[Fun.News 3229] SEFIT: la “città dei morti” ha bisogno di una svolta culturale di pari intensità a quella in atto nelle “città dei vivi”

Il messaggio che quest’anno SEFIT Utilitalia intende veicolare in occasione della Commemorazione dei Defunti è quello per cui la “città dei morti” ha bisogno di una svolta culturale di pari intensità a quella in atto nelle “città dei vivi”. La riflessione comincia in questi giorni, dove tradizionalmente questi temi vengono posti all’attenzione del grande pubblico e degli studiosi, per poi giungere a sintesi nel corso di un seminario nazionale su Architettura ed Urbanistica cimiteriale che si terrà presso il MAXXI (Via Guido Reni, 4/A, Roma), nel pomeriggio del 14 dicembre 2017.
Ne ha anticipato alcuni contenuti il responsabile SEFIT, dr. Pietro Barrera:
Nel tempo l’architettura e la “urbanistica cimiteriale” hanno accompagnato e seguito l’evoluzione delle comunità, dal punto di vista socio-economico, culturale, religioso, politico, antropologico, persino tecnico-scientifico.
Ci sono momenti storici in cui questi percorsi evolutivi hanno brusche accelerate.
Fu così più di duecento anni fa, quando l’editto di Saint Cloud sospinse i cimiteri ai margini dei centri urbani, ma al tempo stesso cercò di farne uno “spazio civico condiviso” per tutti gli strati sociali, ed è stato così alla metà del secolo scorso, quanto gli accelerati e tumultuosi processi di inurbamento imposero i moduli costruttivi dell’edilizia intensiva per le “dimore dei morti” come per le case dei vivi, mentre per altri versi i cimiteri storici ottocenteschi tornavano ad essere inglobati nel tessuto urbano. Oggi è dinanzi a noi – anzi, è già in atto – una svolta di pari forza.
Vi concorrono molti elementi:
– la pratica della cremazione, sempre più diffusa e ormai maggioritaria in larghe parti del paese, che minimizza evidentemente le esigenze di spazio e finisce per azzerare le preoccupazioni igienico-sanitarie che ispirarono la legislazione cimiteriale europea per due secoli;
– la complessità culturale della società contemporanea, con culture “altre” che entrano a pieno titolo nella convivenza urbana, un pluralismo religioso inedito per dimensione e qualità, sensibilità e convinzioni diverse che reclamano pari dignità nello spazio cimiteriale;
– la ricerca, propria della post modernità, di spazi e stili di vita differenziati, personalizzati e personalizzanti, antitetici alle tecniche e pratiche massificanti del ‘900. Cambia probabilmente anche la “fruizione” degli spazi cimiteriali – forse in Italia con qualche ritardo rispetto ad altri paesi – dove si combinano le consuete pratiche di affetto familiare (in declino?) con una nuova attenzione alla valorizzazione storico-artistica e a momenti di “memoria condivisa” delle comunità cittadine o di segmenti socio-culturali.
Come sempre è accaduto nella storia, esigenze e opportunità concorrono a sollecitare nuove risposte, sul piano architettonico, sul piano urbanistico e persino – con enormi interrogativi per le possibili conseguenze sociali e culturali – sul modello giuridico-odinamentale.
Infine occorre fare i conti con le risorse: l’evoluzione dei comportamenti e delle scelte personali e familiari ha un’incidenza immediata sui bilanci pubblici  per la gestione cimiteriale.
La radicalità di questi interrogativi è sottolineata dalla tendenza – ancora minoritaria, ma non irrilevante – di una drastica e definitiva "privatizzazione" del post-mortem: non ci si riferisce tanto alla gestione privata di aree per le sepolture, ma piuttosto alla custodia "domestica" delle ceneri o alla loro dispersione.
Siamo di fronte a una svolta davvero epocale, o ad un passaggio transitorio, espressione esasperata della individualizzazione della società?
L’architettura, in questo senso, può giocare un ruolo per proporre in forme nuove una dimensione sociale, più "comunitaria", meno solitaria, dell’ultima dimora?

Interrogativi che meritano una profonda riflessione, cominciando dalle Amministrazioni comunali, ma che non possono essere ignorati dall’intero settore funerario italiano. 

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