 e Decreto di Perenzione n. 4905/2013).
Di qui l’assenza di interesse alla decisione per carenza di legittimazione attiva.
Fa presente infine l’amministrazione comunale che il ricorrente risulta imputato dei reati di abusi edilizi come da Decreto di Citazione (prodotto agli atti), nel giudizio pendente innanzi al Tribunale Penale di Napoli, IV Sezione penale per i fatti accertati il 16 marzo 2016.
5.- Replica sul punto il ricorrente con memoria depositata il 20 novembre 2019, nella quale fa presente che la Quarta Sezione penale del Tribunale di Napoli con sentenza n. 11251 del 12 novembre 2019, a conclusione del sopra indicato giudizio penale, sorto a seguito della segnalazione che ha condotto all’adozione dei provvedimenti amministrativi in questa sede impugnati, avrebbe accertato la preesistenza di entrambi i manufatti, compreso quello contestato.
6.- La causa è stata quindi inserita nel ruolo dell’udienza pubblica del 26 novembre 2019; dopo dichiarazione, da parte del ricorrente, del permanere dell’interesse alla decisione, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1.- In via preliminare, il Collegio deve esaminare l’eccezione del comune d’inammissibilità del ricorso e dei relativi motivi aggiunti per carenza d’interesse, conseguente alla non legittimazione attiva del ricorrente in quanto non più proprietario dell’area sul quale insistono i manufatti, oggetto delle due impugnate ordinanze, ormai espropriata dall’amministrazione per ragioni di pubblica utilità.
1.1.- La censura non è fondata.
Si osserva che proprio il comune di Portici, smentendo se stesso, con entrambe le ordinanze impugnate, indica il ricorrente come “comproprietario e committente”, ed in queste qualità gli ingiunge la demolizione avvertendolo in merito all’adozione a suo carico degli ulteriori provvedimenti di legge in caso d’inottemperanza.
Ciò risponde alle prescrizioni contenute all’art. 31, comma 2, d.p.r. 380/2001, secondo cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione d’interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali, ingiunge non solo al proprietario ma anche al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione.
Il ricorrente, a prescindere dalla circostanza di non essere più proprietario dell’area e dei relativi manufatti, circostanza comunque asserita in questa sede dall’amministrazione comunale ma non pienamente dimostrata, è comunque il soggetto al quale l’amministrazione ricollega e quindi imputa gli interventi abusivi contestati, tanto da essere il destinatario delle due ordinanze impugnate.
Vi è quindi legittimazione del ricorrente, quanto meno come responsabile presunto degli abusi contestati, a ricorrere quanto meno per evitare gli effetti diretti ed indiretti collegati ad un provvedimento sanzionatorio.
2.- Può quindi passarsi all’esame di merito della causa.
Il ricorso introduttivo risulterebbe in astratto fondato, posto che, come ammesso dalla stessa amministrazione comunale, l’ordinanza n. 164/2016 si basa su un palese errore di fatto nell’identificazione dell’immobile oggetto dei rilevati abusi.
Proprio per questo, il comune ha attivato il procedimento in autotutela per rimuovere la predetta ordinanza n. 164/2016, fino ad annullarla con ordinanza n. 321/2016 e ad emettere la nuova ordinanza 469/2016, con la quale ha esattamente identificato il manufatto interessato, riscontrato come totalmente abusivo.
Pertanto, il comune, avvedutosi dell’errore, non ha mantenuto né tantomeno rinnovato, con diversa ordinanza, l’ingiunzione a rimuovere le opere rilevate sul primo manufatto, chiaro ed inequivoco segno che i rilievi sono stati nei fatti superati e che non vi è più alcuna intenzione di perseguire i presunti abusi.
Sicché, a questo punto, venuta meno l’ordinanza n. 164/2016 ed avendo la nuova ordinanza n. 469/2016 un diverso oggetto – in quanto relativa al secondo manufatto, contestato non per il compimento di interventi abusivi ma per essere esso stesso privo di titolo autorizzatorio – risulta cessata la materia del contendere relativamente al ricorso introduttivo.
Ne consegue che l’esame del Collegio può direttamente dirigersi sul ricorso per motivi aggiunti, sul quale si concentra il reale interesse alla decisione.
2.- Col ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente formula un’unica articolata censura, la quale, nel dedurre la violazione dell’art. 33 (rectius, 31) d.p.r. n. 380/2001 nonché del Regolamento urbanistico edilizio del Comune di Portici, rileva l’eccesso di potere per sviamento dell’azione amministrativa e dei presupposti di fatto.
In sintesi, il ricorrente osserva che il fabbricato, individuato nella nuova ordinanza n. 469/2016, sarebbe in realtà preesistente, come testualmente asserito dal personale di Polizia municipale e dell’Ufficio tecnico comunale di Portici sia nel verbale di sequestro del 16 marzo 2016 sia nella relazione tecnica istruttoria prot. n. 17568 di pari data.
La coincidenza tra il preesistente e l’attuale stato dei luoghi sarebbe peraltro riscontrabile dalla planimetria catastale della zona effettuata nel 1955 (estratto di mappa e cosiddetta “vax” trasmessa dal ricorrente con nota prot. n. 57844 dell’11 ottobre 2016) nella quale i due fabbricati appaiono rappresentati in un’unica sagoma senza soluzione di continuità.
Infatti, i due fabbricati, benché materialmente distinti e separati, risultano uniti da una tettoia di copertura, volta a proteggere una piccola area intermedia, pavimentata con antiche piastrelle.
Ciò sarebbe comprovato anche dall’elaborato planimetrico dei sub 1 e 2 allegato al DOCFA di aggiornamento presentato al catasto per inserire la planimetria catastale mancante del fabbricato in questione ed individuato come sub 2; questi documenti, in assenza di altri elementi certi e oggettivamente probatori, sarebbero di per sé sufficienti a documentare la legittimità del fabbricato in contestazione anche perché graficamente tra i più precisi; argomento tanto più sostenibile laddove si osservi che la Legge 2 febbraio 1960 n. 68 attribuisce alle carte catastali il ruolo di componente della cartografia ufficiale dello Stato.
Peraltro, la precedente ordinanza n. 164/2016 – annullata, com’è noto, con la successiva ordinanza n. 321/2016 e sostituita con ordinanza n. 469/2016, per evidenti errori da parte del funzionario tecnico comunale – è fondata esclusivamente sulla planimetria catastale della zona, sulla planimetria dell’immobile e sulla visura catastale, come risulta testualmente anche dalla relazione tecnica prot. n. 17568 del 16 marzo 2016, senza che vi sia traccia delle aerofotogrammetrie del 1964 e del 1998 le quali, al contrario, sono richiamate ed utilizzate nella nuova ordinanza n. 469/2016.
In ogni caso, l’attendibilità del rilievo aerofotogrammetrico, basato sull’uso della fotografia aerea, sarebbe sempre condizionata – in particolare se remota – da una molteplicità di fattori (tecnologici, come la maggiore o minore risoluzione, ambientali, come i fenomeni di rifrazione, la presenza di vegetazione che può schermare le costruzioni, etc.).
Per di più, nel caso di specie, sostiene sempre il ricorrente le aerofotogrammetrie non avrebbero carattere esaustivo, con particolare riferimento a quella del 1998, riportata in allegato con le relative annotazioni. Questo perché:
1) il secondo fabbricato ad L preesistente (e posteriore a quello oggetto della prima ordinanza) è raffigurato con una sagoma sbagliata in cui le tettoie sono rappresentate erroneamente come manufatti costituenti un tutt’uno con il fabbricato stesso; analogo discorso vale per il primo fabbricato posto alla sinistra dell’ingresso ed abitato dal ricorrente;
2) l’antico forno murario esistente (cfr foto n. 4) non è in alcun modo rappresentato risultando erroneamente assente;
3) due lati del secondo fabbricato ad L, posteriore rispetto a quello oggetto dell’ordinanza di demolizione, risultano raffigurati secondo una lunghezza pari a 8,30 metri e 2,60 metri mentre, in realtà, sono pari rispettivamente a 5,20 metri e 5,19 metri, come rilevabile in loco;
4) nella proprietà adiacente a monte di quella del ricorrente è assente qualsiasi indicazione e rappresentazione delle tettoie ivi esistenti sia in prossimità del portale murario (cfr foto n. 7) sia a confine con l’immobile abitato dal ricorrente medesimo (cfr foto n. 5-6);
5) infine, sullo spiazzo antistante il fabbricato in questione, non sarebbe stato realizzato alcun massetto in cemento di 60 mq bensì il semplice ripristino superficiale del massetto esterno dell’area di accesso antistante, la cui preesistenza sarebbe confermata dal cordoletto di delimitazione e di separazione dal giardino di fronte (cfr foto n. 8). In ogni caso, il massetto, laddove destinato a pavimentazione permeabile ovvero di finitura permeabile di spazi esterni pertinenziali, non sarebbe in contrasto con le norme e le prescrizioni del Piano Regolatore Generale per la zona B e del Piano Territoriale Paesistico per la Zona RUA in cui ricade l’immobile in questione, ed è indicato come rientrante tra le attività di edilizia libera nelle tabelle esplicative di cui al recente d. lgs 222/2016 (Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124).
In base a quanto precede, tenuto conto della realtà documentale e dei luoghi, deriverebbe, ad avviso del ricorrente, che il manufatto oggetto dell’ultima ordinanza di demolizione è preesistente almeno sin dal 1955 presentandosi attualmente identico alla conformazione originaria dell’epoca.
3.- Il ricorso per motivi aggiunti è infondato.
3.1.- Le argomentazioni del ricorrente, per quanto articolate e suggestive, omettono di considerare l’aspetto decisivo della questione controversa, ossia l’omessa incontrovertibile dimostrazione, a suo carico, circa la preesistenza del manufatto, almeno a partire dal 1967.
Ebbene, sulla base della relazione di sopralluogo prot. n. 60405 del 21 ottobre 2016, eseguita dai tecnici del comune emerge che, nell’area interessata:
– secondo le fotogrammetrie del 1964 insistevano delle tettoie, presumibilmente ad uso agricolo;
– secondo la successiva fotogrammetria del 1998, risulta un manufatto di circa mq 17,00 ed in aderenza una tettoia;
– allo stato delle verifiche in loco, nell’area insiste un manufatto a forma di L, composto da un piano fuori terra con struttura in muratura e solaio in ferro e tavelloni, avente una superficie di circa mq 42.00.
Quest’ultimo, presente nella sua struttura completa e definita, mancante dei soli infissi interni ed esterni, è privo di titolo abilitativo, senza che il ricorrente, in senso contrario, abbia fornito esaustiva e chiara dimostrazione circa l’epoca in cui il fabbricato fu effettivamente costruito ovvero trasformato nella sua attuale consistenza.
A ciò deve aggiungersi che, nello spiazzo antistante il manufatto, è presente un massetto in cemento di circa 60,00 metri quadri, la cui preesistenza è solo argomentata deduttivamente dal ricorrente con l’esistenza del cordoletto di delimitazione e di separazione dal giardino di fronte, senza, anche in questo caso, una inequivoca dimostrazione che non vi sia stato nei fatti edificazione abusiva di superficie.
E’ per questa ragione che l’amministrazione comunale, dalla lettura dell’estratto di mappa consegnato dal ricorrente nel corso del contraddittorio procedimentale in data 11 ottobre 2016, anche a volere ammettere a tutto concedere la preesistenza del manufatto, ha rilevato una difformità sostanziale, nei volumi e nelle superfici, tra la sagoma riportata in mappa e quanto rilevato sul luogo.
L’assunto circa la preesistenza del manufatto non è quindi assistito da una prova efficace che dia certezza circa l’epoca esatta della sua edificazione, non essendo allo scopo esaustivi i documenti prodotti nel contraddittorio procedimentale né mostrandosi risolutive la visura catastale storica e la planimetria dell’unità immobiliare, quest’ultima redatta di recente nel 2016.
3.2.- Come osservato al riguardo da consolidata e condivisa giurisprudenza, anche di questa Sezione (cfr. sentenza del 27 agosto 2016 n. 4108), l’amministrazione comunale, quale condizione di legittimità per l’irrogazione della sanzione, non deve fornire prova certa dell’epoca in cui l’abuso è stato realizzato, essendo posto in capo al proprietario o al responsabile dell’abuso l’onere di dimostrare il momento in cui il manufatto è stato costruito (cfr. sentenza 10 ottobre 2017, n. 4732, con riferimento specifico all’onere di provare la costruzione dell’immobile ad epoca anteriore alla legge n. 765/1967 cd Legge ponte).
Peraltro, si osserva che la relazione tecnica del perito di parte, allegata alla nota di chiarimenti fornita dal ricorrente all’amministrazione comunale in replica all’ordinanza n. 164/2016, dà per scontata la preesistenza del manufatto senza però fornire alcuna specifica e chiara evidenza ma fornendo e stesse argomentazioni, non convincenti, dispiegate col ricorso per motivi aggiunti
3.3.- Non dirimenti appaiono altresì le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice penale con la richiamata sentenza n. 11251 del 12 novembre 2019, allegata agli atti della causa dal ricorrente.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, le risultanze probatorie del giudizio penale possono essere utilizzate anche nel giudizio amministrativo, purché siano sottoposte ad un autonomo vaglio critico, svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la considerazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (cfr. ex multis, recente, TAR Sicilia, Catania, sez. III, 22 novembre 2018, n. 2199).
Nella vicenda in esame, la sentenza del giudice penale si fonda prevalentemente su testimonianze, peraltro confuse e con ricordi frammentari, assunte nel corso del processo penale, nessuna delle quali afferma con certezza che il manufatto è precedente al 1967.
Anche quella del perito di parte, la cui relazione tecnica è allegata anche agli atti dell’odierna causa, pur affermando che dall’estratto di mappa del ’55 risulta già l’esistenza di un secondo manufatto, unito al primo tramite (si presume) una tettoia, tuttavia non ha potuto fornire indicazioni precise su quali siano state le sue dimensioni originarie.
Per di più, il dipendente comunale dell’Ufficio tecnico, incaricato degli accertamenti e dei sopralluoghi precedenti le ordinanze impugnate, escusso anch’egli come testimone, afferma che la preesistenza del manufatto non può arretrare oltre il 1988, anno in cui fu redatto il rilievo aereo fotogrammetrico, dal quale emerge comunque una forma diversa del manufatto rispetto a quella riscontrata col sopralluogo.
3.4.- Riguardo all’assetto urbanistico dell’area è utile richiamare quanto rilevato dall’amministrazione resistente nella memoria difensiva, ossia che il manufatto contestato è situato in zona soggetta a vincolo paesaggistico, ai sensi del d. lgs 42/2004 e che ricade nella fascia di rispetto cimiteriale, di cui all’art. 338 del Regio Decreto n. 1265/1934 (cfr. Certificato di destinazione urbanistica prot. n. 59834 del 18 settembre 2019).
Sul punto, come chiarito da costante e condivisa giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, e TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 18 ottobre 2019, n. 4978) la fascia cimiteriale di inedificabilità si impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, a prescindere da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, che non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sull’esistenza o sui limiti di siffatti vincoli. Per questo, il vincolo, di natura conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica.
4.- Per quanto sopra, il ricorso introduttivo va dichiarato estinto per cessata materia del contendere; il ricorso per motivi aggiunti va respinto.
Le spese sono in parte compensate, avuto riguardo al principio della soccombenza reciproca, ed in parte imputate al ricorrente nella misura indicata in dispositivo, avuto riguardo al principio della soccombenza prevalente.
Deve in proposito sottolinearsi che, con riferimento al ricorso introduttivo, è evidente, come sopra illustrato, l’errore commesso dall’amministrazione comunale circa i presupposti di fatto alla base dell’ordinanza n. 164/2016, tanto da disporne il suo annullamento; al contrario, con riferimento al ricorso per motivi aggiunti, la soccombenza del ricorrente assume carattere predominante rispetto a quella dell’amministrazione nel ricorso introduttivo, avuto riguardo alla vicenda complessiva comunque contrassegnata dalla costruzione di un manufatto, all’origine dell’iniziativa sanzionatoria e di contrasto agli abusi doverosamente messa in atto dal comune resistente, non essendone stata dimostrata la legittimità.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando dichiara l’estinzione del ricorso introduttivo, rigetta il ricorso per motivi aggiunti.
Compensa per un terzo le spese del giudizio e per i restanti due terzi le imputa al ricorrente, con conseguente condanna al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale di Portici, della residua somma di € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere
Gianmario Palliggiano, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Gianmario Palliggiano)
IL PRESIDENTE (Anna Pappalardo)
IL SEGRETARIO

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Sereno Scolaro

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