Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5349

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5349
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2461 del 2014, proposto dal signor Sergio Serpillo, rappresentato e difeso dall’avvocato Egidio Lamberti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Marsili in Roma, viale dei Parioli, 44;
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Crimaldi, Fabio Maria Ferrari e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso lo studio del dott. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
nei confronti di
del signor Gaetano Intravaia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione VII, n. 4020/2013, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento della determinazione n. 32 del 15.10.2012, di acquisizione parziale di un manufatto funebre realizzato su suolo cimiteriale, nel cimitero cittadino di Poggioreale, oggetto della concessione di cui alla delibera di G.M. n. 64 del 10 maggio 1990.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Vista la memoria prodotta dalla parte appellante a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Orefice, per delega dell’avvocato Lamberti, e Crimaldi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Con delibera della G.M. di Napoli n. 64 del 10 maggio 1990 è stata concessa alla signora Maria Cuomo un’area sita nel cimitero di Poggioreale, Viale delle Virtù n. 15, sulla quale è stata poi realizzata un’edicola funeraria.
Successivamente il manufatto veniva acquistato dal signor Gaetano Intravaia, con atto per notar Prattico del 30 maggio 1991, nel quale il signor Cuomo è intervenuto per il tramite del suo procuratore signor Mario Costanzo. Quest’ultimo ha ceduto al signor Sergio Serpillo, con atto per notar Improta rep. 96014 del 13 maggio 2010, la sola parte ipogea del manufatto (contenente 14 loculi).
Con determinazione n. 32 del 15 ottobre 2012 il dirigente del Servizio Autonomo Servizi Cimiteriali del Comune di Napoli ha disposto l’acquisizione della parte ipogea del citato manufatto.
2.- Il signor Sergio Serpillo ha impugnato detto negativo provvedimento presso il T.A.R. Campania, Napoli, che lo ha respinto con la sentenza in epigrafe indicata.
3.- Con il ricorso in appello in esame il suddetto signor Serpillo ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:
a) Sul primo e secondo motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 del d.P.R. n. 285 del 1992. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore nei presupposti, sviamento, illegittimità del Regolamento di Polizia Mortuaria del Comune di Napoli approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 22 febbraio 2006. Error in iudicando.
b) Sul quarto motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione dell’art. 48 del Regolamento suddetto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere. Mancanza dei presupposti essenziali. Error in iudicando.
c) Sempre sul quarto motivo di ricorso. Violazione dell’art. 53 del Regolamento di cui trattasi. Error in iudicando.
d) Sul terzo motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Violazione degli artt. 3 e 21 quinquies della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere. Mancanza dei presupposti essenziali. Violazione del principio tempus regit actum. Error in iudicando.
e) Abnormità della ingiustificabile condanna alle spese processuali.
4.- Con atto depositato il 31 marzo 2014 si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, che ha chiesto la reiezione dell’appello.
5.- Con memoria “di replica” depositata il 17 giugno 2014 la parte appellante ha sostanzialmente ribadito tesi e richieste.
6.- Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
7.- La Sezione ritiene l’appello infondato.
Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che “…in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito” in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000, n. 3313)”.
E’ stato sottolineato che “…come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che “…a fronte di successive determinazioni del concedente” sussistono posizioni di interesse legittimo.
È stato precisato che il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, osservando che “In particolare, lo “ius sepulchri” attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
E’ stata anche ritenuta non persuasiva la tesi “…secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa intervenuta successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene”, non essendo “…pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
E’ stato altresì evidenziato che il rapporto concessorio in questione è “…pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompresa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nel nostro ordinamento il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta posizioni di interesse legittimo nei confronti di atti della pubblica amministrazione nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero impongono o consigliano alla pubblica amministrazione il potere di esercitare la revoca della concessione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
Deve poi aggiungersi che il Regolamento di Polizia Mortuaria e dei Servizi Funebri e Cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, per quanto qui interessa, all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1); che “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5) e che “La concessione può essere soggetta: a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c. a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) afferma che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
9.- Con il primo motivo d’appello è stato dedotto che il Comune ha pronunciato la decadenza della concessione cimiteriale e l’acquisizione parziale del manufatto di cui trattasi nell’assunto che fosse stato violato l’art. 53 del Regolamento di Polizia Mortuaria, che vieta la cessione tra privati di manufatti funebri, e che il T.A.R., con riguardo al primo motivo di ricorso (con il quale era stato sostenuto che detta disposizione era in contrasto con il d.P.R. n. 285 del 1992 che non prevede il divieto), ha affermato che il diritto del titolare della concessione cimiteriale, di essere tumulato nel sepolcro, costituisce un diritto affievolito che soggiace ai poteri “regolativi” e conformativi di stampo pubblicistico e quindi a detta norma regolamentare.
L’interpretazione non sarebbe condivisibile perché non è in contestazione il diritto dell’Amministrazione di intervenire nelle vicende modificative del rapporto concessorio, ma il divieto di cessione dello ius sepulcri, che si è inteso affermare in assoluto, che non trova supporto nella disciplina legislativa di rango primario e che può essere trasferito subordinatamente al consenso degli aventi diritto o della voltura amministrativa, essendo esso caratterizzato dai caratteri della realità, dell’immediatezza e della patrimonialità.
Non sarebbe quindi condivisibile la tesi del Comune che la concessione di sepoltura è una concessione amministrativa di bene demaniale con diritto d’uso non alienabile.
Comunque l’affievolimento del diritto non consentirebbe all’Amministrazione di introdurre con regolamento ipotesi di revoca o decadenza ulteriori rispetto a quelle previste dal legislatore con l’art. 92 del d.P.R. n. 285 del 1990.
9.1.- La Sezione ritiene che va rinviato a quanto esposto in precedenza con riguardo alla circostanza che il rapporto de quo è sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del d.P.R. n. 285 del 1990, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del d.P.R. n. 803 del 1975, in vigore sin dal 10 febbraio 1976, tra cui è compresa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”, in quanto, il diritto sul sepolcro nei confronti del comune, affievolisce ad interesse legittimo.
A tanto consegue la piena legittimità del citato art. 53 del Regolamento e la sua piena applicabilità alla fattispecie in esame.
10.- Con il secondo motivo di gravame è stato evidenziato che con il quarto motivo di ricorso era stato sostenuto che, anche se fosse legittima la previsione contenuta nell’art. 53 del Regolamento, il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo perché non prevederebbe, in caso di inosservanza della norma, la sanzione decadenziale illegittimamente applicata dal Comune.
Il T.A.R., nell’affermare che non vi è difficoltà esegetica ad inserire la decadenza pronunciata nell’ambito della violazione degli oneri di manutenzione della concessione di cui all’art. 44 del Regolamento, in quanto la manutenzione è da rapportare anche ad aspetti giuridici, avrebbe operato un’interpretazione autentica del Regolamento, individuando ipotesi decadenziali diverse da quelle previste, integrando la motivazione del provvedimento e sostituendosi all’Amministrazione nell’indicazione della norma da cui è discesa la sanzione inflitta.
Posto che l’art. 53 suddetto vieta qualunque cessione diretta tra privati, comunque nel caso di specie non avrebbe potuto essere irrogata la sanzione della revoca decadenziale della concessione, ma o la revoca o la decadenza.
Comunque, secondo l’appellante, nel caso di specie non ricorreva la condizione applicativa della revoca (disciplinata dall’art. 48 del Regolamento e che avrebbe quindi essere sorretta da ragioni di pubblico interesse) atteso che l’interesse indicato nel provvedimento (a rientrare nella disponibilità del manufatto per procedere alla sua riassegnazione) non solo sarebbe fragile e nasconderebbe lo sviamento dell’azione amministrativa, ma dimostrerebbe la violazione di detta disposizione, che impone l’assegnazione al concessionario di altra area o manufatto.
Neppure ricorreva, secondo l’appellante, alcuna ipotesi di decadenza della concessione disciplinata dall’art. 49 del Regolamento, né quella di decadenza del permesso di costruire di cui al precedente art. 38, comma 3. Dette ipotesi sarebbero infatti un numero chiuso predeterminato non integrabile.
10.1- Osserva il Collegio che sono condivisibili le motivazioni addotte in sentenza con riguardo alla assenza della causa di decadenza dedotta dal ricorrente, atteso che, al di là della definizione utilizzata, la decadenza dalla concessione è in re ipsa quando il soggetto si spoglia del bene concesso e potendosi inserire la decadenza pronunciata nell’ambito della violazione degli oneri di manutenzione della concessione di cui all’art. 44 del Regolamento di cui trattasi, il cui comma 9 prevede che la concessione può essere soggetta a decadenza per inadempienza degli obblighi del concessionario di mantenimento dei manufatti; ha quindi specificato il T.A.R., contrariamente a quanto assunto dall’appellante, che non si trattava di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, quanto di decadenza per inadempimento del concessionario.
Quindi il provvedimento di ritiro è espressamente previsto dal Regolamento comunale di Polizia Mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione, per quanto essa non ha neppure natura sanzionatoria in senso stretto, conseguendo piuttosto all’inadempimento degli obblighi discendenti dall’esatta osservanza della concessione, non limitati, secondo il richiamato comma 9, lett. b), dell’art. 44 del Regolamento alla sola inosservanza dei termini per l’inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale.
Quanto al dedotto sviamento di potere va osservato che il vizio consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso; la censura di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo; né il vizio in questione è ravvisabile allorquando l’atto asseritamente viziato risulta comunque adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto e risulta in piena aderenza al fine pubblico al quale è istituzionalmente preordinato.
Il provvedimento impugnato è stato legittimamente adottato nel rispetto degli artt. 44 e 53 del Regolamento e, una volta dichiarata la decadenza dalla concessione del suolo cimiteriale, del tutto coerentemente e correttamente, ed in ogni caso in puntuale applicazione del comma 1 dell’art. 44 del Regolamento, sono state acquisiste alla proprietà dell’amministrazione comunale le opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 c.c. e non può quindi ritenersi che costituisse sintomo di sviamento l’aver inteso riassegnare dette aree per la loro destinazione all’uso previsto, come del resto previsto dall’art. 51 del Regolamento.
Il riferimento alle norme regolamentari contenuto nell’impugnato provvedimento esclude anche che sia stata effettuata alcuna integrazione della motivazione del provvedimento da parte del T.A.R..
11.- Con il terzo motivo d’appello è stato dedotto che comunque la sentenza andrebbe riformata nella parte in cui ha ritenuto che la fattispecie oggetto di causa rientri tra quelle contemplate dall’art. 53 del Regolamento, perché l’interpretazione sistematica di detto articolo con le norme che lo precedono renderebbe evidente che il primo comma non vieta affatto la cessione dei diritti superficiari di aree su cui, al momento del rilascio della concessione, non insistevano già manufatti funebri acquisiti dal Comune per retrocessione.
In base al disposto dell’art. 51 del Regolamento, infatti, il presupposto per l’estensione del divieto di cui all’art. 53 risiederebbe nella circostanza che la concessione abbia interessato sin dal suo rilascio i manufatti funebri, eventualità che non ricorrerebbe nel caso in cui le sepolture siano state realizzate dal concessionario in forza di permesso di costruire allorquando l’area non sia stata retrocessa a causa di rinuncia, revoca o decadenza, in assenza delle quali vicende il Comune non acquisirebbe la piena disponibilità dei manufatti in questione.
In conclusione il tenore di detto art. 53 non osterebbe alla cessione dei diritti superficiari realizzati su manufatti realizzati dal concessionario qualora essi non siano mai entrati nella disponibilità del Comune.
Nel caso di specie oggetto dell’originaria concessione era il suolo e non l’edificio funebre, realizzato dal concessionario, sicché la proprietà superficiaria sarebbe stata trasmissibile inter vivos (salva la facoltà del Comune di opporsi, senza che fosse richiesta alcuna autorizzazione alla cessione da parte di esso), con illegittimità della disposta sanzione. Diversamente opinando sarebbe illegittimo il disposto di detto art. 53.
La tesi del primo giudice, che ha affermato che non era stato inciso indebitamente l’affidamento dei privati e che sarebbe stato irragionevole prevedere una regolamentazione differenziata tra nuovi e vecchi titolari di concessioni, stante la previsione, con l’art. 58 del Regolamento, di un regime transitorio, sarebbe incondivisibile, sia perché sarebbe stata giustificata una disciplina differenziata e sia perché la disposizione transitoria sarebbe viziata dall’aver previsto un periodo nel quale era possibile la cessione delle aree alle vecchie condizioni non agganciato alle vicende del concessionario, ma all’entrata in vigore del Regolamento.
Peraltro quest’ultimo, per avere effettività, avrebbe dovuto essere portato a conoscenza dei concessionari, non essendo questi tenuti a controllare l’Albo pretorio.
11.1.- Osserva in proposito la Sezione che non è condivisibile la tesi che la decadenza avrebbe riguardato esclusivamente l’inadempimento concernente la fase di costruzione del manufatto (insussistente nel caso di specie): fermo restando infatti il rilievo che tali censure potevano essere prospettate soltanto dal legittimo concessionario e non dall’appellante che non ha alcun titolo al riguardo, è sufficiente osservare che la revoca in questione è espressamente prevista dal regolamento comunale di polizia mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione, per quanto essa non ha neppure natura sanzionatoria in senso stretto, conseguendo piuttosto all’inadempimento degli obblighi discendenti dall’esatta osservanza della concessione, non limitati, secondo il comma 9, lett. b), dell’art. 44 del Regolamento alla sola inosservanza dei termini per l’inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale.
Quanto ai vizi dedotti con riguardo alla previsione del periodo transitorio di applicazione della vecchia normativa il Collegio ne rileva l’inconferenza, stante la riconosciuta retroattività della normativa di cui al Regolamento, meglio in seguito evidenziata.
12.- Con il quarto motivo di gravame è stato affermato che con il terzo motivo di ricorso era stato dedotto che comunque il divieto di cessione tra privati di cui all’art. 53 del Regolamento non avrebbe potuto trovare applicazione per le concessioni, come quella di specie, rilasciate prima della sua entrata in vigore.
Sarebbe incondivisibile la tesi del primo giudice, che il Regolamento non incideva retroattivamente su situazioni giuridiche già compiutamente definite ed acquisite al patrimonio del titolare. Infatti nel cimitero de quo vigeva il regime della libera trasferibilità delle cappelle di proprietà privata (ex art. 270 del Regolamento adottato con deliberazione del C.C. n. 291 del 1995) ed il divieto di cessione tra privati è stato introdotto con la deliberazione n. 11 del 2006, di approvazione del nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria, di natura non provvedimentale, ma normativa e regolamentare, con applicabilità dell’art. 11 delle preleggi ed illegittimità del Regolamento del 2006 laddove prevede l’efficacia retroattiva delle disposizioni ivi contenute, anche per violazione dell’art. 42 della Costituzione e del d.P.R. n. 327 del 2001.
12.1.- Osserva il Collegio che il principio di irretroattività postula l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione, fattispecie che tuttavia non si riscontra nel caso di specie in cui, stante la natura di durata del provvedimento concessorio, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella esistente al momento del provvedimento concessorio, riguardante vicende e situazioni non ancora verificatesi o i cui effetti non si siano ancora definitivamente consolidati (salva la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non viene minimamente in rilievo nel caso in esame).
Ciò dimostra anche la manifesta infondatezza della censura di violazione dell’art. 42 della Costituzione e delle norme del d.P.R. n. 327 del 2001 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Non potrebbe infatti ritenersi sussistente un’ipotesi di espropriazione della proprietà senza indennizzo, in quanto l’appellante non vanta nei confronti del Comune di Napoli alcuna posizione legittimante né quanto al bene concesso in uso, né quanto al manufatto su di esso realizzato, spettando eventualmente tale legittimazione solo all’originario concessionario.
13.- Con il quinto motivo d’appello è stata censurata la condanna alle spese disposta in primo grado, stante la sua abnormità e perché ingiustificata, con obbligo di motivazione tanto più pregnante perché in sede cautelare le spese processuali erano state compensate e perché il ricorrente sarebbe stato indotto all’acquisto facendo affidamento sulla circostanza che il Notaio aveva ritenuto possibile e giuridicamente consentita la cessione del manufatto funebre.
13.1.- Osserva in proposito la Sezione che, ai sensi dell’art. 91 del c.p.c., la soccombenza costituisce il criterio base per la condanna al pagamento delle spese di giudizio, mentre la compensazione è oggetto di una facoltà discrezionale, del cui esercizio il giudice è tenuto ad esplicitare le ragioni, come sancito dal successivo art. 92, sicché è solo la decisione di disporre la compensazione che può essere eventualmente essere oggetto di sindacato da parte del giudice d’appello (peraltro entro limiti assai rigorosi) e non la prima (Consiglio di Stato, sez. V, 19 marzo 2014, n. 1351).
Non deve quindi il giudice esplicitare le ragioni per le quali ritenga di non addivenire alla compensazione, atteso che è solo in quest’ultimo caso che devono essere indicate le gravi ed eccezionali ragioni che hanno condotto alla deroga della regola generale (Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3850).
14.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
15.- Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame n. 2461 del 2014.
Pone a carico dell’appellante Sergio Serpillo le spese del presente grado, liquidate a favore del Comune di Napoli nella misura di € 5.000,00 (Cinquemila/00), oltre ai dovuti accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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