Un articolo dell'Avvenire sulla cremazione

Riportiamo l’articolo pubblicato l’11 marzo 2008 sul quotidiano l’Avvenire, pag. A34. Fonte www.avvenire.it

Commenti sull’articolo comparso sull’Avvenire sono presenti sul blog ondalibera e, di segno opposto, sul blog alzalosguardo

QUANDO L’UOMO VUOLE «SPARIRE »
ROBERTO BERETTA
Volessimo fare i colti, potremmo sfoderare la classica sentenza : «Cupio dissolvi», anelo ad essere annullato. Sciolto. Annientato.
Incenerito. In effetti la citazione sovviene scorrendo le cifre – riportate sabato (8/3/2008 NdR) dal «Corriere della Sera» – dell’impressionante balzo in avanti delle cremazioni nella metropoli meneghina: ben 10.500 su 15.000 decessi nel 2007. Bolzano e Como si attestano sul 50% dei cadaveri passati nei forni (altre città come Torino, Roma, Bologna, Trieste arrivano a un terzo circa), che è poi la media dei Paesi nordici; ma Milano va oltre, arriva a percentuali da Svezia e Danimarca, e soprattutto senza possedere una secolare e nemmeno decennale «cultura» in materia, con un’accelerazione bruciante che in soli tre anni ha fatto crescere i milanesi cremati dal 51% al 70%. Che cosa è dunque successo per convincere due meneghini su tre a farsi incenerire? Come mai tale pratica sta dilagando in modo tanto macroscopico nel Nord Italia (al Sud la media è dello 0,5%) e soprattutto nelle città?
Non basta notare che i costi di una cremazione sono assai inferiori a quelli dell’inumazione (324 euro contro tremila); è insufficiente allegare una progressiva carenza di spazi nei cimiteri delle metropoli e la conseguente pressione (inconscia?) verso scelte considerate più «ecologiche».
Certo, si tratta di fattori che hanno un loro peso, così come lo ha il crollo della barriera religiosa (la Chiesa cattolica non considera più la cremazione «ipso facto» peccato) e la possibilità di conservare in casa i resti del defunto ovvero di disperderli in natura, concessa dalla legge in 5 Regioni – in Lombardia già ne approfittano i parenti di 4 cremati su 10. Forse tutto ciò non basta a spiegare e non ha torto il vescovo ambrosiano Erminio De Scalzi a spingere la riflessione un passo oltre: «Si sta diffondendo un concetto sbrigativo della morte». È la montata del «cupio dissolvi», appunto; è il desiderio di scomparire, di non restare più presenti in un luogo precisamente consacrato alla memoria di sé, fors’anche l’idea di non «pesare» sulla vita di chi resta: così complicata e faticosa che non sembra il caso di accrescerne il disagio anche con l’acquisto e la manutenzione di una tomba…
Ma – in fondo – sotto tale presunto atto di «generosità» postuma, sta un giudizio negativo sulla vita: il massimo cui possiamo ambire non è aver lasciato un segno sui posteri, almeno quelli più cari, tale per cui la visita alle nostre spoglie non risulti un peso bensì una risorsa; l’imperativo è «non dar fastidio». La cultura dominante ha del resto talmente abituato all’«usa e getta» che non si vede perché tale mentalità dovrebbe arrestarsi davanti ai cancelli del cimitero: siamo al mondo per «produrre» ed «essere utili», una volta che non lo siamo più tanto vale scomparire; letteralmente.
Anche la dispersione delle ceneri ripete in fondo questo messaggio – se non di nichilismo – di depressione sociale, di profonda insoddisfazione esistenziale: non ho vissuto come volevo, almeno le mie ceneri finiscano nei luoghi che avrei desiderato amare. Altro che «morale laica», il Nord Italia ricco e industriale pretende qui che siano rispettate le sue ultime volontà: non solo la resurrezione dei corpi nell’aldilà non esiste, ma è meglio che non rimanga più nemmeno un segno del corpo nell’aldiqua. E così sia.

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One thought on “Un articolo dell'Avvenire sulla cremazione

  1. l’istituto dell’affido personale delle ceneri comincia a far seriamente paura ai nostri amministratori per la sua difficile governabilità, perchè gli esiti da completa cremazione divengono di fatto entità “private” non più soggette al vincolo cimiteriale di cui all’Art. 337 Regio Decreto n.1265/1935.

    C’è, poi, il pericolo di un lucro illecito dietro le richieste di affido multiplo, si creerebbero, di fatto, cimiteri assolutamente privati (vietati dalla legge ex Art. 823 ed 824 Cidice Civile ed ammessi solo ex Art. 104 DPR 285/1990 se costruiti prima dell’entrata in vigore del Regio Decreto n.1265/1934.

    Emilia Romagna e Lombardia hanno subodorato il rischio, infatti, il comma 8 dell’Art. 14 del regolamento lombardo n. 6/2004 specifica come l’affidamento delle ceneri ai familiari non costituisca, in nessun caso, implicita autorizzazione alla realizzazione di sepoltura privata, la quale necessiterebbe pur sempre di concessione ex Art. 90 DPR 285/1990, a maggior ragione perchè si troverebbe esternamente al perimetro cimiteriale (Art. 101 DPR 10 settembre 1990 n. 285) mentre la regione emiliano-romagnola, con la delibera n. 10 del 10 gennaio 2005, richiama i comuni ad un attenta sorveglianza affinché si eviti la consegna di più urne cinerarie ad un solo soggetto non appartenente[1] all’ambito famigliare o di parentele, proprio al fine di impedire che, surrettiziamente, possano instaurarsi eventuali forme di gestione privata e commerciale nella conservazione delle ceneri.

    Il fine di lucro in ogni caso è vietato dall’Art. 92 comma 4 DPR 285/1990, corroborato, poi dal paragrafo 14.3 Circ.Min. 24 gennaio 1993 n. 24.

    Tra l’altro nello stesso atto di affido ex DPR 24 febbraio 2004 e nel regolamento comunale di polizia mortuaria possono esser introdotte norme molto stringenti proprio per disincentivare comportamenti mirati all’arricchimento ed alla speculazione.

    Ad avviso almeno di chi scrive il rischio, pur reale e presente, può esser scongiurato o, qunato meno, molto contenuto non tanto con minacciose sanzioni (alla quali al pari delle grida manzoniane non crede nessuno) quanto, piuttosto con procedure volutamente molto penetranti, intrusive ed inn ultima analisi utilmente farragginose, anche, in qualche modo, disapplicando l’Art.1 comma 2 della Legge 241/1990, nella parte in cui vieta l’inutile aggravamento procedurale. Insomma il fine giustifica i mezzi!

    Chi prende in custodia un urna deve sottostare alle seguenti regole minime:

    Realizzazione di un colombario ex Art. 343 con tutti i requisiti di sicurezza contro lo sversamento accidentale o atti di profanazione
    Responsabilità penale ex Art. 411 Codice Penale in caso di dispersione non autorizzata dallo Stato Civile
    Gaaranzia di accesso alla propria abitazione ai congiunti del de ciuus per gli atti rituali e di onoranze sintetizzabili nel diritto secondario di sepolcro
    Massima disponibilità per eventuali controlli o accertamenti sulla corretta conservazione dell’urna dispisti dall’autorità comunale.

    E poi i privato cittadino si colloca sempre in una posizione di soggezione dinnanzi alla potestà autorizzativa del comune, la quale, con adeguata motivazione, potrebbe rigettare la richiesta d’affido quando le intenzioni del presunto affidatario non fossero del tutto affidabili.

    Già di ogni affidamento di urna cineraria o di ogni variazione conseguente deve essere tenuta traccia per mezzo di trascrizione cronologica in apposito registro, anche a tenuta informatica, con l’indicazione:

    1) per affidamenti di urne autorizzati, dei dati anagrafici e della residenza dell’affidatario, nonché dei dati identificativi del defunto;

    2) per le variazioni che dovessero intervenire nel luogo di conservazione esterno al cimitero, diverso dalla residenza, dell’indirizzo del nuovo luogo di conservazione e della data;

    3) per i recessi dall’affidamento, dell’identificazione del cimitero di sepoltura e della data di recesso;

    4) della data di eventuali ispezioni svolte in luoghi di conservazione e delle risultanze riscontrate.

    Non possiamo, comunque, creare una seconda anagrafe mortuaria parallela ai registri cimiteriali per catalogare i luoghi atipici, e, per tale ragione, pressoché infiniti, dove sono custodite le ceneri.

    Saremmo sommersi da un oceano di dati ed indirizzi da codificare e gli archivi, notoriamente costano.

    E poi chi controlla davvero la corretta custodia delle urne, la polizia municipale che ha organici risicatissimi oppure i vigili sanitari?.

    Sguinzaglieremo le forze dell’ordine non sulle strade, ma nei condomini alla ricerca delle ceneri di zio o della nonna?

    Suvvia, siamo seri, non si può chiedere l’impossibile. Il mito del panoptikon, ossia di una macchina architettonica per istituzioni totali e totalizzanti (prigioni, ospedali, manicomi, caserme), dove tutto e tutti siano sempre controllabili dall’occhio di un carceriere “grande fratello”, è una perversa e paranoica chimera di fine settecento che lasceremmo volentieri a quell’epoca lontana, mentre un ordinamento moderno deve basarsi sulla responsabile libertà dei singoli individui.

    Se le urne escono dal circuito cimiteriale esse di fatto sono da considerarrsi in qualche modo (dis) perse, perchè nel medio lungo periodo saranno sempre meno rintracciabili.

    Da bravi gestori della polizia mortuaria dobbiamo, poi, considerare anche l’ondata di riflusso: dopo un primo momento di entusiasmo e slancio ideale le ceneri a domicilio cominciano ad esser avvertite come un peso sopratutto psicologico, Anche la chiesa, dopo una prima, prudente apertura verso il mondo cremazionista, sembra piuttosto scettica sull’opzione di mantenere le ceneri dei defunto nell’mondo dei vivi, si creerebbe una sorta di feticismo macabro con i dolenti incapaci di emanciparsi dal profilo del de cuius sempre presente come un convitato di pietra non nel ricordo e nella preghiera, ma con le sue ceneri, quale simulacro di una fisicità corrotta e trasformata in polvere dal fuoco.

    quindi, saranno presumibilmente tante le retrocessioni conn tutte le noie che ne deriveranno: le urne, allora, saranno deposte:

    Nel cimitero del decesso de de cuius ex Art. 50 lettera a) DPR 285/1990?

    Nel cimitero di residenza del defunto ex Art. 50 Lettera b) DPR 285/1990?

    Nel camposanto del comune dove trovansi le ceneri al momento della rinuncia?

    E al loro destinazione ultima quale sarà: deposito temporaneo in camera mortuaria in attesa che qualche avente titolo faccia valere il proprio diritto di disposizione o lo sversamento irreversibile in conerario comune ex Art. 80 comma 6 DPR 285/1990 qualora si manifestasse disinteresse o inerzia degli aventi titolo?

    Se la custodia delle ceneri presso domicili privati è un rischio per il nostro assetto di polizia mortuaria e la gente vive un pessimo rapporto con i nostri cimiteri scatolari e spersonalizzati ci sono almeno due leve su cui intervenire:

    rendere più appetibile la più classica tumulazione delle urne in cimitero ex Art. 80 comma 3 DPR 285/1990 con un’accorta politica tariffaria e facilitando la riunificazione nella stessa tomba di più urne, cassette, ossario, feretri ex paragrafo 13 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24, concetto ripreso, poi da diverse norme regionali
    incentivare la dispersione (extra moenia o intra moenia poco importa), a contare è il principio, oggi lo sversamento delle ceneri è fortemente rallentatato da una procedura d’autorizzazione fortemente (forse troppo) aggravata.
    In nuce l’istituto della dispersione, anche se limitata al cinerario comune, è già previsto nel nostro regolamento nazionale di polizia mortuaria ex Art. 80 comma 6.

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