Trasporto funebre “a cassa aperta”: è ammissibile in assenza di Legge Regionale?

Siamo in un un misterioso Comune situato in Regione Lazio, l’unica ancora (purtroppo o … per fortuna!) a non esser intervenuta con un proprio corpus normativo, in tema di servizi necroscopici, funebri e cimiteriali.
Il locale legislatore non si è ancora formalmente espresso soprattutto sulle case funerarie, data la precedente rarefazione nel centro d’Italia di simili realtà, invece in via di ampia espansione, anche per il vivo interesse di imprese e cittadinanza verso questa nuova esperienza di affrontare le incombenze di un lutto.
È da rimarcare come la casa funeraria sia necessariamente impianto a rilevanza igienico-sanitaria, assimilabile ad un servizio mortuario ospedaliero, con i requisiti strutturali minimi di cui ancora al D.P.R. n. 14 gennaio 1997.

È chiedere troppo sapere se sia possibile procedere, in mancanza di legge regionale ad hoc, alla revisione del proprio regolamento di municipale polizia mortuaria, non più da trasmettere per omologazione al Ministero della Salute ex art. 345 T.U.LL.SS., onde conferire attuazione alle all’istituto ormai collaudato trasporto a “cassa aperta”, funzionale appunto all’impianto di moderne ed accoglienti funeral home.
Vista anche la diffusione nei fatti di questo servizio di estreme onoranze, sarebbe opportuna una riflessione da parte delle Autorità Regionali, sin ora silenti.
Ovviamente i soggetti pubblici più esposti sono i Comuni, cui la Legge affida il diretto governo (piano autorizzativo e tariffario, sono le principali leve) del fenomeno funerario, nella sua quotidiana operatività sul territorio.

Ai fini della disamina dell’interrogativo posto, e per corroborare la nostra tesi sulla (nominalmente almeno!) illiceità del c.d. trasporto a cassa aperta generalizzato delle salme in sito privato e non verso i soli presidi istituzionali strettamente individuati dal D.P.R. n. 285/1990 argomenteremo così.
Il c.d. trasporto a cassa aperta è una particolare modalità di trasporto funebre tecnicamente identica al trasporto necroscopico della raccolta/recupero salme incidentate, cambiano solo i soggetti che dispongono e quelli che celermente autorizzano, nonché i luoghi di possibile destinazione.
Poiché trattasi inequivocabilmente anche di ambito sanitario e siccome sono spesso coinvolte (nell’organizzazione delle locali A.USL, o comunque denominate) strutture di medicina legale ed occorrono competenze mediche specifiche per il rilascio dell’autorizzazione comunque necessaria, si propende per la tesi di un vuoto effettivamente di legislazione regionale, non colmabile dalla sola buona volontà delle amministrazioni cittadine, poste dinanzi alla risoluzione di un problema non semplice.

Dopo una breve verifica si evidenzia, poi che il 9/02/2006 (temporibus illis, quindi, ossia in epoca ormai remota, stante le ultime frenetiche novelle legislative!), la Conferenza dei Presidenti delle Regioni avesse sottoscritto un documento in cui, tra l’altro, si chiedeva la modifica, con l’abrogazione di alcune parti piuttosto vetuste ed anacronistiche del D.P.R. 285/90. Tutto ciò in senso pur sempre solo ablativo.
Ci si domanda spontaneamente, allora, se in Regione Lazio, ad oggi, viga ancora nella sua interezza il Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria (per le parti non già marginalmente mutate in forza di Leggi Statali sovraordinate), altrimenti se dovrebbero esservi prima atti formali da parte delle Autorità Regionali tali da condurre, poi, a cascata, alla riformulazione delle norme interessate e considerate inadeguate.
Sul trasporto funebre “a cassa aperta” e le sue modalità di esecuzione, si potrà agevolmente reperire alta ed elevata dottrina specialistica e settoriale sulle pagine di questo magazine on line.

In merito, poi, alla legittimità di certe misure di “deregulation”, sulla polizia mortuaria, tenendo presente che il D.P.R. 285/90 ha natura di norma di rango secondario (regolamentare) mentre l’odierno art. 117, comma 6 Cost. demanda una potestà regolamentare ai livelli di governo cui spetti anche il potere legislativo (con l’eccezione di quanto previsto all’art. 117, comma 6, III periodo dove si individua una potestà regolamentare non connessa a quella legislativa), nel caso di argomenti rientranti nella sfera legislativa delle regioni, sia essa concorrente o esclusiva, è possibile individuare una competenza regolamentare in capo alle Regioni. Andrebbe anche ricordata la L. 5 giugno 2003, n. 131, in particolare l’art. 1, comma 3, ma anche i commi 4 e seguenti, seppure questi ultimi siano rimasti lettera morta.

Trascurando l’irrealistica ipotesi (molto remota!) di un improvviso interesse del Parlamento o del Governo alla riforma complessiva della polizia mortuaria (comunque da non sottovalutare, quanto meno rispetto a determinati intenti come l’attuazione delle disposizioni dell’art. 3 L. 130/2001), a Costituzione vigente se si può riconoscere l’esistenza di una potestà regolamentare in capo alle Regioni, nelle discipline che non siano di pertinenza legislativa, unica, dello Stato, ad ogni modo ai fini di introdurre modifiche o abrogazioni al Regolamento Nazionale di polizia mortuaria si rende necessaria, almeno in astratto, per i puristi del diritto funerario, l’assunzione di atti aventi natura regolamentare, ossia di norme di grado secondario.
Anche con la delibera di atti normativi di ordine secondario (regolamenti) da parte delle Regioni (approvazione che richiede l’osservanza delle procedure dei singoli Statuti Regionali attinenti all’emanazione di norme regolamentari), va precisato come il loro campo di efficacia non possa mai eccedere, o trascendere, l’ambito della Regione che le abbia varate, criticità strutturale che solleva difficoltà di non semplice coordinamento quando si sia in presenza di attività destinate a svolgersi anche al di fuori dei confini amministrativi di una singola Regione, mancando una sorta di proprietà transitiva uniformante tra le normazioni delle diverse entità geografiche dotate della capacità di porre diritto.

Al di fuori di questo spazio esperibile – ma stiamo lentamente scivolando nella filosofia metagiuridica – si potrebbe – forse – essere esperibile il ricorso alla forma dell’ordinanza di cui all’art. 54, comma 2 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif. (e ad esso collegato art. 50, comma 5), dove il condizionale si motiva con il presupposto della minaccia per l’incolumità dei cittadini – non sempre agevolmente dimostrabile – oltreché con l’urgenza e la contingibilità: aspetti che qui sono, di fatto, da accantonare risolutamente, per manifesta insussistenza (eccesso di potere?).
Per alcuni di questi servizi di tipo igienico-sanitario (necroscopia), potrebbe valutarsi se, ed in quale misura, possa individuarsi la sussistenza di una potestà regolamentare da parte dei comuni dal momento che l’art. 117, comma 6, III periodo, Cost. ne riconosce una regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro riconosciute dalla Legge: in altri termini, la potestà regolamentare dei comuni non deriva più dalla legge ordinaria (art. 7 D.Lgs. 267/2000), ma trova fondamento addirittura nella Costituzione, per altro nei termini anzidetti; anche se, alla luce dell’art. 13 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e succ. modif., spettano ai comuni tutte le azioni amministrative che riguardino la popolazione ed la loro circoscrizione geografica, salvo quanto non sia espressamente affidato ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo i rispettivi ruoli costituzionali.

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Carlo Ballotta

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