Pubblicità, lecita, meno lecita, strumenti e rimedi – 1/4

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Introduzione
Si dice comunemente che la pubblicità sia l’anima del commercio, ma non manca chi la chiami pudicamente promozione o, anche, informazione commerciale.
Senza andare molto all’indietro, si potrebbe ricordare che il D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 “Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale.” (concernente i c.d. “tributi locali minori”), che dedicava il Capo I all’imposta comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni.
Tale Capo I è stato abrogato dall’art. 1, commi 816 e ss. (cioè dal comma 816 al comma 847, cui si rinvia) della L. 27 dicembre 2019, n. 160 “[Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. [1], con i quali è stato introdotto il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’art. 27, commi 7 e 8, del Codice della strada, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province.

Il Codice del consumo
In proposito, pare utile ricordare altresì il D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e s.m. “Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229”, la cui Parte II è dedicata all’educazione, informazione, alle pratiche commerciali e alla pubblicità e, il suo Titolo III affronta le pratiche commerciali, la pubblicità e le altre comunicazioni commerciali.

Le pratiche commerciali scorrette
In particolare, il successivo Capo II, all’art. 20, considera le pratiche commerciali scorrette, vietandole, ma – soprattutto – definendo – definendo quale pratica commerciale scorretta quella che (a) risulti contraria alla diligenza professionale, ed (b) sia (b.1) falsa, oppure /(b.2) idonea a falsare, in misura apprezzabile, il comportamento economico del consumatore medio con riferimento al (c) prodotto, oppure al consumatore cui è diretta.
Occorre precisare che quando una pratica commerciale che raggiunga gruppi anche ampi di consumatori ma sia idonea a falsare, in misura apprezzabile, un qualche sottogruppo, chiaramente individuabile, di consumatori particolarmente vulnerabile a causa d) di infermità (mentale o fisica), (e) dell’età o (f) ingenuità, i fattori di vulnerabilità ragionevolmente prevedibili vanno considerati secondo logiche riferibili al consumatore medio di tale sottogruppo.
Non rientrano in queste tipologie le prassi pubblicitarie aventi contenuto esagerato o che non possano essere prese alla lettera: ma anche queste caratteristiche potrebbero non sempre essere colte dal consumatore medio del sottogruppo.

Le differenti caratteristiche delle pratiche commerciali scorrette
Le pratiche commerciali scorrette possono essere [A] ingannevoli, oppure [B] aggressive.
Sono ingannevoli quelle contenenti informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induca o sia idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più di alcuni elementi e, in ogni caso, lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso, ad esempio sull’esistenza o la natura del prodotto io sulle sue caratteristiche principali (disponibilità, vantaggi, rischi, esecuzione, composizione, accessori, assistenza post-vendita, trattamento dei reclami, metodo e data di fabbricazione o della prestazione, consegna, idoneità allo scopo, usi, quantità, descrizione, origine geografica o commerciale, o risultati che si possono attendere dal suo uso, o risultati e caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto).
Altrettanto per il prezzo o il modo in cui questo sia calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo, ma anche la natura, le qualifiche e i diritti del professionista (leggansi: esercente l’attività) o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti.
Ancora, risulta ingannevole la pratica commerciale che, nel caso concreto, induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, oppure il mancato rispetto degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si sia impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, e indichi in una pratica commerciale di essere vincolato dal codice.

Nel contesto dell’ingannevolezza vanno considerate altresì le omissioni (appunto, omissioni ingannevoli) consistenti nel non indicare elementi rilevanti per la decisione del consumatore medio.
Si ha ingannevolezza quando si occulti o presenti in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti o non si indichi l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto. Tra l’altro vanno riconosciute come rilevanti alcune informazioni, tra cui l’identità e l’indirizzo del professionista e la sua ragione sociale nonché, se del caso, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce; il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore.


[1] – Per inciso e curiosità (si notino le date), si tratta di disposizioni soggette a modifiche da parte del D.-L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni nella L. 28 febbraio 2020, n. 8, nel modificare l’art. 1, comma 847 L. 27 dicembre 2019, n. 160, ha conseguentemente disposto (con l’art. 4, comma 3-quater) che “Limitatamente all’anno 2020 non ha effetto l’abrogazione disposta dal comma 847 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160; si applicano, per il medesimo anno, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni nonché la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui rispettivamente ai capi I e II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, nonché il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui rispettivamente agli articoli 62 e 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446“.

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Sereno Scolaro

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