È notorio come, almeno in Italia, il potere di disporre di sé, nella proiezione del proprio oscuro post mortem sia personale, nel solco tracciato dall’art. 5 Cod. Civile.
Le spoglie mortali umane non sono di proprietà pubblica, altrimenti vivremmo in uno stato totalitario, e non di diritto, ma sul punto si veda infra.
L’assoluta personalità del diritto è esercitata nel rispetto delle norme di salute pubblica, di morale-etica e di ordine pubblico, che diversamente inficiano l’efficacia della resa di volontà del de cuius stesso.
L’art. 1, L. 29 dicembre 1993 n. 578 – ad oggi vigente – identifica la morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Questa precisa presa di posizione del legislatore italiano recepisce le conclusioni del Comitato Nazionale di Bioetica e ha ricevuto l’autorevole avallo della Corte Cost. n. 414/1995 (S. CANESTRARI, Le diverse tipologie di eutanasia: una legislazione possibile, in Riv. it. Med. Leg., 2003, 5, 751).
Nel nostro Ordinamento si assume il criterio della morte cerebrale totale, introdotto dalla L. 29 dicembre 1993, n. 578, che reca, appunto, norme per l’accertamento e la certificazione di morte, in armonia con gli esiti di un vivace dibattito internazionale tra gli studiosi di medicina legale, per altro ancora in corso…
Sulla base di tale normativa la morte deve essere definita con la cessazione definitiva ed irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, della corteccia cerebrale − che presiede all’attività cosciente − e del tronco cerebrale sede del sistema nervoso centrale.
Le ultime procedure operative, in ordine di tempo, sono dettate dal D.M. 11 aprile 2008, che si interseca prepotentemente con la medicina necroscopica e di riflesso sull’azione di polizia mortuaria, specie quando per indifferibili ragioni di necessità ed urgenza, l’ordinario periodo di osservazione debba esser del tutto compresso, superato ed omesso.
La giurisprudenza, in almeno un frangente, ha, però, precisato che il soggetto in stato vegetativo persistente, che presenti attività respiratorie e cardiovascolari spontanee o autonome, necessitando unicamente di nutrizione artificiale, non è clinicamente morto (Corte app. Milano, 31 dicembre 1999, in Giur. Milanese, 2000, 279).
Il medico deve, dunque, cessare ogni attività terapeutica qualora abbia accertato la morte alla stregua della disciplina vigente.
La L. 1 aprile 1999, n. 91, consente il prelievo di organi e di tessuti previo accertamento della morte ai sensi della L. 29 dicembre 1993, n. 578.
A tal fine i medici forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non in stato di separazione (a differenza di altri atti di disposizione per il post mortem) o al convivente more uxorio (remind: Legge c.d. “Cirinnà”, n. 76 n. 2016 sulle “nuove famiglie”) o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi, ai genitori ovvero al rappresentante legale.
Il confronto scientifico e legale in dottrina rileva che le condizioni di liceità del prelievo sono essenzialmente due.
La prima, prevista all’art. 3, comma 1, l. 29 dicembre 1993, n. 578, consiste nell’accertamento della morte cerebrale, da accertarsi secondo il disposto della legge citata.
Il secondo presupposto, invece, consta nel consenso reale o presumibile del soggetto che subisce il prelievo.
È questo un punto centrale della nuova normazione che attiene alla facoltà di disporre del proprio cadavere e alla sua titolarità postema.
La soluzione dello spinoso problema va ricercata all’interno di due orizzonti valoriali e quasi meta-giuridici opposti, che costituiscono le coordinate logiche ed ermeneutiche dell’intero tema trattato.
Il primo modello è quello materialistico-collettivistico, che, considerando res nullius il cadavere, lo nazionalizza, avviandolo, se del caso, agli impieghi che possono risultare socialmente utili – siano essi trapianti, sperimentazioni o studi – indipendentemente dalla volontà della persona cui un tempo sono appartenute le spoglie mortali.
La seconda filosofia è, invece di tipo personalistico.
Essa vedendo nel cadavere una proiezione ultraesistenziale dell’uomo, ovvero una res che reca l’impronta di una personalità, subordina il suo impiego a un’espressa autorizzazione in tal senso del donatore.
Per tradizione culturale e legislativa, il nostro sistema di regole si ispira ed è informato a questo secondo paradigma.
La L. 91 del 1999 riafferma la classica, almeno nel nostro pensiero giuridico, concezione personalistica del cadavere.
L’art. 4 della prefata legge afferma che il prelievo è ammissibile solo quando il soggetto abbia manifestato in vita una dichiarazione scritta favorevole alla donazione, la quale risulti da un apposito archivio. Ovvero allorché, informato dalle autorità preposte della possibilità di esprimersi liberamente in ordine alla destinazione del proprio cadavere, non abbia espresso alcuna volontà.
Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione.
Il silenzio-assenso presunto dal legislatore non può essere considerato di per sé in contrasto con il principio personalistico.
Si tratta di una soluzione di compromesso tra l’istanza solidaristica, intesa a favorire i trapianti, e quella personalistica che riafferma il valore del consenso.
La clausola della “non opposizione” sarà compatibile con il primato dei diritti della persona nella misura in cui l’ordinamento renderà effettivo e agevole il diritto del cittadino di opporsi al futuro prelievo dei propri organi.
La norma impone una serie di obblighi in capo alle amministrazioni competenti, allo scopo di sollecitare attivamente e in modo ripetuto il possibile pronunciamento dei cittadini contro il prelievo dei propri organi, art. 5, lett. d), L. 91 del 1999 (F. GIUNTA, La nuova disciplina dei trapianti d’organo: principi generali e profili penali, in Riv. it. Med. Leg., 2001, 1, 68).
La L. n. 91/1999 vieta, poi, espressamente, per ovvie ragioni (altrimenti saremmo nell’horror!) e con una disposizione molto futuristica il trapianto dell’encefalo, quando dovesse divenire, forse un giorno, tecnicamente fattibile… fantascienza a parte.
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