Quale definizione di “famiglia” ai fini del diritto di sepoltura.

Come noto, l’art. 93, comma 1 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 considera (per il diritto di sepoltura nelle concessioni cimiteriali (sepolcri privati nei cimiteri) fatte a persone fisiche; per quelle fatte ad “enti” operano altri criteri) che esso sia “riservato” alle persone dei concessionari e dei loro familiari.
Ora, una “riserva” è quella posizione per cui chi si trovi in una data posizione ha diritto e, contemporaneamente, esclude da un tale diritto quanti non vi si trovino.
Il fatto che si abbia una tale “riserva” solleva, o può sollevare, l’attenzione su quali siano le persone “appartenenti” alla famiglia, concetto apparentemente semplice, se non fosse per il fatto che l’ordinamento giuridico individua numerose definizioni, ciascuna delle quali sempre specializzata, cioè finalizzata. Oltretutto, qualora ciò possa rilevare in specifiche situazioni, non dovrebbero sottovalutarsi gli effetti della L. 20 maggio 2016, n. 76, con la netta differenziazione, a questi fini, tra l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e quello della convivenza di fatto (quest’ultima inidonea a richiamare concetti di “famiglia”).
La questione è stata, abbastanza recentemente, affrontata nella pronuncia del T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, 20 luglio 2017, n. 1932, che, oltretutto, richiama la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sez. II Civ., 27 settembre 2012, n. 16430 (ma se ne potrebbero richiamare numerosissime altre).
Ne emerge il principio per il quale, sempreché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore del sepolcro – tutti coloro che – come anche i collaterali – sono a lui legati da vincoli di sangue, devono essere ritenuti componenti della famiglia, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile. per cui resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l’esercizio dello ius inferendi in sepulchrum spettante agli altri co-titolari.
Nel principio merita di richiamarsi l’attenzione sulla qualificazione del diritto di sepolcro quale comunione indivisibile.

La questione dell’appartenenza alla famiglia della persona concessionaria trova propria fonte definitoria principale, se non esclusiva (i possibili contenziosi possono sorgere se ed in quanto la questione non sia puntualmente definita), nella peculiare fonte normativa, di rango secondario (art. 117, comma 6, 3° periodo Cost.), del Regolamento comunale di polizia mortuaria.
Questa fonte regolamentare dovrebbe regolare quali persone debbano – ai fini del diritto di essere accolte nel sepolcro – essere qualificate quali appartenenti alla famiglia del concessionario, ma anche quali possano assumere questa qualificazione, nel momento in cui il concessionario (qui inteso come “fondatore del sepolcro”) venga meno, dando luogo ad un c.d. “subentro”, situazione che il Regolamento comunale di polizia mortuaria può/potrebbe regolare conservando il “fondatore del sepolcro” quale unica persona rispetto a cui definire l’appartenenza alla famiglia, oppure prevedendo che i subentranti assumano a loro volta la qualificazione di “concessionario”.
Oltretutto, in tale secondo caso occorre anche definire, in sede regolamentare, quali persone abbiano titolo a subentrare quali “concessionari”.

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Sereno Scolaro

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