Passando dal diritto di sepolcro al diritto costituito dal titolo a disporre delle “spoglie mortali”, non è possibile ignorare l’art. 43, comma 3 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (che ripropone la disposizione dell’art. 42, comma 4 del precedente D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803) per il quale:
“4. È vietato il commercio di ossa umane”, dovendosi considerare che il riferimento a queste non possa non essere che esteso alle “spoglie mortali” nel loro complesso.
Qui ritorna il fatto dell’inalienabilità che, dal sepolcro, viene ad estendersi alle “spoglie mortali”.
Si tratta di un contesto in cui vengono a rilevare le disposizioni degli artt. 408, 410 ed, in particolare e specifico, 411 e 413 C.P.
Un osservatore attento potrebbe esprimere una differente valutazione circa questa estensibilità, dal momento che nell’insieme delle “spoglie mortali” confluiscono plurime condizioni di stato di quella che era una persona.
Nell’affrontare questo aspetto, per completezza, pare opportuno ricordare come, prima del sopra citato art.42, comma 4, vi sia anche l’immediatamente precedente comma 3, il quale recita:
“3. In nessun altro caso è permesso asportare ossa dai cimiteri”, prescrizione coordinata con quella dell’art. 340 T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m., relativamente ai cadaveri, che appare ulteriore elemento a sostegno dell’impostazione circa l’estensibilità.
Anche se l’indicazione, in termini astrattamente nominalistici, alle sole ossa possa imputarsi al fatto che altre “spoglie mortali” erano meno frequenti o altrimenti richiamate.
Si pensi alla rarefazione, nel 1990, della cremazione e conseguenti ceneri, oppure all’art. 36 che, accanto alle ossa umane, fa riferimento a “altri resti mortali assimilabili”.
Non si trascuri il fatto che il citato art. 43 è sistematicamente presente all’interno del Capo VI “Rilascio di cadaveri a scoposo di studio D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Cosa che porta a concludere come – con questa sola eccezione – le “spoglie mortali” non possano essere conservate se non nei cimiteri.
Quest’affermazione trova, oggi, aggiuntive eccezioni, relativamente alle ceneri, data da:
(1) dispersione delle ceneri al di fuori dei cimiteri;
(2) affidamento delle urne cinerarie ai familiari (rispettivamente previste dall’art. 3, comma 1, lett. c) e lett. e) L. 30 marzo 2001, n. 130.
Esse, per certi versi, vanno a rafforzare l’impostazione sin qui assunta, dal momento che, avvenuta la cremazione, le “destinazioni” delle ceneri, quando non vi sia una delle due eccezioni appena nominate, rimangono rispetto della volontà espressa dal defunto, alternativamente, la tumulazione o l’interramento dell’urna, sempre, nel rispetto della volontà della persona defunta.
Altre ipotesi non trovano accoglimento nell’ordinamento giuridico italiano, anche se vi siano “pulsioni” in altre direzioni.
Il richiamo al rispetto della volontà del defunto, sulla “destinazione” delle ceneri (o, meglio, delle urne cinerarie), come quello fatto al Capo VI D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., sottolinea come vi siano stati ampi aggiornamenti alla materia, in particolare sotto il secondo profilo, con la L. 10 febbraio 2020, n. 10 “Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica. (e suo regolamento attuativo D.P.R. 10 febbraio 2023, n. 47) .
Per altro, ben prima vi erano state le disposizioni circa le attività di prelievo e trapianto degli organi e dei tessuti di cui alla L. 1° aprile 1999, n. 91.
Ioltre vi sono anche altre tipologie di “donazioni” quali il sangue, le cornee.
A queste non si applicano le norme più recenti e sono garantite, nel rispetto delle condizioni stabilite con priorità temporale rispetto a quelle discendenti dall’atto di disposizione (espresso in vita, ovviamente) da parte della persona defunta del proprio corpo o dei tessuti post mortem.
L’atto avviene mediante una dichiarazione di consenso all’utilizzo dei medesimi, redatta nelle forme previste dall’articolo 4, comma 6, della L. 22 dicembre 2017, n. 219.
Il rinvio alle forme delle DAT ricorda come ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.
Questo porta a dover valutare il grado di disponibilità del proprio corpo, cioè in una fase (temporale) del tutto antecedente alla morte (per cui è prematuro parlare di “spoglie mortali”).
Ciò, richiama l’art. 5 C.C. [2], da cui discende che il “corpo” (non ancora le “spoglie mortali”) possa essere in qualche modo disponibile, ma nei limiti quando:
(i) consegua una diminuzione dell’integrità fisica,
(ii) gli atti di disposizioni siano contrari
– (ii.1) alla legge,
– (ii,2) all’ordine pubblico,
– (ii.3) al buon costume.
Non è accidentale il fatto che sia occorsa la L. 30 marzo 2001, n. 130 per “valorizzare” la volontà della persona defunta, sia nel caso della scelta per la cremazione, sia per la scelta eventuale della dispersione delle ceneri, sia, magari con minori formalismi, per le opzioni circa le “destinazioni” delle ceneri.
Ma se il grado di “disponibilità” del corpo sia così regolato, altrettanto non può che aversi per le “spoglie mortali”.
Tanto più che le stesse “destinazioni” delle ceneri differenti dalla dispersione richiedono il “rispetto della volontà del defunto”, cosa che vale anche per l’ affidamento dell’urna cineraria ai familiari.
Quello della volontà del defunto costituisce un aspetto che porta a evidenziare come le asserzioni precedenti sul diritto a disporre delle spoglie mortali e sul criterio della poziorità, comportino il dover rammentare come, prima delle persone in precedenza considerate quali aventi titolo a disporre delle “spoglie mortali”, vi sia una persona che ha un titolo maggiore, ed escludente gli altri, data alla persona stessa (che, comprensibilmente, può provvedervi fin tanto che in vita).
Ma questo diritto, personalissimo, non è trasmissibile, cedibile, trasferibile (senza fare alcun riferimento a specifici istituti, riferimento che sarebbe del tutto fuori luogo).
Formuliamo solo un esempio, del tutto carico di significati: quanto è lecita (?) la “cessione” di organi a fini commerciali?
Si conclude significando come le “spoglie mortali”, quale ne sia lo stato, costituiscono “beni” (se possa parlarsi di … beni) in via generale sottratti alla disponibilità (salvi i casi che prevedono le specifiche e particolari ipotesi dianzi considerate).
[2] = Codice civile, Art. 4 (em>Atti di disposizione del proprio corpo).
Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
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