Un anziano viene ricoverato in ospedale per un infarto, va in coma e, nel corso della notte, verso le 3.30, i sanitari dichiarano intervenuto il decesso. Per ovviare agli inconvenienti definiti come “burocratici” che avrebbero spostato i tempi per la consegna della salma alla famiglia, i familiari sottoscrivono un’accettazione alla dimissione, come se fosse ancora vivo e se lo portano a casa. Al mattino, durante la veglia, il defunto apre gli occhi e, con voce flebile, chiede un bicchiere d’acqua tra lo stupore dei presenti: non si tratta di un miracolo, ma di una situazione in cui probabilmente la constatazione della morte era avvenuta con qualche leggerezza e senza particolari accertamenti. La notizia è balzata agli onori della cronaca, addirittura del telegiornale. Non ci interessa solo un giudizio sulla qualità del servizio sanitario nel caso specifico, quanto il fatto che i quotidiani riportassero, come se fosse prassi normale, quella di ignorare l’intervenuto decesso e rilasciare il cadavere come se non fosse tale, con l’esplicita indicazione della sua motivazione, gli inconvenienti “burocratici”. Guarda caso erano proprio quegli incombenti “burocratici” che potevano consentire di accertare la realtà della morte in ospedale. E se il presunto morto dovesse morire per davvero? Chi dovrebbe rispondere dell’omicidio? Purtroppo pare che la pratica non sia un evento eccezionale, ma diffuso in alcune città del Sud Italia. Forse una maggiore attenzione a utilizzare i corretti protocolli sanitari sia per l’accertamento della morte che per il periodo di osservazione non avrebbero fatto gridare a quello che ben difficilmente è un miracolo.
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