Succede in Cassazione: il diritto a disporre di sè, per il proprio post mortem

La vicenda giudiziaria di cui trattiamo (culminata nella pronuncia della Suprema Corte n.12143 del 23 maggio 2006) ha visto contrapporsi la richiesta dei fratelli viventi di tumulare il corpo della sorella presso la tomba della loro famiglia, versus la precisa istanza di mantenere la medesima nel sepolcro stabilito dal coniuge superstite.

I fratelli hanno giustificato il proprio petitum sostenendo l’esistenza di un preciso mandato loro conferito in vita dalla defunta per la sua sepoltura nella tomba che ospita le spoglie della famiglia di provenienza.

Dall’altro lato, il marito ha contestato la fattibilità di attribuire solo oralmente una simile responsabilità, eccependo, altresì, che la stessa non può essere dimostrata a mezzo di testimoni (la parte che agisce in giudizio non può chiamare a testimoniare gli altri familiari, essendo questi incapaci di testimoniare ai sensi dell’art. 246 Cod. Proc. Civile, perché parimenti legittimati ad agire), pertanto, per convincimento generale, sintetizzato anche in norma positiva (forse pure inconsciamente dal Legislatore, in sede di redazione del vigente regolamento nazionale del polizia mortuaria) dall’art. 79, comma 1,

II periodo D.P.R. 285/1990 in mancanza di una disposizione testamentaria che rendesse evidente la volontà della moglie, il luogo della sepoltura avrebbe dovuto essere specificato unicamente sulla base della volontà dei congiunti, prescelti fra quelli a lei più strettamente legati da vincoli affettivi, con lojus coniugii, poi, che predomina sullojus sanguinis, dopo tutto la famigliaexart. 29 Cost. è una formazione sociale fondata sul matrimonio.I giudici di merito, e la Cassazione poi, hanno acceduto positivamente alla tesi dei fratelli, quindi accogliendola appieno, ed hanno confermato il principio di diritto secondo cui ogni persona puòeleggere, senza costrizione alcuna, le modalità e il luogo della propria sepoltura, anche mediante scheda testamentaria, siccome la Legge permette apertamente che tra le disposizioni di ultima volontà rientrino anche quelle a carattere non patrimoniale (art. 587, comma 2 Cod. Civile). Ma non solo. Il Giudice della nomofilachia ha altresì statuito che
« Quando manchi la scheda testamentaria, tale volontà può essere comunicata senza rigore di forma attraverso il conferimento di un mandato ai prossimi congiunti ».

Gli Ermellini sono addivenuti a tale conclusione muovendo da questo postulato giuridico:
“Ogni persona è, infatti, libera di designare il tipo e la località della propria sepoltura, mentre questa volere può essere attestato senza particolari vincoli formali e quindi, non solo attraverso il testamento, ma anche con l’affidamento di specifico incarico ai propri familiari, ai quali spetta il compito di far rispettare le estreme volontà del defunto”.

La sentenza in epigrafe risulta pertanto sintomatica siccome, come appena osservato, riguarda un tema che spesso forma oggetto di contrasto fra successori e cioè, come nel caso de quo, incardinato sul confronto trajus sanguinisejus coniugii, anche se, nella circostanza specifica, la Cassazione non ha potuto pronunciarsi in merito alla dedotta prevalenza del diritto del coniuge sulle pretese dei familiari.

È, allora, assai opportuno cogliere lo spunto di riflessione che ci offre la pronuncia della Corte per approfondire l’argomento, considerando che in assenza di norme specifiche, la portata, la titolarità e le modalità di esercizio del diritto sulla destinazione della salma (o di quanto ne residui, dati i fenomeni degenerativi, anche intermedi o incompleti, a carico della materia organica tipici delpost mortem) dovranno essere desunte dalla fortunatamente uniforme e omogenea elaborazione giurisprudenziale (=principio pretorio, solo dopo cristallizzato in norma positiva!) che ha riguardato i conflitti endo-famigliari sulla spoglia mortale delde cuiuso sull’uso dei sepolcri privati in questi ultimi cinquant’anni di giurisprudenza funeraria e cimiteriale.

In linea di massima, il diritto di disporre del proprio corpo, dopo la morte, rientra nelmilieudei diritti della personalità, che per loro natura sono assoluti, non prescrittibili ed intrasmissibili. Loro connotato peculiare è dato dall’immediata e diretta inerenza alla persona di colui che ne è titolare.

Essi sono altresì indisponibili, salvo le parziali riduzioni e rinunce che, alla stregua di particolari norme o della psicologia sociale, appaiano compatibili con la dignità della persona.

Attenzione, però: Lojus eligendi sepulcrhumnon è un diritto “assoluto” visto che la sua effettiva portata può essere ampliata o ristretta da norme di diritto amministrativo (si pensi alle concessioni di sepolcri privati nei cimiteri o ai requisiti di accettazione negli stessi campisanti) per cui non ha questo carattere nell’accezione latina (ab-solutus, ossia sciolto da ogni legame) del termine, ma pur sempre sussiste, seppur mitigato e moderato. Secondo un più ampio contesto, i diritti di rispetto della persona umana (dalla sua origine sino al suo naturale spirare), comprensivi del potere del soggetto di godimento della propria personalità e di una sua pretensione alla non ingerenza dei terzi, rientrano nella più vasta categoria dei diritti fondamentali ed imprescindibili, quasi meta-giuridici, assicurati dalla Costituzione e dal diritto internazionale.

In questo nucleo di diritti basilari ed incomprimibili è annoverato lo ius eligendi sepulchrum, ovvero il diritto di precisare la località, il punto e le modalità della “sepoltura” da intendersi in senso lato e dilatato (ad es. sepoltura per inumazione o tumulazione o cremazione), esercitabile dalla persona nei confronti della propria salma (o dell’urna contenente le ceneri). Tale potere dispositivo sulle spoglie mortali (intese come res extra commercium, si veda a tal proposito l’art. 43 comma 4 D.P.R. 285/1990 da leggersi estensivamente verso tutte le fattispecie medico-legali in cui degradi un corpo umano dopo la morte e soprattutto gli artt. 19 e 22 L. 1 aprile 1999 n. 91, senza dimenticare l’apposita disciplina penalistica) discende da un’atavica ed ancestrale consuetudine quasi praeter legem, conforme al sentire popolare ed alle esigenze di culto e di pietà per i defunti, essa oggi rinviene pieno accoglimento giuridico nell’art. 5 Cod. Civile con cui si normano gli atti di disposizione del proprio corpo.

In quanto diritto soggettivo lo ius eligendi sepulchrum presuppone pur sempre un interesse di fondo della persona che se ne avvalga, anche se nella fattispecie assume tipologia non patrimoniale (spirituale), come chiaramente ammesso dall’art. 1174 Cod. Civile. La sua intima natura, che poggia sull’interesse morale ad una certa e stabile (requiescant in pace!) destinazione della propria od altrui salma, non comporta che il relativo diritto, appunto per sua essenza non trasferibile, possa essere esercitato mediante l’impiego delle ordinarie previsioni legislative che ordinano il trapasso del patrimonio; ne consegue, dunque, che esso non potrà transitare in capo a terzi neppure mortis causa (così non possono ad esso applicarsi la disciplina successoria né legale né testamentaria).

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Carlo Ballotta

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