In occasione di un confronto (chiacchere fatte al caffè) con altri emergeva il ricordo di come risalenti Regolamenti comunali di polizia mortuaria prevedessero una certa quale regolazione dell’individuazione delle persone appartenenti alla famiglia del concessionario, ai fini di cui all’art.93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (o precedenti), con alcune indicazioni un po’… “mascoline”, tra cui la previsione per cui le “figlie femmine passate a nozze conservano per sé il diritto di sepoltura, ma non lo trasmettono al marito e ai figli”, facendosi osservare come i figli di queste sono/sarebbero pur sempre “discendenti in linea diretta” del concessionario del sepolcro, così come le loro madri… benché coniugate.
Sembrava che si trattasse di impostazioni proprie di una cultura ancora fortemente patriarcale, ben lontana, in quanto antecedente, alla L. 19 maggio 1975, n. 151, o, meglio ancora, del tutto pre-Costituzionale, incidentalmente ricordando come la Costituzione sia entrata in vigore il 1° gennaio 1948, cioè da oltre 76 anni.
Tuttavia, quest’aria, del tutto risalente, è ricomparsa nel 2024! Nella pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. V, 26 gennaio 2024, n. 855 (reperibile per gli Abbonati PREMIUM nella Sezione SENTENZE), è possibile leggere:
“In assenza di una espressa volontà del fondatore, accedono al sepolcro familiare i discendenti in linea maschile dello stesso, le mogli di questi e i discendenti in linea femminile nubili, mentre sono escluse le discendenti in linea femminile coniugate, le quali accederanno al sepolcro dei loro mariti”, formulazione che ricordando, tra le diverse fonti del diritto, l’art. 3, comma 1 Cost. (e il successivo comma 2 dice anche qualche cosa d’altro) ha lasciato un po’ disorientanti (per non dire che relatore – è ammesso dire: relatrice – ed estensore risulta un giudice avente un prenome personale femminile.
Non solo, ma nel testo della pronuncia è possibile rinvenire anche una certa contraddizione quando dapprima si afferma che: “Il diritto ‘primario’ al sepolcro deve essere inteso come il diritto ad essere seppellito (ius sepulchri) o a seppellire altra persona (ius inferendi mortuum in sepulchrum) in un determinato manufatto funerario, e può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito od oneroso, per atto inter vivos o mortis causa” e, poco di seguito, che: “In sostanza, per il solo fatto di trovarsi con il fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, si determina una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità”, con del tutto palese contraddizione, dato che la prima, in ordine di tempo, poteva sostenersi in vigenza del R.D. 21 dicembre 1941, n. 1880, recentemente (solo da 38 anni) abrogato.
Poi si dà atto come la giurisprudenza abbia anche chiarito che, una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente (nella specie, il Regolamento di Polizia Mortuaria del Comune…), diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio dello ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene: tuttavia, non è “pertinente …il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorchè già costituiti” (Cons. Stato, n.4608 del 2012).
Infine, una citazione ulteriore che richiama l’indirizzo, anche di recente, ribadito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8020 del 2021, con cui si è affermato che: “In assenza di disposizioni specifiche da parte del fondatore, lo ius sepulchri d’indole gentilizia spetta, oltre che al fondatore stesso, ai componenti del nucleo familiare strettamente inteso, nel quale debbono farsi rientrare tutte le persone legate al fondatore da vincolo di sangue o legate tra loro da vincoli di matrimonio. Tale diritto, pur non essendo precisato in una disposizione di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine, conforme al sentimento comune, e nelle esigenze di culto e pietà dei defunti che, quando esercitate dai prossimi congiunti, realizzano, allo stesso tempo, la tutela indiretta di una interesse concernente la persona del defunto e l’esigenza sociale di far scegliere ai soggetti più interessati la località ed il punto ove manifestare i sentimenti di devozione verso il parente deceduto.”
Si tratta di un punto rispetto a cui, sia premesso, non può condividersi l’assunto secondo cui “Tale diritto, pur non essendo precisato in una disposizione di legge, trova il suo fondamento in un’antica consuetudine, conforme al sentimento comune, e nelle esigenze di culto e pietà dei defunti… “, ritenendo che la specificazione di quali persone debbano considerarsi “appartenenti alla famiglia del concessionario” non possa essere qualificata come una lacuna normativa, quanto la presa d’atto che si tratta di aspetti che escono dall’ambito della legge, cosicché del Regolamento, nazionale, ma vanno definiti in sede di Regolamento comunale di polizia mortuaria (oggi richiamandosi all’art. 117, comma 6, 3° periodo Cost.), in quanto attengono a fattori speciali, particolari, risultandone collegato, condizionato da più elementi, quali la durata della concessione cimiteriale, la capienza e la tipologia del sepolcro, ecc., fattori che, proprio in quanto particolari, si sottraggono ex se dalla possibilità di una qualificazione unica su base nazionale.
A volte, sorge l’impressione che vi sia (solo) l’uso di far riferimento a rassegne giurisprudenziali, magari anche a manuali, importanti, ma che frequentemente ormai sono esposti al rischio di essere “datati”.