Il rito funebre resta uno dei momenti più delicati nella vita di una comunità, ma anche uno degli ambiti in cui la Chiesa cattolica si trova oggi a confrontarsi con nuove forme di concorrenza: 
case funerarie che organizzano cerimonie laiche, celebranti non religiosi sempre più richiesti e famiglie che chiedono riti personalizzati. 
Per questo, anche i sacerdoti lombardi iniziano a interrogarsi su come rinnovare il linguaggio e la profondità delle omelie.
Il prossimo 5 novembre a Gorle (Bergamo) si terrà un laboratorio di formazione per il clero intitolato “Parole per accompagnare la morte e il dolore di chi resta”. 
Dalle 9.30 alle 12.40, decine di preti parteciperanno a un percorso guidato da don Marco Milesi e don Patrizio Rota Scalabrini, con la regia di don Mattia Magoni. 
L’obiettivo: ritrovare autenticità nella predicazione funebre, imparando a pronunciare parole che tocchino la vita e il dolore reale delle persone, evitando formule ripetitive o distaccate.
Come sottolinea don Magoni, «l’omelia non può mai perdere il gusto dell’unicità della persona: deve sfiorare la memoria dei volti, osare la vicinanza, custodire il senso profondo di ciò che compiamo». 
È una risposta diretta alla crescente richiesta di cerimonie “su misura” che, anche in ambito religioso, chiedono maggiore umanità e partecipazione emotiva.
Mons. Rota Scalabrini proporrà una rilettura viva dei testi biblici, invitando i sacerdoti a non limitarsi a letture standard ma a cercare parole che sappiano davvero consolare. 
Il laboratorio prevede anche un confronto su come parlare ai non credenti, alle famiglie ferite, o in casi di morte improvvisa — situazioni in cui la comunità domanda una voce capace di dare senso e speranza.
L’iniziativa, sostenuta anche dalla CEI, rappresenta un segnale chiaro: la Chiesa non vuole lasciare vuoto lo spazio della parola nel lutto, ma rinnovarlo per restare accanto a chi soffre, con una voce più vera, empatica e credibile.
Di norma la risposta al quesito è data entro 3 giorni lavorativi.
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