Consiglio di Stato, Sez. V, 3 novembre 2025, n. 8528

Massima

Una volta conclusa la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica e stipulato il contratto di concessione, è lo stesso legislatore a riferire le ragioni di pubblico interesse, valutabili dall’amministrazione ai fini della revoca, non più agli atti della procedura, ma alla “concessione” in quanto tale, vale a dire appunto al rapporto di concessione così come regolato dal relativo contratto. L’impostazione normativa peraltro è coerente con le caratteristiche della revoca, che è il rimedio destinato a garantire il perseguimento del fine pubblico non solo al momento dell’adozione del provvedimento ma anche nel corso del tempo. Pertanto, in un rapporto contrattuale che – quale quello di concessione – è spesso connotato dalla durata, i presupposti della revoca - compendiati nei “motivi di pubblico interesse” (ma, se si vuole, sezionabili in: i) motivi di pubblico interesse sopravvenuti; ii) mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, cioè dell’indizione della gara; iii) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario) - vale a dire i presupposti della rimozione del contratto (e quindi della cessazione del rapporto) non possono che basarsi sul venir meno della “rispondenza degli effetti prodotti nel corso del tempo dal provvedimento all’interesse pubblico perseguito” (così Cons. Stato, V, n. 2696/24 ).

Testo

Pubblicato il 03/11/2025
N. 08528/2025REG.PROV.COLL.
N. 02251/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2251 del 2025, proposto da
Impresa Edile Coop < omissis >, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore Della Corte, Luca Ruggiero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Valentino Torio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Di Lieto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 02102/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Valentino Torio;
Visto l’appello incidentale proposto da quest’ultimo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 settembre 2025 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Salvatore Della Corte e Andrea Di Lieto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sezione staccata di Salerno ha respinto il ricorso proposto dall’Impresa Edile Coop < omissis > contro il Comune di San Valentino Torio per l’annullamento:
a) della determinazione n. 613 del 10 settembre 2024, mai comunicata, a firma del Responsabile del Servizio IV – LL.PP. e Governo del Territorio, con la quale, in forza della deliberazione giuntale impugnata sub b), si è disposta la revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di Project Financing, ai sensi dell’art.21-quinquies della legge n.241/1990 della convenzione Rep. 256 del 19/07/2013”;
b) della deliberazione di Giunta Comunale n. 117 del 19 luglio 2024, anch’essa mai comunicata, con la quale il Comune di San Valentino Torio ha demandato al Responsabile del Servizio IV “di porre in essere tutti gli atti amministrativi volti alla revoca ai sensi dell’art.21-quinquies della legge n.241/1990 della convenzione rep.n.256 del 19/7/2013 per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di project financing nonché di tutti gli atti annessi e connessi con la detta procedura”;
c) di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compresa la relazione istruttoria (di contenuto non noto) prot. n.17355 del 22 novembre 2023 del Responsabile del IV Servizio, e la comunicazione di avvio del procedimento dell’11 aprile 2024.
1.1. I fatti rappresentati dall’impresa ricorrente sono riassunti come segue nella sentenza gravata:
– in esito all’espletamento di una procedura di gara pubblica ai sensi dell’art. 153, commi 1-14 del d.lgs.163/2006, l’Impresa Edile Coop. < omissis > è stata individuata quale “Soggetto Promotore” della concessione per la progettazione e la realizzazione di lavori di ampliamento del cimitero comunale, giusta determinazione dirigenziale n. 146 del 16 maggio 2012;
– con successiva determinazione giuntale n. 126 del 1° novembre 2012, è stato approvato il progetto preliminare trasmesso dal promotore con le modifiche progettuali richieste dall’amministrazione e, in data 19 luglio 2013, è stata sottoscritta la convenzione rep. n. 256 avente ad oggetto la concessione, in esclusiva e con diritto di privativa, della “progettazione e dell’esecuzione dei lavori per l’ampliamento del plesso cimiteriale e di tutte le attività collegate, funzionali utili ed opportune”;
– l’Impresa ha presentato, in data 18 ottobre 2013, il progetto definitivo dell’ampliamento del cimitero, assunto al protocollo del Comune col n. 9232, e, nonostante ciò, il Comune di San Valentino Torio non ha assunto alcuna determinazione in ordine alla sua approvazione;
– a fronte di una situazione di assoluto stallo della procedura determinata dalla condotta colpevolmente omissiva dell’amministrazione, la concessionaria ha ripetutamente diffidato e costituito in mora quest’ultima ma neppure a seguito dell’incontro tenutosi presso i suoi Uffici questa ha inteso porre rimedio al dedotto arresto procedimentale;
– pertanto, la ricorrente ha adito il Tribunale di Nocera Inferiore ai fini dell’accertamento e della declaratoria del grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del Comune resistente e, di conseguenza, della risoluzione del contratto di concessione rep. n. 256 del 19 luglio 2013, con condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni cagionati alla società;
– nell’ambito del detto giudizio, ancora non concluso, il Comune convenuto ha proposto domanda riconvenzionale volta all’accertamento della risoluzione della concessione per grave inadempimento della società odierna ricorrente;
– lo stesso Comune ha poi attivato un “procedimento di revoca degli atti di gara e della procedura in oggetto con conseguente nullità/inefficacia del contatto nelle more stipulato, sussistendo i motivi di cui all’art. 21-quinquies della stessa legge 241/1990 e ss.mm. ed ii.” all’esito del quale è stata adottata la determina di revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura per l’ampliamento del cimitero comunale mediante procedura di Project Financing, ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 della convenzione Rep.256 del 19/07/2013”.
1.2. Avverso tale ultima determina e gli altri atti sopra indicati, l’Impresa Edile Coop. < omissis > ha proposto ricorso con due motivi, volti, rispettivamente, all’annullamento del provvedimento di revoca per sviamento dalla causa tipica e, in subordine, al riconoscimento dell’indennizzo da mancato guadagno di cui all’art. 158, d.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis.
1.3. Il T.a.r. -dopo avere respinto le eccezioni di difetto di giurisdizione e di difetto di legittimazione e di interesse ad agire avanzate dal Comune di San Valentino Torio – ha respinto il primo motivo, ritenendo legittimamente esercitato da parte dell’amministrazione comunale il potere di revoca in autotutela ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, ed accolto solo parzialmente il secondo (proposto dalla ricorrente in via subordinata, nell’eventualità che la revoca fosse stata ritenuta legittima), riconoscendo all’Impresa ricorrente il diritto all’indennizzo ai sensi di tale ultima disposizione, demandandone la determinazione al Comune ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., seguendo i criteri del comma 1 bis dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990.
1.4. Le spese processuali sono state compensate per reciproca soccombenza.
2. L’Impresa Edile Coop < omissis > ha proposto appello con due motivi.
Il Comune di San Valentino Torio si è costituito per resistere all’appello principale e ha proposto appello incidentale “improprio”, con tre motivi.
2.1. All’udienza del 25 settembre 2025 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memoria difensiva della società.
3. Pregiudiziale è l’esame dei primi due motivi dell’appello incidentale, con i quali il Comune di San Valentino Torio censura il rigetto da parte del T.a.r. delle eccezioni preliminari di difetto di giurisdizione e di carenza di legittimazione e di interesse ad agire in capo all’Impresa Edile Coop. < omissis >
3.1. Col primo motivo, è criticata la decisione del T.a.r., secondo la quale, “poiché l’azione amministrativa, per come esercitata e per come motivata nell’atto impugnato, lungi dal contestare all’aggiudicataria inadempimenti nell’esecuzione del contratto, si connota in termini di esercizio autoritativo di autotutela sulla precedente fase di affidamento, rientra come tale nella giurisdizione del G.A.”.
3.1.1. Il Comune appellante sostiene che, contrariamente a quanto opinato dal primo giudice, la controversia “al di là del dato nominalistico (revoca, decadenza o risoluzione), in virtù del c.d. petitum sostanziale, verte inequivocabilmente sull’inadempimento del contratto convenzione rep. n. 256 del 19.7.2013, la cui responsabilità ciascuna delle parti attribuisce all’altra”, sicché, “riguardando vicende successive alla stipula dell’accordo”, la giurisdizione sarebbe del giudice ordinario.
3.2. Col secondo motivo, è criticato il rigetto dell’eccezione di carenza di legittimazione e di interesse ad agire che il T.a.r. ha motivato come segue: “la ricorrente appare titolare di un interesse qualificato e differenziato legittimante l’azione di annullamento proposta, senza che la domanda di risoluzione avanzata in altro giudizio possa far venir meno tale interesse”, aggiungendo che la ricorrente potrebbe ottenere delle utilità dall’eventuale caducazione del provvedimento amministrativo gravato “anche solo sul versante risarcitorio”.
3.2.1. Il Comune appellante sostiene che, avendo l’impresa agito dinanzi al giudice ordinario per ottenere la risoluzione del contratto, non potrebbe più “chiedere l’adempimento”, essendo tale alternativa vietata dall’art. 1453 cod. civ. Quindi non avrebbe interesse a gravare gli atti impugnati col ricorso di primo grado, residuando soltanto l’azione risarcitoria.
Quest’ultima, d’altronde, essendo conseguente “ad un preteso inadempimento contrattuale, non può che rientrare nella giurisdizione del G.O.”, tanto è vero che la domanda risarcitoria è stata già proposta dall’Impresa < omissis > nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore e che la stessa domanda è stata riproposta nel presente giudizio, per un importo identico a quello richiesto in sede civile (€ 308.146,73), secondo il Comune, “a riprova definitiva della duplicazione dell’azione”.
4. I detti due motivi dell’appello incidentale sono infondati.
4.1. L’assunto del Comune di San Valentino Torio secondo cui la presente controversia avrebbe ad oggetto i reciproci inadempimenti contrattuali è smentita dal tenore stesso dei due provvedimenti impugnati (la deliberazione della Giunta comunale n. 117 del 19 luglio 2024 e la determinazione attuativa n. 613 del 10 settembre 2024), fondati sul presupposto della diversa valutazione del pubblico interesse sottostante la concessione.
4.1.1. Nella prima prospettiva, viene in rilievo l’istituto della risoluzione del contratto per inadempimento, peraltro oggetto del contenzioso già pendente tra le parti dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore; nella seconda, viene in rilievo l’istituto della revoca per pubblico interesse, autoritativamente adottata dall’amministrazione.
Il punto in comune tra i due rimedi, entrambi caducatori del contratto, consiste nella loro collocazione dopo la stipulazione della convenzione, cioè nella fase contrattuale del rapporto fra l’ente concedente e l’impresa concessionaria.
Tale collocazione ha posto la questione sistematica -affrontata nella sentenza- dell’ammissibilità della revoca post-contrattuale.
Tuttavia, una volta che si ritenga che -come si dirà- la revoca della concessione, dopo la stipula della convenzione, sia, nel caso di specie, ammissibile per motivi di pubblico interesse, la giurisdizione sulla revoca appartiene al giudice amministrativo.
Invero, il relativo provvedimento è adottato in via autoritativa, nell’esercizio del potere di autotutela dell’amministrazione, che trova il suo fondamento nella rilevanza pubblicistica che il rapporto di concessione mantiene anche dopo il perfezionamento della convenzione (cfr. Cons. Stato, V, 20 marzo 2024, n. 2696, citata anche dal T.a.r.).
Ne consegue che la controversia sul legittimo esercizio di detto potere pubblicistico, quindi sulla legittimità del provvedimento di revoca della concessione, anche in corso di esecuzione, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo (come affermato già dalla Cassazione a Sezioni Unite, 7 marzo 2011, n. 5354).
4.1.2. I provvedimenti impugnati sono stati dichiaratamente adottati “ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge 241/1990” e basati sul “mutato interesse pubblico dell’ente, che ha come obiettivo la rapida realizzazione di nuovi loculi cimiteriali all’interno dell’esistente perimetro cimiteriale”, per come si legge nella motivazione della determina n. 613/2024, attuativa dell’indirizzo dato dalla delibera di Giunta n. 117/2024.
Nel presente giudizio si controverte della legittimità di tali provvedimenti, in quanto censurati dalla società ricorrente per sviamento dalla causa tipica ed insussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere di revoca in capo all’amministrazione.
4.1.3. Per quanto sopra, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo e va quindi respinto il primo motivo dell’appello incidentale.
4.2. Quanto al secondo motivo, è privo di fondamento il duplice assunto del Comune di San Valentino Torio secondo cui, nel presente giudizio, l’azione sarebbe inammissibile perché l’Impresa ricorrente non potrebbe più agire “per l’adempimento”, avendo agito dinanzi al giudice ordinario per la risoluzione, e nemmeno potrebbe agire per il risarcimento del danno, perché si avrebbe una duplicazione dell’azione.
4.2.1. Nel presente giudizio, come detto, non si controverte dei reciproci inadempimenti delle parti.
4.2.1.1. L’impresa ricorrente ha chiesto, in principalità, l’annullamento della revoca, ma la domanda caducatoria del provvedimento non è finalizzata ad ottenere che venga eseguita la convenzione di concessione, ovvero che il Comune resistente “adempia”, ottemperando agli obblighi contrattuali. All’opposto, dando oramai per inadempiuti tali obblighi, tanto da aver agito per la risoluzione per inadempimento e per la condanna del Comune al risarcimento dei danni davanti al giudice ordinario, l’annullamento della revoca è chiesto affinché quest’ultimo giudizio, pendente tra le parti, possa regolarmente proseguire e pervenire alla invocata condanna risarcitoria del Comune convenuto.
4.2.1.2. L’impresa ricorrente ha poi chiesto, in subordine, la condanna del Comune concedente al pagamento dell’indennizzo ex art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006. Contrariamente a quanto affermato dal Comune con l’appello incidentale, tale domanda non costituisce una duplicazione della domanda risarcitoria proposta nel giudizio di risoluzione contrattuale poiché – in disparte la coincidenza in concreto degli importi richiesti (petitum), per una scelta fatta in tale senso dall’Impresa – sono totalmente differenti i presupposti (causa petendi): nel caso del risarcimento, è presupposto l’inadempimento del soggetto concedente, ferma restando perciò la convenzione, salva la sua risoluzione all’esito del relativo giudizio; nel caso dell’indennizzo, è presupposta la legittimità della revoca della concessione, quindi la legittima rimozione della convenzione, per via autoritativa ed unilaterale.
4.2.2. Ne consegue la correttezza della sentenza in punto di legittimazione e di interesse ad agire dell’Impresa Edile Coop < omissis >, in quanto titolare di una posizione differenziata e di un interesse qualificato all’annullamento della revoca ove ritenuta illegittima, al fine di mantenere ferma la convenzione, salvo ottenere la pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento del concedente. Detta posizione e detto interesse non sono perciò intaccati -ma anzi sono corroborati- dalla contemporanea pendenza del giudizio civile.
D’altronde, nell’ipotesi subordinata del rigetto della domanda di annullamento della revoca, la società ha interesse all’accoglimento della domanda subordinata di riconoscimento dell’indennizzo, conseguibile nella sua interezza, stante, all’attualità, l’assenza di condanna risarcitoria in sede civile.
4.2.3. Anche il secondo motivo dell’appello incidentale va respinto.
4.3. Del terzo motivo dell’appello incidentale si dirà nel prosieguo.
5. Col primo motivo dell’appello principale (Error in iudicando – violazione e falsa applicazione di legge (art. 21 quinquies L. 241/1990; art. 158 d.lgs. 163/2006) – errata ponderazione della fattispecie concreta – inesistenza dei presupposti) l’Impresa Edile Coop < omissis > sostiene che la pronuncia di primo grado sarebbe “intrinsecamente contraddittoria, con una motivazione illogica”.
5.1. Il T.a.r., richiamando la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 14/2014 e la successiva sentenza della Sezione V, 20 marzo 2024 n. 2696, ha valorizzato la distinzione tra concessione ed appalto, pervenendo alla conclusione che anche dopo la stipulazione del contratto di concessione vi è la “possibilità per l’Amministrazione di esercitare il potere autoritativo di revoca”.
A riscontro normativo di tale conclusione il T.a.r. ha poi richiamato l’art. 158 del d.lgs. n. 163/2006, come espressione della “voluntas del legislatore di estendere l’istituto della revoca per motivi di pubblico interesse anche agli ambiti negoziali successivi alla stipulazione del contratto di concessione di lavori pubblici in finanza di progetto”.
Svolto il ragionamento appena sintetizzato, il T.a.r. ha affrontato -sulla base del detto iter logico-giuridico- le due questioni di giurisdizione e legittimazione ed interesse ad agire (di cui sopra).
5.1.1. Passando poi a trattare del primo motivo di ricorso, ha ritenuto che l’amministrazione comunale avesse “esercitato il potere di revoca degli atti relativi alla procedura di gara nel rispetto degli oneri motivazionali imposti ex lege”, ai sensi tuttavia, non dell’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006, bensì ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
5.1.2. Con un ragionamento sviluppato poi, a proposito del secondo motivo di ricorso – ai fini quindi della determinazione dell’indennizzo spettante all’Impresa -, il T.a.r. ha ribadito l’applicabilità del detto art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 piuttosto che dell’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006, affermando che la “nozione di revoca” contemplata dalla prima norma sarebbe “più ampia” di quella della seconda e che sarebbero ricorrenti nel caso di specie “ragioni di opportunità basate su una modifica della situazione di fatto”, sopravvenuta all’affidamento della concessione (piuttosto che “una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico”), che avrebbero legittimamente indotto l’amministrazione alla revoca degli atti di gara ex art. 21 quinquies citato.
5.2. L’appellante evidenzia i seguenti profili di contraddittorietà della sentenza:
– per un verso, ha affermato la legittimità della revoca perché prevista dall’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006; per altro verso, ha ritenuto inapplicabile la stessa disposizione;
– per un verso, ha riconosciuto la volontà dell’amministrazione di sciogliersi dal vincolo contrattuale, avendo la “precedente fase dell’affidamento” oramai esaurito la sua funzione; per altro verso, ha affermato la possibilità di “esercizio autoritativo di autotutela sulla precedente fase di affidamento”.
5.2.1. Ciò posto, ed evidenziata la contraddittorietà anche della motivazione dei provvedimenti adottati dall’amministrazione comunale (deliberazione giuntale n. 117/2024 e determina consequenziale), l’appellante si sofferma sull’insussistenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere di revoca.
Premette che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice (che ha rinvenuto “ragioni di opportunità basate su una modifica della situazione di fatto”), sia stata la stessa amministrazione comunale a rappresentare nei provvedimenti impugnati un “mutato interesse pubblico dell’ente”.
Osserva quindi che, se tale interesse è quello di realizzare nuovi loculi nel cimitero, allora esso non sarebbe nient’affatto mutato rispetto all’interesse pubblico che ha mosso il Comune di San Valentino Torio ad attivare il procedimento culminato con la stipula della convenzione n. 256 del 19 luglio 2013.
Piuttosto, ad avviso dell’appellante, a fronte di tale rapporto contrattuale gravemente pregiudicato dalle reciproche irreversibili domande di risoluzione contrattuale per grave inadempimento, la revoca dell’intera procedura di project financing sarebbe stata adottata con sviamento dalla causa tipica, onde porre un “argine” all’azione promossa dalla società appellante dinanzi al giudice ordinario ed al correlato consistente risarcimento del danno ivi richiesto.
6. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili.
6.1. Risulta dagli atti e non è nemmeno in discussione che la concessione “per la progettazione e la realizzazione dei lavori di ampliamento del cimitero comunale”, oltre che dalla convenzione rep. n. 256 in data 19 luglio 2013 stipulata tra le parti, sia regolata dagli artt. 153 e seguenti del d.lgs. n. 163 del 2006.
La disciplina speciale riguarda infatti sia la procedura di evidenza pubblica per l’individuazione, prima, del promotore e, quindi, dell’aggiudicatario dei lavori pubblici con il quale stipulare il contratto di concessione, sia due vicende del successivo rapporto contrattuale, vale a dire la “risoluzione”, regolata dall’art. 158, ed il “subentro”, regolato dall’art. 159.
La vicenda oggetto di contenzioso tra il Comune di San Valentino Torio e l’Impresa Edile Coop. Mi. Ru. va ricondotta alla prima di tali ultime due disposizioni, con riguardo a tutti e due i rimedi contemplati dalla norma:
– la risoluzione della concessione per inadempimento del concedente, oggetto del giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, nel quale peraltro vi è domanda riconvenzionale del Comune di risoluzione per inadempimento della concessionaria;
– la revoca della concessione per motivi di pubblico interesse, oggetto del presente giudizio.
Riguardo a tale secondo profilo, è condivisibile la censura, sopra riportata, di contraddittorietà della sentenza appellata, nonché quella – sviluppata nella parte finale dell’atto di appello – di erroneità del distinguo operato dal giudice di primo grado tra la revoca regolata dall’art. 158 in commento e la revoca regolata dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, nel presupposto -esplicitato dal T.a.r. – dell’applicabilità di quest’ultima disposizione anche in caso di revoca di concessione stipulata a seguito di project financing nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006.
6.1.1. E’ noto che il principio di inammissibilità della revoca degli atti di gara e del contratto di lavori pubblici nella fase del rapporto negoziale di esecuzione di tale contratto è stato circoscritto dalla decisione 20 giugno 2014, n. 14 dell’Adunanza di plenaria di questo Consiglio di Stato al contratto di appalto di lavori, per il quale vige il rimedio del recesso (di modo che “non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale)”).
La sentenza n.14/2014 prosegue con un’affermazione che è stata riportata solo in parte nella sentenza del T.a.r. qui impugnata, finendo per equivocare sul senso dello stesso pronunciamento dell’Adunanza plenaria.
Invero, in quest’ultimo si afferma che nel quadro normativo delineato nella sentenza “[…] si coordina e delimita, ad avviso del Collegio, la previsione della revoca di cui al comma 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n.241 del 1990, poiché dall’ambito di applicazione della norma risulta esclusa la possibilità di revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione dell’art. 134 del codice (così, come, per la medesima logica, ne è esclusa la revoca di cui all’art. 158 del codice), restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’amministrazione, di appalto di servizi e forniture [n.d.r. per il quale, all’epoca, il d.lgs. n. 163/2006 non prevedeva l’istituto del recesso, limitato come detto all’appalto di lavori], relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici [n.d.r. che, all’epoca, erano escluse dall’applicazione del d.lgs. n. 163/2006, salvo che per quelle di lavori pubblici affidati mediante project financing;]), nonché in riferimento ai contratti attivi”.
Emerge quindi per tabulas che già l’Adunanza plenaria ha ritenuto esclusa “dall’ambito di applicazione della norma” (dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990), l’istituto della “revoca di cui all’art. 158 del codice”.
Si tratta di affermazione perfettamente consequenziale a quella contenuta nella parte precedente della stessa sentenza secondo cui “quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca “per motivi di pubblico interesse” a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici (o la gestione di servizi pubblici; art. 158 del codice)”.
In sintesi, evidenziata – nel vigore del Codice dei contratti pubblici del 2006 – la differenza dei poteri autoritativi esercitabili dall’amministrazione nella fase esecutiva del rapporto contrattuale a seconda che si trattasse di contratto di appalto di lavori o di concessione, il potere autoritativo di revoca è stato pur sempre ritenuto possibile nella fase esecutiva di quest’ultima.
6.1.2. Tuttavia – tenuto conto del condivisibile ragionamento dell’Adunanza plenaria, ma anche dell’evoluzione della disciplina dei contratti pubblici che si è avuta col d.lgs. n. 50 del 2016 e, di recente, col d.lgs. n. 36 del 2023 – va affermato che, ai fini della regolazione del potere di revoca nella fase esecutiva dei contratti pubblici, in particolare dei contratti di concessione, la norma generale sulla revoca ex art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 è applicabile solo nel caso in cui non vi siano norme speciali che riguardino specificamente la revoca della concessione.
Orbene, nella vigenza del d.lgs. n. 163/2006 (durante la quale è intervenuta la pronuncia dell’Adunanza plenaria), non vi era (ancora) la norma che prevedesse in generale per le concessioni di lavori e di servizi pubblici l’istituto della revoca “per motivi di pubblico interesse” (che è stato introdotto soltanto con l’art. 176 del d.lgs. n. 50 del 2016; quest’ultimo, peraltro, di recente sostituito dall’istituto del “recesso” dal contratto di concessione “per motivi di pubblico interesse” previsto dall’art. 190 del d.lgs. 36 del 2023). Però vi era già la norma speciale che prevedeva l’istituto della revoca “per motivi di pubblico interesse” in caso di concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità stipulata a seguito di finanza di progetto.
Si tratta appunto dell’art. 158, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 che trova quindi applicazione nel caso di specie.
6.1.2. In proposito, non è corretta l’affermazione della sentenza gravata secondo cui “la nozione di revoca regolamentata dall’art. 21 quinquies è più ampia, essendo contemplati tre presupposti alternativi per la legittima adozione del provvedimento: i sopravvenuti motivi di pubblico interesse; il mutamento della situazione di fatto; la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi)”.
In disparte il dato di fatto oggettivo che i provvedimenti impugnati fanno ripetutamente riferimento ai “motivi di pubblico interesse” che starebbero a fondamento della revoca adottata dal Comune di San Valentino Torio, decisiva appare l’obiezione dell’Impresa appellante secondo cui la revoca è l’atto di ritiro per definizione riconducibile a motivi di pubblico interesse e, dal punto di vista letterale, è agevole constatare che l’ampia e generica espressione utilizzata dall’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006 (che disciplina la fattispecie in cui il soggetto concedente “revochi la concessione per motivi di pubblico interesse”) consente di ricomprendervi tutti e tre i presupposti alternativi considerati dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
6.1.3. Dal punto di vista sistematico, poi, l’art. 158 del d.lgs. n. 158 del 2006 è, come detto, una norma speciale, perciò destinata a regolare per intero la fattispecie della revoca nella fase esecutiva della concessione per motivi di pubblico interesse, senza che vi sia spazio per la (contestuale) operatività della norma generale dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
Di qui anche la non condivisibile distinzione, tra revoca della “concessione” e revoca di “tutti gli atti amministrativi relativi alla procedura”, effettuata nella sentenza appellata per escludere l’applicabilità dell’art. 158.
Una volta conclusa la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica e stipulato il contratto di concessione, è lo stesso legislatore a riferire le ragioni di pubblico interesse, valutabili dall’amministrazione ai fini della revoca, non più agli atti della procedura, ma alla “concessione” in quanto tale, vale a dire appunto al rapporto di concessione così come regolato dal relativo contratto.
L’impostazione normativa peraltro è coerente con le caratteristiche della revoca, che è il rimedio destinato a garantire il perseguimento del fine pubblico non solo al momento dell’adozione del provvedimento ma anche nel corso del tempo.
Pertanto, in un rapporto contrattuale che – quale quello di concessione – è spesso connotato dalla durata, i presupposti della revoca – compendiati nei “motivi di pubblico interesse” (ma, se si vuole, sezionabili in: i) motivi di pubblico interesse sopravvenuti; ii) mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, cioè dell’indizione della gara; iii) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario) – vale a dire i presupposti della rimozione del contratto (e quindi della cessazione del rapporto) non possono che basarsi sul venir meno della “rispondenza degli effetti prodotti nel corso del tempo dal provvedimento all’interesse pubblico perseguito” (così Cons. Stato, V, n. 2696/24 citata).
6.2. Inquadrata come sopra la fattispecie normativa di riferimento, va perciò ritenuto che, indipendentemente dalla qualificazione adottata dal Comune di San Valentino Torio, di revoca ex art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, e dal riferimento fatto nei provvedimenti impugnati alla revoca degli “atti della procedura di affidamento”, sia la delibera di giunta che la determinazione attuativa debbano essere sottoposti al vaglio di legittimità tenendo conto di quanto disposto dall’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006 per la revoca della concessione e della rispondenza di tale revoca a legittime ragioni di pubblico interesse esplicitate dall’amministrazione comunale nei detti provvedimenti.
6.2.1. L’illegittimità dell’azione amministrativa nel caso di specie si evince dalla stessa successione degli atti adottati dall’amministrazione comunale, quale riassunta anche nella memoria difensiva d’appello del Comune appellato, dove si legge che un anno dopo l’insorgenza della controversia civile per la risoluzione del contratto di concessione, “il Responsabile del Servizio IV del Comune di San Valentino Torio con l’atto n. 17355/2023 del 22.11.2023 ha evidenziato che l’opportunità che la Giunta comunale prendesse atto formalmente dell’avvenuta risoluzione contrattuale” e che, in conformità a tale richiesta, la “Giunta comunale con delibera n. 117 del 19 luglio 2024 [n.d.r.: la delibera impugnata nel presente giudizio] ha preso atto dell’avvenuta risoluzione e demandato al Responsabile del Servizio IV di porre in essere gli atti amministrativi volti alla revoca della convenzione rep. n. 256 del 19.7.2013, cosa che il predetto Responsabile, dopo che aveva già comunicato l’avvio del relativo procedimento con l’atto n. 5977/2024, ha fatto con la determinazione n. 613 del 10 settembre 2024 [n.d.r.: la determinazione impugnata nel presente giudizio]”.
Il contenuto dei due provvedimenti corrisponde esattamente alla ricostruzione così fatta dalla difesa civica, di modo che è per tabulas l’insussistenza di un interesse alla rimozione del contratto, per il quale l’amministrazione si dovesse determinare in autotutela.
Invero, entrambe le parti avevano già agito nel giudizio civile per conseguire detta rimozione: in via diretta, l’impresa concessionaria; in via riconvenzionale, l’ente concedente. Da entrambe le parti è stata perciò posta in essere, per via giudiziale, una valida manifestazione di volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale. Per come riconosciuto dal Comune appellato, sia pure ad altri fini, una volta instaurato detto giudizio, nessuna delle due parti avrebbe poi potuto agire per l’adempimento.
La situazione del rapporto tra le parti, quale era al momento dell’adozione dei provvedimenti di revoca, porta perciò ad escludere in radice la configurabilità del presupposto oggettivo della revoca, cioè la permanente vigenza del contratto cui dare esecuzione e l’incompatibilità di tale esecuzione con l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione.
6.2.2. Come giustamente nota l’appellante, a fronte del rapporto irrimediabilmente pregiudicato sotto il profilo civilistico, stanti le reciproche irreversibili domande di risoluzione contrattuale per grave inadempimento, l’amministrazione comunale non aveva alcuna legittima ragione di pubblico interesse alla revoca di un contratto oramai destinato a restare ineseguito.
Invero, considerato che anche nei provvedimenti impugnati è ribadita la volontà di mantenere “ferma la risoluzione contrattuale per grave inadempimento”, l’amministrazione comunale si sarebbe potuta liberamente determinare circa quello che riteneva (e ritiene) essere l’interesse pubblico da perseguire “di procedere con la realizzazione di nuovi loculi cimiteriali nel più breve tempo possibile”, senza alcuna necessità di revocare la procedura di project financing e “tutti gli atti annessi e connessi”.
Per di più, è palese che si tratti di interesse pressoché coincidente con quello in ragione del quale era stata indetta la procedura di evidenza pubblica mediante project financing conclusa con la convenzione de qua.
6.2.3. La contraddittorietà intrinseca dei provvedimenti, oltre che della condotta processuale ed extraprocessuale del Comune appellato, dimostra l’illegittimità della revoca per sviamento dalla causa tipica.
6.3. In conclusione, il primo motivo di appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, va accolto il primo motivo del ricorso proposto dall’Impresa Edile Coop. < omissis > e, per l’effetto, gli atti impugnati vanno annullati.
7. L’accoglimento del primo motivo di appello, con conseguente accoglimento del primo motivo del ricorso di primo grado, comporta la riforma integrale della sentenza appellata anche quanto alla statuizione sul secondo motivo del ricorso.
Tale statuizione – concernente il diritto all’indennizzo ex art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, riconosciuto alla ricorrente in luogo del maggior indennizzo richiesto ex art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006 – è dipendente dalla decisione del T.a.r. sulla legittimità della revoca, ai sensi appunto del detto art. 21 quinquies.
Riformata, come sopra, la decisione in tema di legittimità della revoca, ed annullati i provvedimenti impugnati, è da intendersi annullata la parte della sentenza dipendente dalla decisione sul provvedimento di revoca, in applicazione dell’art. 336, comma 1, c.p.c. (disposizione ritenuta pacificamente applicabile al processo amministrativo ex art. 39 c.p.a.).
7.1. Quanto alla sorte del secondo motivo del ricorso (sul quale occorre pronunciarsi a seguito dell’annullamento della decisione di primo grado di cui si è appena detto), è sufficiente osservare che l’Impresa ricorrente aveva sostenuto che nell’eventualità che si fosse ritenuto che i provvedimenti impugnati integrassero un legittimo esercizio del potere di revoca della concessione, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui prevede la corresponsione dell’indennizzo in favore del concessionario.
La domanda di indennizzo è logicamente e giuridicamente subordinata al rigetto di quella di annullamento della revoca, e come tale è stata proposta dalla parte ricorrente in primo grado.
7.1.1. Una volta affermata, come sopra, l’illegittimità della revoca ed annullati i provvedimenti impugnati, in accoglimento del primo motivo del ricorso dell’Impresa, il secondo motivo dello stesso ricorso, proposto in via subordinata, va dichiarato assorbito.
7.2. Conseguentemente improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse sono il secondo motivo dell’appello principale e il terzo motivo dell’appello incidentale.
Entrambi infatti riguardano il diritto all’indennizzo – sia pure nelle contrapposte prospettive critiche rispetto alla sentenza gravata, dato che l’Impresa ricorrente sostiene essere errata per non avere liquidato il maggiore indennizzo ex art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006 ed il Comune sostiene essere errata per avere invece riconosciuto il diritto all’indennizzo, malgrado le asserite inadempienze contrattuali della concessionaria.
Poiché tale parte della sentenza è stata annullata come sopra, entrambe le parti sono carenti di interesse alla proposizione delle corrispondenti censure in appello.
7.2.1. Resta demandata al giudizio civile ogni questione attinente alle conseguenze patrimoniali, risarcitorie, che l’Impresa concessionaria assume avere subito a causa della condotta inadempiente del Comune concedente, e viceversa.
7.2.2. Giova solo precisare – al fine di completare il ragionamento sistematico sull’alternatività dei due rimedi caducatori del contratto di concessione previsti dall’art. 158 del d.lgs. n. 163 del 2006 (l’uno in capo al concessionario, per l’inadempimento del concedente e l’altro in capo a quest’ultimo, per ragioni di pubblico interesse) – che il “rimborso” delle somme di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma costituisce l’importo comunque dovuto al concessionario in entrambe le due ipotesi normative, fermo restando il risarcimento del(l’eventuale) maggiore danno nel caso di inadempimento del concedente, ove accertato in sede civile.
8. In conclusione, respinto l’appello incidentale, va accolto il primo motivo dell’appello principale, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il primo motivo del ricorso proposto in primo grado dall’Impresa Edile Coop < omissis > e vanno annullati i provvedimenti impugnati, con conseguente assorbimento del secondo motivo del ricorso di primo grado ed improcedibilità del secondo motivo dell’appello principale.
8.1. Le spese dei due gradi di giudizio vanno regolate secondo il criterio della soccombenza, quindi a favore dell’Impresa ricorrente ed a carico del Comune di San Valentino Torio, e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentale, come in epigrafe proposti, accoglie il primo motivo dell’appello principale e, per l’effetto, in riforma totale della sentenza appellata, accoglie il primo motivo del ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso di primo grado ed improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il secondo motivo dell’appello principale. Rigetta l’appello incidentale.
Condanna il Comune di San Valentino Torio al pagamento delle spese processuali in favore dell’Impresa Edile Coop. < omissis >, che liquida, per i due gradi di giudizio nell’importo complessivo di € 6000,00 (di cui € 2.000 per il primo grado ed € 4000 per il secondo), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2025 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere
Elena Quadri, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
L’ESTENSORE (Giuseppina Luciana Barreca)
IL PRESIDENTE (Francesco Caringella)
IL SEGRETARIO