Ma il cadavere può esser oggetto di un diritto di proprietà? – Parte 2/2

In tale prospettiva, di una visione molto, forse troppo minimalista di quell’esternalità negativa (!) chiamata “cadavere”, utilizzando le fedeli parole di una ri-formulazione operata da Massimo Cosimo Mazzoni con riguardo a un altro ambito, altresì alquanto irto di interrogativi, sarebbe giustificato ritiene che rispetto al corpo inanimato «ciò che sta a cuore al sistema giuridico-costituzionale sia preservarne una tutela materiale come (…) entità ed identità corporea”.
È il corpo – rispetto al quale male si addice la categoria proprietaria, come ben insegna il dettato di cui all’art. 5 c.c. –, seppure inanimato, che viene tutelato in quanto tale, nella sua identità, la quale fonda lo jus eligendi sepulchrum nonché l’interesse/il diritto a coltivare il sentimento di pietà verso la persona del defunto.

Si parla, appunto, di un’entità medico-legale (il cadavere) che assurge e si erge a fattore di remota continuità analogica tra la persona e il corpo, tra il corpo animato e il corpo inanimato; è senz’altro significativo, in chiave ricostruttiva, rilevare come in questi termini si ponga l’art. 16-1 del Codice civile francese ove si afferma espressamente che:

«chacun a droit au respect de son corps. Le corps humain est inviolable. Le corps humain, ses éléments et ses produits ne peuvent faire l’objet d’un droit patrimonial»

Nel medesimo senso, anche il corpo esanime assurge a… “fattispecie” considerata dal diritto, in quanto pur sempre legata alla materialità più fisica dell’essere vivente, alla persona che quel corpo ha lasciato; non è persona, non è bene – se non «nel senso più generico che la parola può veicolare» 35 – ma è ugualmente un valore riconosciuto, meritevole di salvaguardia.
Ne discende che, l’interesse individuale quando si radica su tale entità ha pure ragione di essere protetto, elevandosi dunque a diritto soggettivo.

È un fenomeno, questo, nel caleidoscopio dei diritti di nuova concezione, che si accosta a molti altri presenti in un ordinamento già di per sé caotico, e rispetto ai quali il giurista si deve sforzare di discostarsi dall’affezione spassionata alle categorie, che per lui costituiscono «una sorta di tranquillizzante punto di riferimento, un modo per rendere le proprie scelte ermeneutiche meno personali ed arbitrarie in quanto condizionate dall’assorbente punto di riferimento di segno categoriale» così, in dottrina, LIPARI, Le categorie del diritto civile, cit., p. 18.
Si pensi, ad esempio, all’informazione, all’istruzione, alla riservatezza, alla salute, ecc., spesso descritte dagli studiosi come “beni”, ma invero trattasi di realtà tutelate come entità autonome, a-categoriali, siccome costituiscono valori intangibili dell’ordinamento, che radicano l’interesse individuale nel relativo diritto soggettivo.
Solo nei termini appena esposti pare possibile rappresentare correttamente e tratteggiare il diritto sul corpo inanimato, senza cadere in forzature, con cui i più incauti rischiano di generare inevitabili contraddizioni e discrasie qualificatorie.

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Carlo Ballotta

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