Vi sono distinzioni e/o differenziazioni tra “case funerarie” e “sale del commiato”?

Il Consiglio di Stato, Sez. VII, 4 settembre 2025, n. 7206 ha disposto, in via non definitiva, un’attività istruttoria, a seguito delle posizioni contrastanti su alcune disposizioni di legge regionale, formulate da diverse parti.
Con ciò chiedendo alla regione interessata … il deposito di una dettagliata e documentata relazione scritta, diretta ad illustrare i punti indicati in motivazione …, assegnandole un termine.
Il rinvio deriva da alcune interpretazioni, contrapposte, sui rapporti tra “casa funeraria” e “sala del commiato”, alla luce non solo della legge regionale, ma altresì delle sue norme attuative, da cui le diverse impostazioni interpretative traggono motivazione.
Ma questa previsione di rinvio, con integrazione dell’istruttoria (in sede di giustizia amministrativa d’appello, e non di 1° grado!), segnala unicamente come si siano – de facto – prodotti aggrovigliamenti, con plurimi nodi, su cui ci si auto-esenta da approfondimenti aggiuntivi.
Invitando quanti interessati ad una lettura della pronuncia, si evidenzia nel mentre una questione di fondo, consistente nelle possibili differenziazioni tra gli istituti delle “case funerarie” e delle “sale del commiato”.
Si rammenta come, un tempo, i riferimenti non fossero sempre chiari, a volte anche a causa di grossolane traduzioni da altra lingua, osservando come le prestazioni offerte presentassero spettri di attività non necessariamente e/o univocamente uniformi.
In ogni caso, si tratta di istituti che, da quando variamente introdotti, hanno visto una crescita non secondaria.
Se le prime realizzazioni hanno ampliato la platea annuale dei servizi acquisiti, in un tempo abbastanza realisticamente ipotizzabile, il numero attuale espone ad un allungamento dei tempi di rientro degli investimenti necessari.
Ci si riferisce a circa 700 case funerarie, anche se alcuni espongono una stima maggiore (attorno/oltre le 800), ma, al di là della precisione numerica, difficilmente verificabile, preferiamo qui attenerci al numero minore.
Il numero delle imprese (sottolineiamo il termine imprese) esercenti l’attività funebre sembra essere valutabile (da dati camerali) attorno alle 7.200 (forse qualche cosa in più o, ancora e più realisticamente, di meno, attorno alle 6.500).
Molte di queste possono tuttavia svolgere attività promiscue (es.: falegnami, mobilieri, fioristi, marmisti, ecc.).
Quindi se ne ricava che, su una media nazionale (e le medie nazionali nascondono le specificità locali), circa il 10-11% di queste imprese si sia dotato di casa funeraria, ma anche che vi possono essere realtà locali in cui questa percentuale sia ampiamente superiore.
La disponibilità di una casa funeraria, che presuppone risorse ed investimenti aziendali (cui devono aggiungersi anche i costi di esercizio conseguenti), consente all’impresa che se ne dota di poter acquisire un maggior numero di servizi/anno.
E questa acquisizione implica una sottrazione a danno di altre imprese concorrenti che non ne dispongono ancora, a fronte di un numero annuale di servizi abbastanza stabile, pur se con fluttuazioni di non grande rilievo.
Quando in una determinata area, sostanzialmente costituente un bacino fisiologico per le imprese ivi operative, vi siano poche (o solo una) case funerarie, il vantaggio di quest’ultima è evidente e i tempi di rientro dall’investimento possono essere abbastanza prevedibili.
Le famiglie in lutto operano infatti delle scelte in un ambito territoriale che, per quanto variabile, non si estende oltre a date ampiezze.
Al crescere della disponibilità di case funerarie nella stessa area, crescono i termini temporali per il rientro, comprimendo il vantaggio della disponibilità di casa funeraria.
Accademicamente, qualora nella medesima area geografica tutte le imprese operanti fossero dotate di casa funeraria, il vantaggio di alcune su altre verrebbe tendenzialmente ad annullarsi.
Ma i costi per la realizzazione delle case funerarie (e relativi costi di esercizio) rimangono e, conseguentemente, si determina un livello maggiore di costi per spese funerarie che grava sulle famiglie in lutto.
Ciò, in particolare, quando sia particolarmente accresciuto il numero della case funerarie nell’area di riferimento, che può, transitoriamente, produrre un’inversione della posizione di vantaggio a pro delle imprese (ancora) sprovvistene.
Infatti, non è immaginabile che si mantengano, nel medio-lungo periodo, attività economiche che operino in deficit, se ciò risponda ad esigenze contingenti e se sussista una concreta prospettiva di ripresa dell’attivo.
Si tratta di un fenomeno che, in parte e con molti fattori di differenziazione ed effetti complessivamente più ridotti, si è già evidenziato quando sono venuti meno i trasporti funebri effettuati con mezzi operanti su un dato ambito territoriale
Questo ha portato la maggioranza delle imprese a dotarsene, passando successivamente ad una sorta di gara sulla qualità dei mezzi per il trasporto funebre (anche qui utilizzati in funzione strumentale alla concorrenza).
Il fatto ha progressivamente generato un’abbreviazione dei tempi di rinnovo del parco mezzi, con la dismissione di quelli caratterizzati da un’ancora alta qualità prestazionale (cosa che costituisce un’irrazionalità economica non reiterabile nel tempo).
Nel caso delle case funerarie i fattori di costo sono ben maggiori.
Anche se le imprese, per loro natura, non considerano la dimensione dei costi per spese funerarie gravanti sulle famiglie in lutto, non si può non considerare come l’imitazione di altrui esperienze passivamente importate produca effetti non considerati.
Come, del resto, è avvenuto in altri contesti in cui si registrano standard complessivi di costi a carico delle famiglie ben maggiori degli standard operanti in Italia.
Il fatto di non avere tenuto conto di questi (prevedibilissimi) effetti, appare aspetto critico.
Per altro, questa lievitazione non è in sé stessa fattore trascurabile, dal momento che le famiglie in lutto (o, se si vuole, le famiglie nel loro complesso) non si trovano nelle condizioni di “assorbire” queste lievitazioni sempre e comunque.
Il che lascia presagire una crescita delle situazioni di difficoltà economica, in casi ove alcune tipologie di servizio devono comunque, forzatamente, trovare esecuzione.
Ciò solleva la questione su quali possano essere gli scenari che, nelle loro possibili differenziazioni, possano presentarsi, influendo anche in modo rilevante.
Non sembra cioè (è solo una sensazione) vi sia ancora “visione” dei possibili effetti in merito (non si sottovalutino i possibili punti di rottura).
Quando sarebbero, invece, preferibili logiche di qualificazione di un insieme di aspetti in grado di coinvolgere fasi di attività più ampie.

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